Per motivi personali ho dovuto anticipare di qualche giorno la visita ai cimiteri per onorare i parenti defunti. E’ stata una visita diversa dalle altre volte. L’emotività e l’emozione erano forti. Si andava in una zona di confine dove i sentimenti assumono il loro vero valore, dove le ipocrisie quotidiane vengono messe da parte e si riflette per qualche secondo la condizione umana in cui siamo costretti a vivere dopo il sisma del 6 aprile. Anche i cimiteri sono stati colpiti dal sisma ma i nomi e i cognomi e le immagini rimangono lì scolpiti a futura memoria. Il tragico evento del 6 aprile che ha sconvolto la nostra Città ha turbato, a dir poco, non solo gli aquilani, ma gli italiani e i cittadini di tutto il mondo. Le 307 vittime del sisma pesano e devono pesare come una roccia. La responsabilità di noi sopravvissuti è grande: è quella di non dimenticare, è quella di ritrovare il coraggio di ricominciare e di resistere, è quella di ricostruire la nostra Città, è quella di difendere e far vivere la nostra cultura.
Qualcuno, in alto, comincia ad ammettere che la tragedia e i morti potevano essere evitati. Qualcuno coltiva una specie di vendetta a “sanatoria” delle vittime, ma secondo il mio modesto parere, il primo compito che abbiamo è quello di rimboccarci le maniche per ricostruirsi una casa dove poter una vita priva di illusioni di sogni e di gioiose aspettative, in questo momento. La rabbia o lo spirito di vendetta, sicuramente, non ci aiutano a capire, a sciogliere la matassa del post terremoto e della ricostruzione. Il corso della giustizia deve fare il suo corso ma la giustizia vera, quella che ogni uomo onesto sogna è inscritta nella nostra Carta costituzionale ma non sempre nelle aule del tribunale. I rinvii a giudizio annunciati questi giorni sicuramente ci danno la traccia di ciò che la magistratura persegue, ma non la certezza che
essa sia la linea giusta. Perviene subito la perplessità di non vedere altri nomi che recentemente hanno avuto responsabilità di governo nell’Azienda Diritto allo Studio o nei crolli di diversi palazzi o istituzioni pubbliche (Tribunale, Ospedale ecc). La mia generazione non può dimenticare che nelle aule del Tribunale, compreso quello della nostra Città, i duemila morti del Vajont non hanno mai trovato giustizia, che nelle aule del Tribunale di Milano, di Roma o Bologna le vittime delle stragi fasciste e golpiste non hanno mai trovato giustizia. Rimango fondamentalmente ottimista ma spero che i processi siano equi e giusti e che non paghino gli “ultimi”, in tutti i sensi. Il nostro paese vive una profonda crisi non solo economica, ma anche culturale e politica. Il nostro futuro è incerto non solo per le condizioni economiche, ma anche per la difficoltà di trovare un giusto equilibrio tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto. La nostra è una società spaccata e divisa.
Il gioco mediatico ogni giorno ci porta a misurarci su un terreno che non è il nostro, quello di persone che lavorano e si costruiscono il loro futuro con fatica e con tenacia. In questi mesi di sfollati senza casa e senza fissa dimora abbiamo dovuto difendere la nostra identità ed il nostro orgoglio rifiutando prima di tutto il pietismo o la compassionevole ipocrisia. Il più delle volte abbiamo avuto la sensazione di non capire il confine tra gentilezza e cortesia e l’invadenza di un potere che ha la presunzione di accompagnarti fino al cimitero.
I valori degli uomini che lottano per un futuro migliore sono ben altri, perciò nella mia visita al cimitero, oltre a rendere omaggio ai miei parenti e alle vittime del terremoto, ho reso omaggio ad un eroe e martire della libertà, Panto CEMOVIC-Jugoslavo che il 1° giugno del 1944, morì nella nostra Città dopo le torture dei nazifascisti.
La nostra è stata ed è una Città vera, in tutti i sensi, dove le culture si sono incontrate e si incontrano. Il razzismo non è nel nostro DNA, i nostri
nonni o genitori sono stati migranti del mondo. La nostra Città riflette questo grande patrimonio, perciò, la polemica sul Capoluogo di Regione, tutta interna alla destra, non può diventare l’alibi per non discutere del nostro futuro, dell’adeguatezza della classe dirigente a fronteggiare una situazione così complessa come quella del post terremoto.
L’Aquila, 1.11.2009
Angelo Ludovici
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