“Yes, we change!”. Auguriamo agli Americani in Italia e nel mondo, una felice Festa del Ringraziamento nelle loro famiglie in questo 26 novembre 2009 sui generis. La First Lady Michelle Obama, direttamente dalla “White House”, nella sua “newsletter” indirizzata ai cittadini americani ed ai media mondiali, nell’augurare una felice festa a tutti i connazionali, ha ricordato i problemi da risolvere per sconfiggere la povertà a cominciare dalla prima ed unica superpotenza democratica sulla Terra. In primis, la necessità di offrire un tacchino a 50 milioni di americani poveri. Un’emergenza assoluta. La tradizione americana vuole che alla vigilia di ogni Thanksgiving il presidente degli Stati Uniti conceda la “grazia” a un tacchino fortunato. Dai tempi del presidente Harry Truman è sempre stato così. Il tacchino in questione, a cui è stato dato il nome “Coraggio” per il suo terribile, nobile e squisito destino, quest’anno è stato investito della grande responsabilità di moltiplicarsi quando basta per sfamare tutti coloro che oggi non possono partecipare alla festa. Questo Thanksgiving, ci ricorda il New York Times, secondo gli ultimi dati del dipartimento dell’Agricoltura, è segnato dall’evidenza che “nel 2008 ben 49 milioni di persone si sono sfamati a fatica negli Usa. Per un terzo di questi, le risorse economiche sono state talmente scarse da costringerli a saltare un pasto al giorno o a ridurre le porzioni”. I restanti due terzi hanno dovuto accontentarsi di alimenti economici e dannosi per la salute. Con le due alternative dei “Food Stamps” o delle mense per i poveri. “Rispetto all’anno precedente gli Americani sull’orlo della fame sono 13 milioni in più, un record assoluto”. Pare che la distribuzione di Food Stamps abbia raggiunto un dato storico, con oltre 36 milioni di persone a beneficiarne. L’allarme resta naturalmente alto per i bambini: una grossa fetta di questi poveri non raggiunge i 12 anni. Da qui nasce l’impegno di un gruppo “no profit” di associazioni americane che hanno avviato una campagna per espandere il programma nutrizionale federale. Se il presidente Barack Hussein Obama si è posto l’obiettivo di ridurre drasticamente la fame giovanile entro il 2015, l’augurio nostro è che possa farlo grazie alla collaborazione del Congresso. Fin qui la cronaca.
Ma cos’è davvero il Thanksgiving? Il Thanksgiving Day è una festa tradizionale americana che si celebra sempre il quarto giovedì di Novembre negli Stati Uniti. Le proclamazioni (National Thanksgiving Proclamations) annunciano i ringraziamenti alla provvidenza di Dio negli eventi della nazione, come fu spiegato dal Presidente George Washington nella sua Proclamation del 1789, “for the many signal favors of Almighty God…in the lives of the people”. Il Giorno del Ringraziamento coinvolge tutti i cittadini americani nel mondo e in patria, che si riuniscono in famiglia per ringraziare della benedizione provvidenziale ricevuta da Dio. E’ una tradizione iniziata all’epoca dei primi coloni europei che arrivarono in America in cerca di libertà. Oggi il Thanksgiving è in molti stati Usa spesso abbinato a quattro o cinque giorni di ferie in un lungo “weekend”, con la chiusura di scuole, attività commerciali e professionali. Si torna a casa direttamente dai College e dalle Università (oggi in tempi di crisi economica, anche prima!) per partecipare alla festa. La vera chicca sono i tradizionali pranzi del Ringraziamento, veri e propri eventi sociali e in famiglia, ove sono serviti piatti e pietanze a profusione. A maggiore ragione oggi, in nome della tradizione, si può capire lo sforzo compiuto da ogni famiglia americana: si viaggia in auto, in treno e in aereo per raggiungere i parenti lontani e ritrovarsi a celebrare insieme una giornata speciale.
La partecipazione coinvolge grandi e piccini. Regna sovrano sua maestà il Tacchino ripieno, quale piatto principale, tanto che spesso il Thanksgiving è chiamato anche “Turkey Day”. Ossia, ripieno di purea di patate dolci, salsa di mirtillo rosso americano, accompagnato da una casseruola di fagiolini verdi, granturco, rape, torta di pecan e torta di zucca. Piatti comunemente associati al pranzo, “benché sia molto probabile che molti di questi ingredienti gastronomici non fossero neanche presi in considerazione durante il primo pranzo storico risalente al 1621” – come ci ricordano gli amici americani. Spesso gli ospiti portano piatti preparati a casa per contribuire al pasto comunitario. “La maggior parte dei piatti della versione tradizionale del Thanksgiving americano è a base di cibo dei nativi del Nuovo Mondo, seguendo la tradizione dei Pellegrini che ricevettero questi ingredienti dai nativi americani. In tutti i casi, la tradizione classica attribuita al primo Thanksgiving comporta miti introdotti in periodo successivo. L’uso del tacchino negli Stati Uniti precede la nazionalizzazione della festività in America da parte di Lincoln nel 1863. Alexander Hamilton proclamò che nessun “Citizen of the United States should refrain from turkey on Thanksgiving Day”, ma il tacchino era molto impopolare fino a dopo l’800. Nel 1857 il tacchino divenne parte integrante del tradizionale pasto del Thanksgiving nel New England. I primi coloni della Plymouth Colony in Massachusetts erano particolarmente grati a Squanto, il nativo americano e schiavo degli inglesi, che aveva insegnato loro come cacciare le anguille e coltivare il grano, e li servì quale interprete. Senza l’aiuto di Squanto, i coloni avrebbero anche non potuto sopravivere nel Nuovo Mondo. I coloni di Plymouth, i Pellegrini, subito dedicarono una festa appena terminato il primo raccolto nel 1621. Eseguirono una celebrazione autunnale con cibo, festeggiamenti preghiere a Dio. Il Governatore di Plymouth invitò Grand Sachem Massasoit ed i Wampanoag perché si unissero ai festeggiamenti. Rimangono testimonianze scritte della festa nei diari di Plymouth. I coloni nutrirono i nativi e li intrattennero per tre giorni, dopodiché gli indiani ritornarono nella foresta, uccisero cinque cervi e li donarono al Governatore in regalo. Le feste del Thanksgiving dei Pilgrims furono un successo anche grazie alla generosità dei nativi indiani, oltre che allo stimolo d’interesse che ne suscitavano. Citando dal testo del Governatore William Bradford della Plymouth Bay Colony – Of Plimoth Plantation -, si apprende che dopo l’arrivo in Nord America gli inglesi hanno continuato a coltivare come da tradizione agricola in Inghilterra, in una produzione comune, mettendo ogni prodotto del raccolto in un unico calmiere e ripartendolo nella comunità. I primi tre raccolti del 1621, 1622 e 1623 furono scarsi. Nonostante il loro credo religioso, i Pilgrims cominciarono quindi a rubare l’uno dall’altro, per non rischiare di morire di fame. Bradford abolì l’usanza del “farming in common,” ed assegnò ad ogni famiglia un appezzamento di terra in proprietà. Motivati dalla “invisible hand” del capitalismo di Adam Smith e da interessi privati, i Pellegrini cominciarono ad ottenere ottimi raccolti. (oltre 100 anni prima che Smith scrivesse le sue teorie!). I coloni che avevano richiesto di smettere di lavorare causa la loro età, ottennero il permesso di cominciare ad effettuare commerci con il surplus del raccolto in cambio di pellicce ed altri prodotti, Con gli incentivi organizzati, i Pilgrims ebbero successo nei raccolti dal 1623 fino al 1647, la fine della storia coloniale sotto il governo di Bradford”. (Fonte: www.massvacation.it/eventi-Thanksgiving-Day.asp). Ma non è solo una festa americana. Custodi di un territorio amato e servito, i cristiani di tutto il mondo nella Chiesa Cattolica rendono omaggio ai frutti della Terra nel loro particolare “Giorno del Ringraziamento”, una festa (domenica 8 novembre 2009) che invita ogni anno le comunità cristiane a rinnovare a Dio, Signore del cielo e della terra, sentimenti di vera gratitudine per la ricchezza dei doni del creato, con un sincero esame di coscienza. Ce lo ricorda Papa Benedetto XVI nel suo tradizionale discorso al Corpo diplomatico:“Tra le questioni essenziali, come non pensare ai milioni di persone, specialmente alle donne e ai bambini, che mancano di acqua, di cibo, di un tetto? Lo scandalo della fame, che tende ad aggravarsi, è inaccettabile in un mondo che dispone dei beni, delle conoscenze e dei mezzi per porvi fine. Esso ci spinge a cambiare i nostri modi di vita, ci richiama l’urgenza di eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economia mondiale e di correggere i modelli di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente e uno sviluppo umano integrale per oggi e soprattutto per domani”. Alla luce dei cambiamenti climatici planetari, secondo alcuni scienziati, imminenti. “Nel rapporto tra l’Eucaristia e il cosmo – ricorda papa Benedetto XVI nell’esortazione apostolica Sacramentum caritatis – scopriamo l’unità del disegno di Dio e siamo portati a cogliere la profonda relazione tra la creazione e la ‘nuova creazione’, inaugurata nella risurrezione di Cristo, nuovo Adamo. Ad essa noi partecipiamo già ora in forza del Battesimo (cfr Col 2,12s) e così alla nostra vita cristiana, nutrita dall’Eucaristia, si apre la prospettiva del mondo nuovo, del nuovo cielo e della nuova terra, dove la nuova Gerusalemme scende dal cielo, da Dio, ‘pronta come una sposa adorna per il suo sposo’ (Ap 21,2)” (n. 92). Nella responsabilità che deve accompagnare la nostra attività, con speranza e profonda riconoscenza, possiamo continuare il nostro cammino contemplando fin d’ora la nuova creazione, i cieli nuovi e la terra nuova, accompagnati dalle parole profetiche dell’Apocalisse:
“Non avranno più fame,
né avranno più sete,
né li colpirà il sole,
né arsura di sorta,
perché l’Agnello che sta in mezzo al trono
sarà il loro pastore
e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi” (Ap 7,16–17).
Nicola Facciolini
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