“nomine mortuum in Urbe ne sepelito neve urito”
“non si seppellisca né si cremi all’interno della città alcun morto”.
È questa una legge fondamentale delle Dodici Tavole, la prima legislazione scritta dell’antica Roma risalente al 450 a.C. che, per motivi di carattere igenico e sanitario, proibiva le sepolture all’interno del sacro confine del Pomerio (il solco che secondo la tradizione fu tracciato da Romolo al momento della fondazione della città). Le tombe si addensavano perciò lungo le principali vie extraurbane in prossimità delle mura.
Le strade romane sono di straordinaria importanza per la storia dell’umanità. Roma assurse a fulcro di conoscenza e a dominio del mondo proprio attraverso le sue arterie così ottenendo il controllo sistematico di una corposa fetta della superficie terrestre.
Nell’Urbe ci fu il ricorso a due differenti tipologie di sepoltura: a incinerazione che richiedeva la cremazione del corpo del defunto le cui ceneri erano poi deposte in un’urna di pietra, di vetro o di terracotta; a inumazione in cui la salma, una volta vestita e cosparsa di oli profumati, veniva deposta in un sarcofago di terracotta o di pietra. Entrambi i riti furono utilizzati per tutta l’età repubblicana fino alla prima metà del II secolo d.C. poiché, a seguito dell’introduzione della religione cristiana la quale considera la combustione del corpo un atto sacrilego, fu adottato il rito dell’inumazione.
Chi deteneva il potere faceva spesso innalzare le tombe della gens di appartenza nei propri possedimenti fuori dalla città, in prossimità delle strade: l’imponenza e la magniloquenza dei monumenti funerari destavano in questo modo l’attenzione del viaggiatore che arrivava a Roma dal Suburbio.
Le classi meno agiate si riunivano invece in “collegi funerari”, sorta di confraternite aventi come obiettivo la degna sepoltura dei propri affiliati: tassandosi acquistavano un terreno per realizzare una costruzione per sepolture collettive in cui ogni membro della comunità poteva usufruire di uno o più loculi.
Nei secoli lungo le grandi e più importanti strade pubbliche di Roma furono costruiti numerosi e diversi tipi di monumenti funerari, non a caso il Lanciani ipotizza che l’Urbe fosse stata circondata da 300.000 tombe.
Per l’Italia e soprattutto per il Lazio vi è un generalizzato ricorso al monumento funerario “a dado”, di cui è possibile riscontrare diverse citazioni lungo le principali arterie che rappresentano il trait d’union fra l’Urbe e il suo Suburbio.
La Via Appia rappresenta una tappa fondamentale per l’indagine qui condotta in quanto, grazie alla serie serrata di monumenti funerari di fattura e cronologia diverse che si susseguono su ambedue i lati della strada dal tratto compreso tra il Belvedere di Cecilia Metella e Casal Rotondo, di cui ancora si conservano i resti assurge a strada cimiteriale per eccellenza e valido corredo per lo studio dell’architettura funeraria romana
Due delle tipologie di monumenti funerari più attestate sulla Via Appia risultano essere quella a torre, di cui gli edifici funerari sono per lo più ridotti al solo nucleo di calcestruzzo privato del rivestimento funerario e le tombe a edicola su base quadrangolare.
Francesca Ranieri
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