La profonda indole dei romani per la commemorazione magniloquente diede vita a un’architettura funeraria ricca, varia e talvolta imponente cui risulta difficile dare una giusta interpretazione in Italia e soprattutto nelle province.Nonostante il ripetersi dei moduli costruttivi, il tumulo monumentalizzato; l’ipogeo scavato nella roccia con facciata architettonica; il tempietto funerario (edicola); la tomba ‘ a torre’ e la colonna commemorativa, taluni di essi trovarono espressione in tipologie locali per lo più costanti delle quali talvolta è possibile stabilire una cronologia.
La scelta e l’affermarsi del mausoleo individuale si fa marcata a partire dal II secolo a.C. sino a divenire un fenomeno generalizzato in tutto l’Impero fra I secolo a.C. e III secolo d. C..
All’interno di questo contesto viene ad emergere la tipologia monumentale dei mausolei ‘a torre’ o ‘ a edicola, imponenti strutture che trovarono sviluppo per lo più in verticale e che sembrano rifarsi ai modelli relativi alla grande sperimentazione architettonica ellenistica risalente al IV secolo a.C. fra cui spicca l’imponente Mausoleo di Alicarnasso.
Si pensi alle esili torri ‘ a guglia piramidale’ del deserto libico che è possibile ritenere un’estrema espressione della tomba ‘a torre’ semitica la quale, attraverso Cartagine (Mactar, Thugga, Sabratha), derivava dal modello delle tombe ‘a torre’ della Siria Settentrionale (Hermel, Emesa, Palmira, Assar nella Comagene, Diokaisareia in Cilicia).
I prototipi di Palmira (oggi Tadmor, città della Siria), alcuni dei quali risalenti al I secolo a.C. come la Tomba a Torre di Giamblico (filosofo greco, ca 250-330), disponevano di camere sepolcrali a cinque piani, invece dei modelli posteriori i vani interni assumevano più imponenza e risalto.
Gli elementi decorativi dell’edificio funerario risultavano dipendenti dalla sua forma. L’adozione della pianta quadrata e l’assenza di aperture sulle pareti esterne erano solo un pallido riflesso delle torri di avvistamento delle città, sebbene il sistema di contrafforti delle torri a Orba apparisse quasi contraddittorio rispetto al suddetto postulato.
Quindi le torri hanno assunto un valore celebrativo dal punto di vista monumentale, come altresì attestato dalle iscrizioni onorarie.
Il concetto fondamentale che presiede alla realizzazione di queste torri a destinazione funeraria sembra essere quello di una massa alta e imponente, mentre lo spazio destinato al defunto è relativamente modesto.
Si sono distinti quattro tipi nell’evoluzione di queste torri fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. quale esito finale dell’introduzione della camera a loculi in un corpo di fabbrica massiccio e pieno in origine, dapprima con loculi esterni ricavati nella roccia e poi interni in camere sovrapposte e con sviluppo della scala volte a contenere più sepolture.
Nella parte occidentale dell’Impero, il dato comparativo-architettonico rimanda al Monumento dei Giulii a Glanum in Provenza, alla Tomba di A.Murcio Obulacco a Sarsina nelle Marche, alle imponenti tombe della Campania, al Pilastro Funerario dei Secondini a Igel (Treviri) databile all’incirca al 245 d.C.; o, prendendo un’altra direzione, ai Trofei di La Turbie (Montecarlo) del 7-6 a.C. e di Adamkilissi, Trophaeum Traiani, nella Dobrugia e ai mastosi sepolcri della stessa Urbe, probabilmente alla rappresentativa “Tour Magne” augustea a Nîmes.
Quanto appena delineato testimonia che gli architetti romani, nonostante fossero abituati a ragionare secondo categorie prestabilite, operavano in un ambito che era il risultato del connubio tra canoni ereditati dal passato e da istanze nuove che rendevano impercettibile il passaggio da una categoria all’altra.
L’architettura funeraria romana va perciò intesa quale messaggio vivo di un moto che dalle arterie delle province giunge al cuore.
Francesca Ranieri
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