Davvero un Giorno non basta, perché, come l’aria che respiriamo, non possiamo fare a meno della Libertà e della Pace nella Memoria. I millenni di storia che uniscono Ebrei e Cristiani, sono diventati minuti preziosissimi alla Sinagoga di Roma, domenica 17 gennaio 2010. Lo spazio e il tempo hanno subito, per così dire, una speciale “curvatura” in grado di unire, elementi e concetti e storie lontanissimi. Anche ciò che apparentemente era impossibile congiungere. Ma non basta l’ufficialità della Cerimonia solenne che è impossibile da descrivere anche per coloro che l’hanno vissuta in prima persona. Il dialogo tra i “fratelli” Ebrei e Cristiani ora va coltivato attentamente e responsabilmente sul territorio, nel reciproco rispetto. In ogni Regione e Città d’Italia, d’Europa e del Mediterraneo. Insieme ai Mussulmani che amano la vita e la pace. Le Sinagoghe e con esse la Memoria storica e sociale degli Ebrei italiani che fecero l’Italia dei Regni e dei Comuni, prima e durante la Diaspora, possano fiorire di nuovo dove furono incendiati, distrutti e cancellate dall’ignoranza e dall’ignominia degli ultimi duemila anni. Ce lo auguriamo di cuore perché il dialogo tra i “grandi” possa calarsi nel vivo tessuto civile di tutti i giorni. Non si torna più indietro. Nel solco del Concilio Vaticano II, i “silenzi” non sono più ammessi. Il Giorno della Memoria della Shoah, il 27 gennaio, si avvicina e sentiamo nel cuore la vicinanza alle storie (con annesse tragedie) di un Popolo che ha fatto l’Unità d’Italia 150 anni fa. Un Popolo dimenticato poi dalla cultura, dalla politica, dalla religione, dal cinema. L’assurda barbarie del XX Secolo e del negazionismo, però, è stata sconfitta e vinta dall’amore e dalla ragione di uomini e donne di buona volontà che oggi, con i vari distinguo, possono finalmente dichiarare al Mondo che tutto o quasi è passato. Ora la “cultura vera ed autentica” deve fare la sua parte perché, come Cristiani, condividiamo la stessa Fede nel Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe e Mosè: i nostri Patriarchi nella Fede, gli antenati di Gesù di Nazareth. Il Quale, ricordiamo, era Ebreo in Terra Santa, Israele. O meglio, come ci ricordano i nostri “fratelli maggiori”, nella Terra del Santo dei Santi. Grazie al paziente lavoro del Venerabile Servo di Dio, Giovanni Paolo II, dei Rabbini d’Italia e di Papa Benedetto XVI, ventiquattro anni dopo lo storico incontro tra il Vescovo di Roma e gli Ebrei, domenica 17 gennaio 2010 al Tempio Maggiore di Roma (La Sinagoga) è stata scritta una decisiva pagina di Storia. Non solo d’Italia. Grazie anche all’Abruzzo martoriato dal terremoto.
Il programma definitivo è stato concordato solo nelle ultime ore e così ha avuto 15 minuti Primo Anselmi per incantare con il suo clarinetto Papa Benedetto XVI ed il pubblico che ha affollato il Tempio Maggiore. La musica è entrata nella vita di Primo quando aveva nove mesi ed ascoltò il suo primo concerto rimanendo immobile tutto il tempo in braccio ai genitori, entrambi musicisti. A cinque anni ha iniziato a suonare il pianoforte e due anni e mezzo fa, è passato allo studio del clarinetto sotto la guida di Gianluca Sulli, primo clarinetto della Sinfonica Abruzzese. Primo ha solo 12 anni. A Roma è arrivato qualche mese fa con la mamma Svetlana Pekarskaya pianista e la sorellina Ottilia, due anni più giovane di lui, quando il terremoto in Abruzzo ha distrutto la loro casa, quel maledetto 6 aprile 2009 (Mw=6.3), bloccandoli per 40 minuti fra le macerie. Fisico esile e volontà di ferro, Primo vanta già alcune esibizioni significative. Oltre ad alcune registrazioni per la Rai, ha partecipato nel 2008 al concerto dedicato al Giorno della Memoria con l’Officina Musicale di L’Aquila e qualche mese fa, nel mese di giugno, ha vinto l’audizione per la Junior Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia in Roma. Il naturale talento per la musica ha fatto sì che “Il Messaggero” definisse lui e sua sorella:“I due fratellini prodigio dell’Aquila”. Ma Primo sembra non accorgersi dell’interesse che suscitano la sua innegabile predisposizione per la musica unita alle capacità emerse grazie a ore e ore di studio. “Solo un poco” – risponde con semplicità quando gli chiedono se si sente emozionato per l’importante esibizione. Poi torna a provare i brani di musica “klezmer” che ha suonato per un pubblico molto più numeroso, accompagnato dal violoncellista Tomas Rizzo: Vezoher Hasidi avot (Il Hasid ricorda gli antenati), Zemer Atzuv (Melodia triste), Rikud im a Rav (Danza con il rabbino), Y’did nefesh (L’amico dell’anima) Tfila mibait aba (Preghiera della casa paterna, Bulgar, Ierushalaim shel zahav (Gerusalemme d’oro), Naase shalom (Facciamo la pace). Brani che ora devono risuonare ovunque. Alla vigilia della visita di Benedetto XVI al Tempio maggiore di Roma, anche a Milano si è celebrata la Giornata del dialogo ebraico-cristiano. Dopo la pausa di riflessione dello scorso anno, per questa edizione dal tema “La Quarta Parola: Ricordati del Sabato per santificarlo”, sabato sera al calare del buio, terminato Shabbat, le porte della Sinagoga Centrale si sono spalancate a centinaia di fedeli delle varie confessioni cristiane milanesi. L’invito è stato accolto con grande entusiasmo. Davanti all’affollatissima platea, diversi oratori hanno approfondito il significato dello Shabbat, e ribadito l’importanza del percorso di dialogo intrapreso da ebraismo e cristianesimo, nell’auspicio che si prosegua in questa direzione consci tanto degli importanti risultati ottenuti, quanto del cammino ancora da percorrere. Un contributo sotto entrambi gli aspetti è stato portato dalla lettera inviata dall’Arcivescovo della diocesi milanese Dionigi Tettamanzi, letta da don Gianfranco Bottoni, responsabile del servizio per l’ecumenismo e il dialogo della Chiesa di Milano. Da un lato l’Arcivescovo ha sottolineato come il cristianesimo abbia molto da imparare guardando al valore del sabato ebraico, dall’altro si è concentrato sull’importanza della “revisione della coscienza cristiana in rapporto all’ebraismo”, parlando di “due identità distinte, ma affini” e di un “percorso che dopo la Shoah non può essere più fermato”. Incentrato sul senso dello Shabbat è stato il discorso del rabbino capo di Milano Alfonso Arbib. “È detto che senza Shabbat il mondo sarebbe stato come ‘un anello senza sigillo o un baldacchino nuziale senza sposa’ – ha spiegato rav Arbib – Un mondo dunque incompleto, senza l’evidenza della presenza di Dio, senza gioia”. Shabbat come completamento della Creazione, ma anche come celebrazione dell’Uscita dall’Egitto “che rappresenta il momento in cui cessò l’idea che esistessero uomini superiori e uomini inferiori destinati a subirne il dominio – ha proseguito il rav – Così scomparve per sempre il presupposto ideologico della schiavitù”.
Anche Luigi Nason, responsabile dell’apostolato biblico della diocesi di Milano e coordinatore del gruppo interconfessionale Teshuvah è partito dal tema della liberazione dall’Egitto per riflettere sui cambiamenti che sono stati operati dal cristianesimo nella lettura dei Dieci Comandamenti. “Il Primo non si limita alla formula ‘Io sono il Signore tuo Dio’, ma prosegue ‘che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto’ – ha evidenziato Nason – Abbiamo dimenticato un’importante chiave di lettura del Decalogo, in cui ‘Ricordati del giorno del Sabato per santificarlo’ si è trasformato in ‘Ricordati di santificare le feste’. In questo modo abbiamo perso molto”. “C’è un assoluto bisogno del dialogo ebraico-cristiano”. Questo è stato il messaggio di Gioacchino Pistone, valdese, presidente del Consiglio delle chiese cristiane di Milano, che ha sottolineato “l’importanza per tutte le Chiese di apprendere dalla sapienza di Israele, quella passata, ma anche quella presente”.
A chiudere la serata è stato l’intervento del rabbino emerito di Milano e presidente dell’Assemblea rabbinica italiana Giuseppe Laras, dopo le polemiche dei giorni scorsi seguite alla sua presa di posizione contro la visita di Benedetto XVI al Tempio maggiore di Roma. Rav Laras ha ribadito l’essenzialità del dialogo interreligioso, del proseguire superando le difficoltà, rilevando come in questo percorso non si possa prescindere dalla Shoah e dall’antisemitismo. Ha poi rilanciato l’idea che in questa direzione vadano soprattutto le piccole opere costanti, mentre le grandi manifestazioni si consumano in fretta. “Questi sono i miei sentimenti” ha concluso rav Laras “Nonostante la contingenza possa non essere favorevole, andiamo avanti e ne raccoglieremo i frutti”.Dalla fratellanza tra Ebrei, Cristiani e Mussulmani, dipende il futuro della Terra.
Fonti: AA.VV (http://www.moked.it/unione_informa/100117_tris/paginebraiche.pdf).
A cura di Nicola Facciolini
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