Se quello di Wojtila fu definito “l’incontro dei gesti”, questo di Benedetto XVI, è stato certamente “l’incontro delle parole”, in cui, da ambo le parti, cristiani ed ebrei hanno ribadito elementi comuni e comune vocazione alla vicinanza spirituale, oltre ad un ricco patrimonio culturale ampiamente condiviso. Il risultato della visita del Papa in sinagoga, il 17 scorso, è, secondo il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, “decisamente positivo” e tale da consolidare il dialogo, già iniziato, fra cristiani ed ebrei, dopo un lungo, lunghissimo periodo di sospetti e difficili rapporti e nonostante sia Israele (per bocca del rabbino David Rosen, responsabile dell’American Jewish Committee), sia alcune fazioni di ebrei romani, non vedessero ancora segni di vera apertura e distensione da parte del Vaticano. Invece Benedetto XVI, nel suo lungo discorso in Sinagoga, ha sottolineando la continuità tra la sua volontà di amicizia e di dialogo rispetto a quella perseguita da papa Wojtyla ed affermato: “cristiani ed ebrei hanno una grande parte di patrimonio spirituale in comune, pregano lo stesso Signore, hanno le stesse radici, ma rimangono spesso sconosciuti l’uno all’altro. Spetta a noi lavorare affinché rimanga sempre aperto lo spazio del dialogo, del reciproco rispetto, della crescita nell’amicizia, della comune testimonianza di fronte alle sfide del nostro tempo, che c’invitano a collaborare per il bene dell’umanità”. Dal canto suo il Rabbino Capo Di Segni, dopo aver ricordato che sia ebrei che cristiani danno “un significato sacro alla Bibbia, pur nelle differenti letture”, ha sottolineato che “la responsabilità va alla protezione di tutto il creato, ma la santità della vita, la dignità dell’uomo, la sua libertà, la sua esigenza di giustizia e di etica sono i beni primari da tutelare. Sono gli imperativi biblici che condividiamo, insieme con quello della misericordia: vivere la propria religione con onestà e umiltà, come potente strumento di crescita e di promozione umana, senza aggressività, senza strumentalizzazione politica, senza farne strumento d’odio, d’esclusione e di morte”. Lo stesso Rabbino Capo, davanti a Papa Benedetto XVI, ha poi rimarcato che: “malgrado una storia drammatica, i problemi aperti e le incomprensioni, sono le visioni condivise e gli obbiettivi comuni che devono essere messi in primo piano”. L’immagine di rispetto e d’amicizia che ha pervaso l’incontro deve essere un esempio per tutti: esempio di amicizia e fratellanza che mai dovranno essere esclusivi o in opposizione nei confronti di altri; in particolare di tutti coloro che si riconoscono nell’eredità spirituale di Abramo: Ebrei, Cristiani, Musulmani, che sono chiamati senza esclusioni a questa responsabilità di pace. Circa la questione Pio XII, ne ha parlato il presidente della comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, dichiarando che: “il silenzio di Pio XII di fronte alla Shoah duole ancora come un atto mancato: forse non avrebbe fermato i treni della morte, ma avrebbe trasmesso un segnale, una parola di estremo conforto, di solidarietà umana per i nostri fratelli trasportati verso i camini di Auschwitz”. Lo stesso a poi aggiunto, in una intervista a fine giornata, “Non abbiamo intenzione di entrare nella vicenda della beatificazione di Pio XII, non è affare del mondo ebraico. Ma se si vuole portarlo sugli altari per descriverlo alla storia quale non è, questo non lo possiamo accettare. Il predecessore di Pacelli, Pio XI ebbe il coraggio di combattere il nazismo e nel 1937 scrisse un documento in tedesco per contrastare quell’ideologia pagana che minacciava la Chiesa. Poi si attivò per condannare i provvedimenti sulla razza ariana e quando morì stava per realizzare un’enciclica in difesa degli ebrei.
Pio XII non fece nulla per proseguire nella sua opera”. Tuttavia, ha aggiunto, “in attesa di un giudizio condiviso con l’apertura degli archivi storici in Vaticano va riconosciuto che “numerosi religiosi si adoperarono, a rischio della loro vita, per salvare dalla morte certa migliaia di ebrei, senza chiedere nulla in cambio”. In definitiva una domenica piena di commozione, di ricordi e fatto di pari dignità, che apre le porte, come a scritto Pierluigi Battista sul Corriere, ad un cammino comune il quale possa essere il viatico per un dialogo aperto fra religioni. Dopo l’incontro del 17 e nel solco del Concilio Vaticano II, i “silenzi” non saranno più ammessi. Il Giorno della Memoria della Shoah, il 27 gennaio, si avvicina e la vicinanza dei cristiani alle storie (con annesse tragedie) di un Popolo che ha fatto l’Unità d’Italia 150 anni fa, dimenticato poi dalla cultura, dalla politica, dalla religione, dovrà essere sempre più chiara ed evidente e tale da costituire l’inizio di una comunione e fratellanza fra Ebrei, Cristiani e Mussulmani, da cui, di fatto, dipende il futuro della Terra. Infine una nota d’orgoglio per noi aquilani. Ha suonato alla fine dell’incontro e per 15 minuti, il nostro concittadino Prino Anselmi, clarinettista di soli 12 anni, giunto a Roma pochi mesi fa, con la mamma Svetlana Pekarskaya pianista e la sorellina Ottilia, due anni più giovane di lui, dopo la distruzione della loro casa quel maledetto 6 aprile, giorno in cui rimasero sotto le macerie per diverse ore, prima di essere miracolosamente salvati.
Fisico esile e volontà di ferro, Primo aveva già partecipato, nel 2008, al concerto dedicato al Giorno della Memoria con l’Officina Musicale di L’Aquila e qualche mese fa, nel mese di giugno, ha vinto l’audizione per la Junior Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia in Roma, esibendosi poi in duo con la sorella, con tale vigore e sensibilità che “Il Messaggero” li ha definiti “I due fratellini prodigio dell’Aquila”. Per l’incontro in Suinagoga ha suonato brani di musica “klezmer” (Zemer Atzuv, Rikud im a Rav, Y’did nefesh, Tfila mibait aba, Ierushalaim shel zahav e Naase shalom), accompagnato dal violoncellista Tomas Rizzo.
Carlo Di Stanislao
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