COURMAYEUR – 14 anni di gestazione, circa 400 milioni di dollari spesi tra produzione e marketing, un uso della tecnologia tra 3D stereoscopico e performance capture che sposta verso il futuro i confini dell’esperienza visiva cinematografica.La trepidante attesa per Avatar è terminata, almeno per i critici internazionali, con la grande anteprima di ieri sera a Londra, mentre in Italia il Noir in Festival ha proposto un assaggio di 30 minuti (circa 10 scene) in attesa di vedere il film nelle nostre sale il 15 gennaio, in ritardo di un mese rispetto al resto del mondo, dove l’ultima fatica di James Cameron uscirà il 18 dicembre.
Le prime reazioni della stampa internazionale (che per l’occasione ha bellamente ignorato l’embargo imposto dalla 20th Century Fox) sono semplicemente entusiastiche, da Variety, “Cameron riesce ancora una volta a creare un film con ambizioni universali che chiunque ami il cinema dovrebbe vedere. (…) A livello fondamentale, il film è un vero e proprio trionfo, sotto ogni aspetto”, a The Hollywood Reporter, “Cameron ha dimostrato la propria tesi: è il re del mondo”, fino alla rivista Empire, che ha assegnato al film cinque stelle (il massimo) e lo ha definito una “esperienza enormemente appagante, una festa per le orecchie e per gli occhi”. E non era scontato che andasse così. 161 minuti da vedere con gli occhialini 3D sembravano a molti una sfida alla capacità di resistenza dello spettatore, ma in realtà Avatar realizzato per il 60% in 3D e per il 40% in live action risulta essere un’esperienza visiva e sensoriale incredibile, mai vista, almeno per i 30 minuti proposti qui al Noir. Ambientato nel 2151, il film ruota intorno all’ex-marine Sully (Sam Worthington), ridotto sulla sedia a rotelle ma comunque selezionato per partecipare alla missione che lo porterà sul pianeta Pandora in cerca di risorse energetiche. In realtà a viaggiare verso Pandora, popolata dai Na’vi, creature blu antropomorfe alte circa 3 metri, sarà il suo Avatar, guidato dal suo cervello e dalla sua coscienza, per infiltrarsi tra gli indigeni ostili.
In diretta da Londra, in una conferenza stampa per la verità non affollatissima ma molto internazionale, gli attori sottolineano subito, quasi in coro, che non si tratta di un “film di effetti speciali” ma di una storia di contenuti e personaggi veri, in cui gli effetti completano il racconto. “Ricordare costantemente al pubblico che sta guardando un film in 3D è come ricordargli che è in un cinema”, ha commentato James Cameron rispetto alla presenza non continuativa dell’effetto stereoscopico. “Per noi il 3D era come una finestra attraverso cui vedere dei personaggi e un nuovo mondo; non volevamo stancare il pubblico e trasformare la tecnica in un trucco da poco. Avatar è un esempio dell’uso maturo degli effetti 3D. D’ora in poi farò sempre film in 3D a prescindere dall’argomento, è una sfida per me”.
Il tasto emotivo, che va al di là del puro dato tecnico, è sicuramente quello spinto più spesso dal regista di Titanic, che con Avatar vuole far passare soprattutto due messaggi, quello ecologista e quello di lotta contro ogni discriminazione: “E’ un film d’avventura, di azione, di immaginazione, in cui è importante ciò che dice la protagonista Naitiri ‘tutto ciò che uno vede, lo vede da dentro’ – sottolinea Cameron – dobbiamo restare curiosi come i bambini, è importante avere un’apertura mentale rispetto ad altre culture e punti di vista. Ora che c’è Internet e i social network possiamo sapere che ci sono amici in altri paesi ed essere collegati persone che sono d’accordo con noi. Ma bisogna rompere questa bolla autoreferenziale e collegarsi con persone diverse da noi”.
Michela Greco
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