Non si placano stragi ed eccidi nel mondo, nonostante l’appello del papa e deporre le armi, ovunque e da parte di tutti. Il 1° gennaio, in un campetto di pallavolo dove i ragazzi di due villaggi del nord-ovest del Pakistan si affrontano in una partita di volley, con decine di bambini, giovani e anziani che si assiepano ad incitare i loro beniamini, un fuoristrada 4X4 lanciato a tutta velocità irrompe tra la folla e salta in aria, spezzando per sempre la vita di 88 persone.
L’ennesima strage di innocenti, in un Pakistan sempre più in preda all’anarchia. Solo pochi giorni fa (lunedì scorso), a Karachi, capitale economica del Paese, un kamikaze si è fatto esplodere durante una processione di sciiti, causando l’uccisione di 40 persone e la strage di ieri nella cittadina di Lakki Marwat, nel distretto di Bannu prossima al Waziristan del Sud ( zona tribale alla frontiera con l’Afghanistan, roccaforte dei talebani pachistani ma anche rifugio degli integralisti islamici afghani che attraversano senza problemi nei due sensi un confine mai del tutto definito e poco controllato), dimostra che in quell’area il territorio è ancora del tutto fuori controllo. Non solo il 2009, ma anche questo inizio di nuovo anno si apre con la netta impressione che caos e sangue regnano incontrastati, con i talebani che continuano a controllare ampi territori, condurre stragi e attentati e rapire inviati e giornalisti stranieri (come i due report di France3, sequestrati pochi giorni fa). In Pakistan gli atti di terrorismo ormai rivaleggiano in numero e per gravità con quelli dell’Afghanistan e l’Onu ha annunciato che per motivi di sicurezza il proprio personale internazionale verrà evacuato dalle zone più a rischio. Gli Americani continuano ad operare nella zona usando droni ed altri sistemi “chirurgici”, che, oltre a non produrre alcun indebolimento sui talebani, spesso si rendono a loro volta responsabili di drammatiche stragi. L’ultima a fine giugno, con le bombe di un drone che colpirono il funerale di Baitullah Mehsud, capo talebano radicale ucciso da un altro bombardamento USA, causando decine di feriti e ben 83 morti. In effetti la nuova strategia delineata dall’amministrazione Obama, basata sul bombardamento anche del Pakistan meridionale, considerato la fucina e l’approdo logistico dei miliziani afgani, non solo causa errori, ma anche non pochi problemi al governo del presidente pakistano Zardari, il quale dopo gli attriti di qualche mese fa con gli Usa, ha fatto seguire una larga operazione del suo esercito nella regione, lasciando al contempo libertà di agibilità agli americani, con il solo effetto (per ora) di inasprire la violenza ed il numero degli attentati.
Non meno grave la situazione interna dell’Iran, dove continuano le manifestazioni di protesta e non si placa la repressione. Il 29 dicembre arrestata la dott.ssa Nooshin Ebadi, sorella del premio Nobel per la pace Shirin Ebadi, catturata con tre giornalisti e di un’attivista per i diritti umani. Il 30 dicembre, mentre il governo dichiarava la sua intenzione di portare a termine la stretta finale contro l’opposizione, si è diffusa la notizia secondo la quale Hossein Mussavi e Mehdi Karrubi avevano lasciato Teheran per una città del nord del paese, mentre, secondo il sito dell’opposizione Rehesabz, i due leader sono stati condotti qualche ignota località proprio dalle autorità, che li avrebbero, in pratica, arrestati. Il giallo sulla sorte di Karrubi e Mussavi conclude un periodo segnato prima da un duro attacco verbale e poi anche da una contromanifestazione dei fedelissimi della teocrazia iraniana. “Il pentimento non servir”» ha ammonito il presidente Mahmud Ahmadinejad, riferendosi all’opposizione. “Fanno un gran baccano e creano notizie false per complicare la situazione – ha detto in tv -. Ma dovrebbero imparare la lezione dalle esperienze del passato.
La nazione iraniana è come un oceano ed essi dovrebbero avere paura del giorno in cui questo grande oceano si muoverà, e non ci sarà ritorno”. In tutto il Paese il regime ha promosso manifestazioni con migliaia di persone sono scese in piazza per affermare il proprio sostegno al governo, denunciare “gli ipocriti sediziosi” fino a chiederne l’impiccagione. Nel frattempo, a Teheran, si sono svolti in gran segreto e tra strette misure di sicurezza al cimitero Behesht Zahra i funerali di Ali Habibi Mousavi, il nipote del leader dell’opposizione ucciso durante gli scontri domenica, dopo che la sua salma è stata finalmente riconsegnata alla famiglia, che ne aveva denunciata la scomparsa.
E, ancora, nella città santa di Qom la casa del grande ayatollah dissidente Hossein Ali Montazeri, morto pochi giorni fa, è stata circondata dagli agenti di sicurezza governativi che impediscono a chiunque di visitare la famiglia del religioso. “Da diversi giorni circondano la casa, isolandoci dal resto della città – ha detto un parente del religioso -. Ogni tanto ci insultano, minacciandoci di fare irruzione nell’ufficio dell’ayatollah”. La famiglia Montazeri non può organizzare alcuna riunione di preghiera o di commemorazione religiosa in onore dell’ayatollah.
Due giorni dopo la morte, secondo alcuni siti riformisti, l’abitazione di Montazeri ha subito un primo assalto da parte dei Basij, che hanno distrutto foto e aggredito le persone che avevano partecipato al funerale. Montazeri era tra le più autorevoli personalità religiose sciite in Iran: critico verso il regime della Repubblica islamica, era stato emarginato nel 1989 trascorrendo gli ultimi vent’anni isolato a Qom. Durante la crisi seguita alle elezioni presidenziali di giugno, aveva duramente criticato il governo, manifestando sostegno ai leader riformisti Mousavi e Karroubi. Era anche tra le voci più critiche rispetto all’attuale Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei. La Casa Bianca ha sostenuto esplicitamente coloro che insorgono contro il governo e condannato quello che a suo avviso è stato “ingiusta repressione” delle manifestazioni dei civili in Iran. Simili prese di posizioni sono state sostenute da alcuni paesi europei, che avevano assunto strategie interventistiche circa gli incidenti post-elettorali in Iran. Lo scorso 9 agosto, il Segretario di Stato USA, Hillary Clinton, in un’intervista con la CNN, aveva definito il processo di autori di quei disordini (tra loro anche impiegati delle ambasciate Gb e Francia a Teheran), come il segno della debolezza del governo iraniano, annunciando il forte sostegno di Washington agli oppositori della Repubblica islamica. Ma nonostante le critiche mosse dai governi occidentali, anche ieri, nella sua preghiera del venerdì all’Università di Teheran, l’ayatollah Ahmad Jannati, segretario del Consiglio dei guardiani, ha detto che l’apparato giudiziario iraniano “deve agire più velocemente contro i facinorosi” che hanno disturbato la celebrazione dell’Ashura, provocando disordini in Iran. Jannati ha ammonito che il sistema “non tollererà più gesti di oltraggio all’Islam”.
Ancora adesso milioni di musulmani Sciiti si stanno recando in santuari e moschee in Iran per la l’Ashura, la più importante ricorrenza religiosa per gli sciiti di tutto il mondo, che ha un carattere marcatamente luttuoso in ricordo del martirio dell’Imam Hussein e di 72 suoi compagni ad opera delle truppe del califfo omayyade Yazid I nel 680 dopo Cristo. La strage avvenne il 10 del mese di muharram, ed il lutto per l’evento, presso gli Sciiti, dura 40 giorni.
E continua l’azione repressiva di polizia i pasdaran. Questi ultimi disordini dimostrano che le tensioni stanno crescendo nella Repubblica islamica a sei mesi dalle elezioni presidenziali che hanno spinto il Paese, il maggior produttore di petrolio, in una crisi politica senza precedenti, con i popoli dell’Iran nella loro ricerca sempre più “verde” per i diritti umani e della dignità. Dopo le controverse elezioni presidenziali del 12 giugno scorso, il movimento popolare – oggi definito come il “Movimento verde” – è stato abbracciato da Iraniani di ogni orientamento politico e religioso.
I dirigenti della Repubblica Islamica dell’Iran, oltre alla questione nucleare, che sta isolando sempre di più l’Iran dalla comunità Internazionale, non riescono a gestire democraticamente la crisi interna, operando continue violazioni dei Diritti Umani.
Inoltre è sempre più evidente la controversia con il vicino Iraq. Infatti, l’esercito Iraniano ha recentemente occupato il campo petrolifero numero 4 nel giacimento di al Fakkah nella provincia di Misyan, il che sta creando una nuova più acuta tensione a livello internazionale. Anche se la notizia ha avuto poco risalto sulla stampa, dopo tale occupazione, migliaia di Iracheni sono scese in piazza in molte città sia al Sud che al Nord, per protestare contro l’occupazione iraniana, anche perché i popoli dell’Iraq temono che l’Iran potrebbe approfittare dall’attuale situazione interna irachena e della decisione Americana di ritirare delle truppe entro il 31 agosto 2010, per le controversie territoriali con l’Iraq. Non va dimenticato, infatti, che un Iraq filo-americano è visto con timore degli ‘ayatollah, che si sentono circondati da nemici. Si vedrà nei prossimi mesi come il governo USA (ed i suoi alleati) saprabno gestire questo enorme problema, senza un nuovo, ennesimo ricorso alle armi.
Carlo Di Stanislao
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