“Mala tempora currunt” in casa Pd, con bufere in successione e crescente clima di sfiducia da parte dell’elettorato; con Bersani, sempre più impegnato a pacificare animi, correnti e capibastone, piuttosto che sviluppare una strategia credibile, come dovrebbe un segretario che, in attesa delle prossime regionali, tura una falla dopo l’altra, in uno scafo in cui se ne aprono di continuo e che è scosso da un “mare in gran tempesta”. Gli ultimi tre problemi non sono di poco conto e la situazione interna di disunità e disorientamento, li acuisce drammaticamente. In primo luogo lo scandalo che ha investito Flavio Delbono, indagato per peculato e abuso d’ufficio, dopo le rivelazioni Cinzia Cracchi, sua ex fidanzata e segretaria di quando era vicepresidente della Regione; che lo ha fatto indagare dalla procura per peculato, mettendo in forte dubbio il “primato morale” della sinistra sbandierato in questi anni di magri argomenti, a tutela di un partito continuamente perdente e in declino. I fatti sono noti. Era stato Alfredo Cazzola, candidato del centrodestra alla poltrona di primo cittadino poi conquistata da Delbono, ad accusare l’attuale sindaco di aver speso allegramente soldi pubblici in viaggi e missioni all’estero compiute con la donna. L’affaire nella città delle due torri è diventato il Cinziagate, dapprima con ampio spazio sulle cronache locali, poi rimbalzato a livello nazionale. I pm titolari del fascicolo, Massimiliano Serpi e Luigi Persico, dopo aver ottenuto il dossier sui rimborsi spese per i soli viaggi in cui la Cracchi era presente come segretaria, a settembre avevano richiesto l’archiviazione. Ma il gip Giorgio Floridia qualche giorno fa l’ha negata, chiedendo di approfondire le indagini. Ora si scava sulle missioni alle quali la donna ha partecipato pur risultando in ferie, per capire se le sue spese di viaggio e di soggiorno possano, come ipotizzava Cazzola (all’epoca querelato dall’avversario), essere state coperte con fondi della Regione. Il secondo problema (non in ordine cronologico, né per importanza), è il “caso Binetti-Bonino”, con la “theoden” del Pd che dichiara le sue dimissioni in caso di vittoria della parlamentare radicale alla carica di Governatore del Lazio contro la Binetti e lascia di stucco tutti i vertici del partito, affermando, il 22 scorso: “Io credevo che il Pd fosse un partito che volesse fare sintesi tra una cultura a forte ispirazione cristiana e una cultura a forte ispirazione di stampo sociale. Ma nessuno mi aveva detto che il Partito democratico sarebbe diventato a guida radicale”; rendendo così la posizione di Emma-Avatar del Pd, enormemente più delicata e difficile. E sebbene la senatrice del Pd Francesca Marinaro a proposito delle parole della parlamentare del Pd sulla candidatura di Emma Bonino nel Lazio affermi: “La candidatura della Bonino è stata decisa, all’unanimità, dall’assemblea regionale del Lazio espressa dalle primarie. Alla Binetti vorrei per questo ricordare che sta in un partito e non in un’associazione o un club di amici”; il problema resta e resta anche molto grande. “I partiti – ha continuato la Marinaro – hanno regole, procedure e organi cui spettano decisioni che, una volta prese, vanno rispettate. Porre, infine, come condizione della propria permanenza nel partito la sconfitta della candidata espressa da esso è, oltre che irrispettoso, autolesionistico”. Che direbbe la senatrice di quanto accaduto coll’affaire Vendola in Puglia; con D’Alema che, dopo la vittoria plebiscitaria dell’ex-governatore alle primarie del Pd, afferma di prendere: “atto di questo risultato e della necessità, quindi, per il Pd, di sostenere lealmente Vendola”; dopo aver tentato in ogni modo di metterlo da parte e favorire, così, un’alleanza “strategica” con l’Udc di Casini? Secondo Boccia, il candidato che volevano in Puglia D’Alema e Bersani, “il Pd ha un progetto chiaro, alternativo, ampio e inclusivo” ma, è evidente, anche molto criptico, dal momento che al di fuori emergono solo spezzoni di strategia confusa, rissosa e alla giornata. Boccia che già nel 2005 aveva affrontato Vendola nella prima esperienza assoluta di elezioni primarie in Italia, venendone anche alora sconfitto, ha anche detto: “Oggi da una parte c’è il progetto di una coalizione più piccola guidata da un esponente non del Pd, dall’altra una coalizione più grande guidata dal Pd alla quale partecipano tutti i partiti dell’opposizione parlamentare e di questo sono fiero”. Forse le ultime indicazioni dell’elettorato vanno nella direzioni di un partito magari meno grande, ma più coeso e certo con idee molto più chiare. La vittoria di Vendola indica in modo inequivocabile che la politica anche amministrativa non va intesa come una “normalizzazine” verticistica che intende sovvertire il sentire comune in nome delle logiche di potere. Ancora una volta gli strateghi del Pd sono caduti in errore, proponendo volontà supreme a cui il popolo ha preferito non inchinarsi, rispedendo al mittente anche certi calcoli, fatti col pallottoliere privato. I fatti di Marrazzo e di Bologna ci dicono che il Pd ha bisogno di ricostruirsi una credibilità etica; quelli del Lazio una credibilità di schieramento. Infine, in Puglia, si è resa manifesta la volontà popolare di interrompere i criteri della cattiva politica, solitaria e burosaurica, che pensa di poter scegliere senza far partecipare. Quella stessa che gigioneggia sulle note tristi di Franco Califano, in un deserto di anime, pensando che quella sia la chiave per risvegliare la passione politica ed ideale nel Paese.
Carlo Di Stanislao
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