Vedo che in questi giorni sta tornando in auge la questione del velo delle donne musulmane. Vedo anche che la discussione poggia su una grandissima ignoranza della storia che d’altronde non mi meraviglia per l’italiano che legge poco e poco conosce di lingue e costumi degli altri popoli. Ho fatto una piccola ricerca sull’argomento che vorrei condividere nel tentativo di eliminare pregiudizi stupidi e inutili e guardare “in faccia” le persone per quel che sono e non per quello che altri ci dicono dovrebbero essere.Ricordo che durante il Fascismo, mia madre da buona piccolo-borghese portava da sposata i cappelli a larghe falde con la “veletta” abbastanza fitta, tirata giù quando andava per strada e tirata su quando si parlava fra amiche. So che nella campagna pugliese le ragazze che vanno a raccogliere le olive o a lavorare nei campi portavano una specie di cappa sulla testa che le copriva fino ai piedi e lasciava solo un foro per gli occhi e serviva a proteggere dal sole per non far diventare la pelle del viso scura, considerata un tratto di bruttezza. So che in tutto il sud d’Europa, compresa l’Italia, non è permesso ancora oggi alla donna uscire senza un fazzoletto che le copra i capelli e infine che ogni donna in chiesa deve coprire i capelli (è improprio dire “coprire il capo”). Insomma che cosa c’è in fondo a questa necessità (antichissima, perché – cito dal turcologo P. Cossuto – il velo lo portavano le Sumere ossia le donne di una delle più antiche civiltà umane) mediterranea di nascondere il viso e i capelli femminili? Leggo che Tertulliano, esegeta cristiano del III sec. d.C., prescriveva il velo per tutte le donne… Leggo nel Corano le prescrizioni di Dio riguardo le tentazioni carnali del maschio: (Corano 24:30-31): “Ordina al credente di deviare lo sguardo dalla tentazione dei propri desideri carnali. Ciò farà la sua vita più pura. Dio conosce ogni sua azione. Ordina alla donna di deviare i propri sguardi dalla tentazione [carnale] e di preservare la propria castità. Per coprire le proprie attrazioni (salvo quelle che di solito sono in mostra) di tirar il velo [Khimar plur. Khumur] sul proprio seno e di non rivelare quelle bellezze, se non al proprio marito, ai propri padri [genitori], ai propri nonni, ai propri figli, ai propri fratelli, ai figli dei fratelli, ai figli delle sorelle, alle serve e alle schiave, servi deboli di mente e di corpo e bimbi che ancora non hanno conoscenza carnale delle donne. E obbliga le donne a non fare i passi con i piedi che rivelino i gioielli che li adornano. Credenti in Dio, pentitevi al Suo cospetto e vivrete in prosperità.” Varie sono le interpretazioni su questa sura del Corano a causa della diffusione dell’Islam in varie culture da quelle mediterranee a quelle della lontana Indonesia e quindi del necessario adattamento agli usi locali (vedi le differenze in questo senso fra portare il velo in Pakistan e in Bangla Desh, entrambi nazioni musulmane, ma di diversa storia culturale), ma una cosa è certa l’Islam condanna nei credenti l’ostentazione della ricchezza o delle proprie qualità fisiche, specialmente attraverso il vestito! Anzi il Corano in un’altra sura aggiunge: “O Figli di Adamo! Dio vi ha dato le vesti per coprire le vostre nudità e gli abiti per il piacere degli occhi ma il più bell’abito di tutti è essere vestiti di pietà! (Cor. 7:26)” Insomma modestia nel vestire… E il velo per il viso? Con sicurezza storica è un’adozione da parte musulmana della moda del vestire delle classi abbienti dell’Impero Romano d’Oriente e dell’Impero Persiano Sassanide di moda nel Vicino Oriente ai tempi dell’arrivo dell’Islam (sec. VII d.C.). Queste élites facevano coprire le proprie donne col velo affinché non fossero colpite dal malocchio! In arabo infatti questo velo è chiamato higiab (plur. hugiub) dal verbo hagiaba che significa coprire o proteggere (la stessa parola si usa anche per talismano!). Un grosso errore è chiamarlo burqa (meglio la burka per una lettura più corretta) che è una parola osseta (alana) femminile e indica una cappa di feltro dei pastori del Caucaso e quindi tutt’altro capo di vestiario che probabilmente è passata in italiano attraverso l’ignoranza di qualche nostrano giornalista della lingua urdu. In persiano si chiama sciator o ciador con parola generica che indica qualsiasi velo o tenda.
Voglio segnalare qui che nella Federazione Russa, a qualche km a sud di Mosca comincia la vasta regione dei musulmani russi del Tataristan/Basc’kortostan/Cecenia/Daghestan dove il velo non si porta, salvo che nelle cerimonie della presentazione della sposa la quale soltanto in quell’occasione è coperta con la fatà bianca dalla testa ai piedi prima della stipula del contratto di matrimonio. Quest’uso è d’altronde comune anche nella svad’ba (primo matrimonio) slava da tempi immemorabili e nel matrimonio ebraico. Consiglierei anche di leggere (in italiano c’è) Fatima Mernisi per avere il punto di vista sull’argomento di una donna marocchina musulmana. Non faccio qui commenti o invoco giudizi, ma dico soltanto per chi sa leggere che è importante sapere da dove veniamo per poter decidere dove andiamo.
Aldo C. Marturano
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