E’ l’ora della verità. Gli studi sulle previsioni e sulle conseguenze del terremoto di L’Aquila del 6 aprile 2009 (Mw=6.3) sbarcano a San Francisco in California (Stati Uniti) dal 14 al 18 dicembre, al tradizionale “AGU Fall Meeting” di Geofisica (www.agu.org/meetings/fm09/), il convegno dei sismologi di tutto il mondo. E’ prevista la partecipazione di migliaia di ricercatori. L’evento internazionale di quest’anno farà molto parlare di sé con lavori, ricerche, intuizioni, pubblicazioni e rivelazioni scientifiche interessanti che in questi mesi abbiamo cercato di illustrare (continueremo a farlo) nelle nostre interviste. Partecipano molti scienziati e ricercatori italiani, tra cui i professori: Warner Marzocchi e Massimo Cocco dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), Luca Crescentini dell’Università di Salerno e Pier Francesco Biagi dell’Università di Bari. A cento anni dal Premio Nobel per la Fisica a Guglielmo Marconi, molte sono le aspettative razionali del congresso americano alla luce della naturale considerazione che i cittadini desiderano una corretta e costante informazione scientifica sui fenomeni naturali, soprattutto in tempo di “pace”, magari per poter finanziare direttamente studi e ricerche di geofisica sul modello Telethon, con un controllo “popolare” dei danari investiti magari non sull’onda delle emozioni. Allora, che cosa possiamo onestamente annunciare di positivo e quali speranze per il futuro della ricerca geofisica in Italia? “I risultati che abbiamo ottenuto con gli interferometri Infn del Gran Sasso per quanto riguarda il terremoto di L’Aquila – rivela Luca Crescentini – sono considerevoli. I sensori laser hanno correttamente funzionato prima, durante e dopo il terremoto. Sfortunatamente, alcune decine di secondi di dati durante il massimo scuotimento non sono utilizzabili a causa di alcuni filtri presenti nell’elettronica di acquisizione. E’ interessante quanto gli interferometri hanno visto prima del terremoto (o meglio, non visto, il che per alcuni aspetti è ancora più importante) e nei mesi successivi all’evento stesso”. Che cosa avete potuto dedurre dall’analisi dei dati preliminari relativi al periodo 6-11 aprile 2009?
“La scossa principale è stata seguita da un terremoto lento sulla stessa faglia che ha originato il terremoto distruttivo, con uno scorrimento che si è propagato dall’estremità SE di arrivo della frattura veloce, verso NO e la superficie. Questo processo è durato qualche ora. La propagazione non è avvenuta a velocità costante, come succede per i terremoti usuali, ma con un processo di tipo diffusivo (spostamento proporzionale alla radice quadrata del tempo)”. Cioè? “Dove la propagazione lenta si è arrestata è avvenuto uno scorrimento lento del tipo noto in letteratura come “afterslip”, durato almeno qualche giorno. Il momento sismico di entrambi i processi è stato intorno al 10-20% di quello del terremoto distruttivo”. Gli interferometri laser del Laboratorio Nazionale del Gran Sasso hanno permesso di seguire questi processi con un dettaglio assolutamente unico a livello mondiale. “E’ la prima volta infatti che viene direttamente osservata la propagazione diffusiva di un terremoto lento, meccanismo da noi proposto nel 1999 per spiegare alcune caratteristiche degli eventi lenti registrati dagli interferometri nel 1997 e avvenuti nella zona del Gran Sasso (oggetto di una pubblicazione su Science) e successivamente riproposto da ricercatori americani e giapponesi su Nature nel 2007”. I risultati del gruppo di ricerca del prof. Crescentini sono stati presentati a Trieste, lo sono anche a San Francisco e sono oggetto di una pubblicazione (Amoruso e Crescentini) in stampa sul Geophysical Research Letters.
Il convegno di San Francisco, abbiamo ragione di credere, fisserà anche alcuni criteri per la credibilità scientifica di presunte “scoperte” in campo sismologico. Per Warner Marzocchi (Ingv), “attualmente nella letteratura internazionale non si fa ancora nessun cenno a previsioni deterministiche di terremoti. Al recente GNGTS (il convegno più importante di geofisica in Italia) nessuno ha fatto cenno a previsioni deterministiche. La comunità scientifica italiana e internazionale non danno credito alle ricerche di Giuliani. Ciò non vuol dire che non sarà possibile in futuro prevedere i terremoti, ma pochi ritengono sia un traguardo raggiungibile a breve”. Massimo Cocco (Ingv) partecipa al convegno di San Francisco nella sessione dedicata al terremoto di L’Aquila. “Vi posso anticipare che il livello di conoscenze scientifiche raggiunto sui processi fisici che hanno generato il terremoto del 6 Aprile a L’Aquila – fa notare il ricercatore – è senza precedenti per l’Italia e sicuramente all’avanguardia a livello mondiale. La qualità e quantità dei dati raccolti ci ha permesso di simulare i processi di genesi delle onde sismiche e di comprendere la severità dello scuotimento nell’area colpita. A questo è doveroso aggiungere due considerazioni. La prima riguarda il fatto che i progressi nella comprensione dei processi fisici che governano i terremoti si traducono in una maggiore capacità di valutare l’evoluzione spaziale e temporale della sismicità e quindi un progresso verso la valutazione delle probabilità di occorrenza dei terremoti (previsione probabilistica)”. Purtroppo, la complessità dei fenomeni fisici in gioco è tale da impedire allo stato delle conoscenze attuali di effettuare previsioni deterministiche. “La possibilità di capire le cause di fenomeni precursori (siano queste emissioni gassose o altro) – rivela Massimo Cocco – non ci permette di interpretare questi segnali con livelli di affidabilità e di verifica tali da consentire una previsione deterministica applicabile alla gestione delle emergenze e quindi alla società. La seconda riguarda il fatto che la severità del movimento del suolo nella città di L’Aquila, è anche determinata dalle peculiarità del processo causativo alla sorgente e dalla posizione della città rispetto alla faglia sismogenetica”. Questo comunque non cambia la lezione che arriva dal catastrofico evento aquilano. “Le necessità di migliorare la prevenzione dai terremoti e di considerare la vulnerabilità dell’ambiente antropico nella gestione del territorio – afferma Cocco – sono prioritarie. Vorrei sottolineare un’altra necessità per il nostro Paese: quella di migliorare ed intensificare le attività di disseminazione e di educazione della società finalizzate a conoscere e convivere con fenomeni naturali quali i terremoti. La conferenza di San Francisco è un convegno scientifico, dove si incontrano i migliori ricercatori del settore nel mondo. Tradurre queste informazioni in disseminazione per la società, è un compito che non può essere svolto solo dalla comunità scientifica”. Ma dai mass-media che al rigore scientifico devono accompagnare la verità, la comprensibilità, stimolando l’attenzione dei cittadini. Alla luce delle conoscenze accumulate nei secoli sui grandi terremoti e tsunami nell’area mediterranea, consigliamo la lettura dei due volumi: Catalogue of ancient earthquakes in the Mediterranean area up to the 10th century”, vol. I, Emanuela Guidoboni, Alberto Comastri e Giusto Traina, ING-SGA, 1994; “Catalogue of ancient earthquakes and tsunamis in the Mediterranean area from the 11th to the 15th century”, vol. II, E.Guidoboni, A.Comastri, 2005, INGV-SGA). Libri utili per ricordare e riflettere (nelle rispettive 19 lingue nazionali dei Paesi oggetto di studio) su una pagina di storia e letteratura sociale, culturale, economica e scientifica, per certi versi sconosciuta prima dei contributi scientifici offerti dagli Autori di questi due preziosi volumi. Dove, grazie allo scambio di informazioni e competenze, l’Ingv ha fatto emergere la consapevolezza della grande utilità dei riferimenti incrociati, fonte di nuovi spunti di ricerca interdisciplinare che aiutano il lettore a navigare tra le conoscenze finora acquisite per formarsi un’opinione libera. Analisi sismologica, impatto e prospettive, vengono illustrati attraverso la ricerca delle fonti scritte istituzionali, ponendo particolare attenzione al ricco patrimonio di conoscenze edilizie acquisite dai nostri antenati nel Mediterraneo e sulle criticità che nei secoli hanno concorso a causare ed amplificare i disastri. Relazioni scientifiche, dati sulla sismicità storica, documenti istituzionali e notizie, tracciano l’immagine storica generale del fenomeno sismico nel Mediterraneo. Disastri di media e bassa intensità, alcuni dei quali dimenticati o sottostimati, che tuttavia confermano la dinamica reale in atto nel Mediterraneo, dominata da pochi e rari terremoti catastrofici. Gli studi per il Ponte sullo stretto di Messina hanno alimentato negli ultimi 30 anni una fase di analisi innovativa, giudicata dai ricercatori italiani di enorme interesse scientifico. Anche da parte della comunità internazionale. I due volumi mettono in luce non solo gli effetti dei disastri nelle varie civiltà e società del Mediterraneo, ma anche la diversa percezione del terremoto nel tempo, in mutate condizioni sociali e di coscienza civile. Gli scienziati ci ricordano che la capacità di pensare il futuro e di imparare a convivere con i fenomeni naturali, non sempre catastrofici, va poi misurata sul campo.
Il Report internazionale dei geoscienziati prodotto a L’Aquila dal G10 di sismologia, lo scorso 2 ottobre 2009, lo conferma pienamente. Il fermento scientifico nella geologia dei terremoti e nell’ingegneria antisismica, ha certamente consentito l’elaborazione di nuovi strumenti normativi che pongono oggi l’Italia all’avanguardia in Europa. Tuttavia occorre unificare e potenziare le reti di osservazione sismologiche e geodetiche già esistenti, estendendole con sensori sul fondo marino e lacustre, elevandone gli standard tecnologici. Le dinamiche territoriali e la pericolosità sismica nel Mediterraneo nel quale viviamo, basati su dati archeologici e storici, affrontano ricerche di notevole rilevanza scientifica ed applicativa. Grazie alle affidabili osservazioni strumentali disponibili per i terremoti più recenti (www.emsc-csem.org) ed alla buona conoscenza della struttura sismo tettonica, il bacino del Mediterraneo rappresenta un laboratorio naturale di sperimentazione di tecniche avanzate per la valutazione probabilistica e deterministica della pericolosità sismica mondiale. Se è demandato ai posteri il giudizio della Storia sulla ricostruzione, sulla rinascita, sul decollo della nuova e più bella L’Aquila e sul ruolo svolto dai mass-media nella formazione della verità scientifica (anche in ambito geofisico e sismologico) al servizio della libera opinione pubblica, tuttavia non è possibile rinviare ulteriormente la stagione delle responsabilità. Il fatto che la cultura della prevenzione sismica in Italia non sia ancora capillarmente diffusa nella coscienza civica e nella “catena infinita” di responsabilità locali (con conseguente ignoranza sul fenomeno e sulla percezione del rischio sismico nelle nostre case e città), non può costituire un alibi politico di mutua assistenza “trasversale” su quanto si sarebbe potuto fare per evitare una tragedia come quella di L’Aquila, con i suoi 308 morti, le sue migliaia di feriti e i miliardi di euro di danni materiali e morali.
Qualità dei dati e dei modelli scientifici disponibili, non bastano, ma possono aiutare ad interfacciare ricerca storica, architettonica e sismologica in una collezione unica di informazioni per illuminare molte lacune oggi esistenti sui terremoti storici e preistorici in Abruzzo e nel Mediterraneo, ancora sconosciuti. Per intraprendere, come nei due volumi Ingv sopra indicati, da neofiti e da scienziati, un viaggio affascinante attraverso differenti culture. Frutto della collaborazione di ricercatori che offrono ogni giorno le loro competenze al servizio della conoscenza e della divulgazione scientifica.
Gli ambienti e l’architettura antisismica delle popolazioni antiche sono, infatti, un esempio delle risposte e dei suggerimenti possibili ai terremoti ed ai disastri sismici e vulcanici. I due cataloghi, intrecciando inesorabilmente i vari campi di ricerca, identificano un certo numero di temi di prevenzione ed analisi sismica nella storia (dall’Antico Egitto, alla Bibbia ebraica dell’Antico Testamento dove la parola terremoto, in ebraico “ra’ash”, appare 47 volte, fino alla mitologia classica greco-romana, al medioevo ed ai nostri giorni) grazie a un approccio metodologico omogeneo. Un contributo editoriale considerevole, che potrà essere arricchito dai dati sui terremoti storici di L’Aquila, magari ancora sepolti negli archivi, nei conventi e nelle biblioteche private di tutto il mondo, per capire i problemi della sismicità in Abruzzo e nel Mediterraneo, per stimolare ulteriori ricerche in altre nazioni, in un’ottica sicuramente interdisciplinare. In attesa di vedere pubblicato il terzo volume, dal 16° Secolo ai giorni nostri, vale la pena ricordare che lavori enciclopedici come questo possono incoraggiare la comunità scientifica a far uso di informazioni utili allo sviluppo di nuovi progetti, interessando direttamente le popolazioni dell’area mediterranea, per prevenire future tragedie di portata “biblica”.
Non possiamo lamentarci più di tanto se i cervelli italiani trovano migliori fortune (e Premi Nobel) all’estero, se fino alla metà dell’Ottocento la nostra gente veniva educata a credere ed accettare il fatto che l’età della Terra fosse di 6mila anni. Un calcolo chiaramente errato solo dalla scoperta dei fossili e della radioattività. Per migliaia di anni si è pensato, anche in Abruzzo, che nelle profondità della Terra vi fossero giganti a “reggere” letteralmente il mondo e il peso delle umane fatiche e miserie. Ecco perché abbiamo ancora paura del terremoto e, in genere, dei fenomeni naturali: guai solo a pronunciarne il nome in tempo di pace, figurarsi in politica e sui giornali! La scienza sperimentale inventata dall’italiano Galileo Galilei ha appena 400 anni, la moderna geologia molto ma molto meno in Italia, senza contare l’Abruzzo “primordiale”. I due volumi, frutto di anni di ricerca, sono di particolare importanza scientifica, perché offrono un contributo considerevole alla sismologia, allo studio delle scienze della Terra, attraverso le catastrofi ambientali nella storia fino al disastroso tsunami del 26 dicembre 2004 che sconvolte l’Oceano Indiano con centinaia di migliaia di vittime. I fenomeni naturali non rispettano i confini geografici e politici, come ci ricorda il professor Enzo Boschi, presidente dell’Ingv. Gli eventi estremi vanno studiati e compresi nella frammentarietà dei loro effetti, ricostruiti ed interpretati in relazione al loro contesto culturale, sociale ed economico. Ben prima dello tsunami “mediatico” e tettonico del dicembre 2004, l’importanza di tali eventi nella storia aveva conquistato pubblicazioni, trattati, lettere, ricerche e resoconti dei nostri antenati durante analoghe catastrofi negli Anni del Signore 1202 e 1303, avvenute nel mar Mediterraneo. I cui effetti solo oggi possono essere compresi nella loro reale natura, per lo più sconosciuta agli sfortunati testimoni di quelle lontane tragedie che apparivano semplicemente terrificanti e inesplicabili. Ora sappiamo che gli tsunami possono colpire con violenza anche nel mar Mediterraneo. I resoconti storici lo confermano, ponendo un limite temporale ben preciso: l’Anno del Signore 1453, la caduta di Costantinopoli e dell’Impero Romano d’Oriente (Byzantine Empire). “La considerevole attività sismica e vulcanica di questi cinque secoli – fa notare il prof. Enzo Boschi – fu accompagnata da una perdita di informazioni storiche sostanzialmente legata alle reali difficoltà, nei secoli passati, di studiare e capire tali fenomeni naturali”. La caduta di Costantinopoli e l’occupazione turca segnano, infatti, un reale spartiacque nella storia delle civiltà del Mediterraneo, influenzando le fonti e le vie di trasmissione e comunicazione di conoscenze e notizie.
Il secondo volume attraversa anche la storia dell’Istituto nazionale di geofisica (Ing) che nel 1999 assunse la nuova veste istituzionale di Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv). Un ulteriore impulso offerto agli Autori per aggiornare le ricerche e la ricca bibliografia con nuovi spunti e fonti attraverso nuove interpretazioni sui terremoti finora sconosciuti nei 19 Paesi del Mediterraneo (come l’evento A.D. 1117 in Italia). Nuova è anche la cartografia utile per conoscere il quadro di fenomeni sismici e tsunami i cui scenari ed effetti devono ancora essere dettagliatamente studiati e compresi. Uno dei principi basilari della sismologia storica e della ricerca, è di aiutare le analisi sismologiche e paleosismologiche con lo studio delle fonti dirette e indirette. Gli storici del Medioevo dell’area mediterranea possono così fare buon uso delle informazioni (territorio, ambiente e società) contenute nei due cataloghi, favorendo l’integrazione interdisciplinare delle conoscenze. Gli effetti distruttivi di terremoti, eruzioni vulcaniche, liquefazioni telluriche, frane e tsunami hanno lasciato profonde ferite nelle culture e nelle società medievali del Mediterraneo. Le fonti storiche, presentate nelle loro lingue originali per capire il contesto socio-culturale dell’epoca, offrono a studenti e ricercatori una “summa” di letteratura sismologica, con informazioni ed analisi relative a 383 terremoti, 22 tsunami e 102 effetti ambientali. Gli effetti sismici localizzati sono 1344 e riguardano città, villaggi, fortificazioni e castelli nei 19 Paesi dell’attuale geografia politica nell’area mediterranea. Un lavoro enciclopedico di assoluta qualità, importanza e rigore scientifico reso possibile grazie al lavoro di ricercatori e professori in lingue orientali, coordinati dall’Ingv, per dare vita a una catalogazione estremamente complessa: dalla ricerca di antiche trascrizioni, all’interpretazione di fonti e manoscritti scientificamente importanti nella delicata fase di valutazione delle loro rilevanza per la compilazione del volume. Un vero e proprio “laboratorio” di letteratura geodinamica, frutto di un lavoro decennale magistrale di giovani entusiasti “detective-archeologici” dei fenomeni più naturali e sconosciuti alle civiltà del Mediterraneo.
Nicola Facciolini
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