L’intervista ai coniugi Albergamo è conclusa. Ora chiunque suppongo dovrebbe sentirsi chiamato a fare i conti con se stesso. A prima vista pare che nessuno possa oramai permettersi d’ignorare dicendo “terremoti” di che cosa si tratti. Ma non è tutto qui. Dopo questo primo livello di consapevolezza ne troviamo un altro più intrigante. Quasi che mentalmente penetrando, perché freschi di sisma, nelle viscere della terra ci si sentisse trascinati nel suo ubi consistam, di essenza che appare terribilmente più pregnante e chissà come – fantastichiamo – “motivata”, tanto per usare un linguaggio umano. Questa specie di miniprologo con l’accenno ad un secondo livello di conoscenza ci appare ora più significativo, perché questa volta si spinge in senso inverso, proprio ai fini della nostra ragione di essere.Ma andiamo per gradi. Gli studiosi Albergamo hanno ritenuto irrinunciabile inviarmi una estrema sintesi della situazione geologica dell’Appennino –“indispensabile per capire”- dando per scontato un minimo di preparazione almeno quanto al lessico peculiare a questa disciplina. Mi viene da sorridere a tale ottimistica presunzione. Io per prima, suppongo come la maggioranza dei miei connazionali, dovrei armarmi di un buon vocabolario specialistico per riuscire a capirci alcunché.. Infatti, scorse immediatamente, spinta non dalla fretta ma dalla sete di sapere, quelle micidiali “paginette”di sintesi ne sono uscita sconfitta, anche se con il proposito di tornare a rileggerle con più calma. Pur sapendo che a nulla gioverà. ( A posteriori aggiungo che dopo aver tradotto termine su termine il quadro d’insieme mi è apparso più intelligibile). Ma il punto è ancora un altro. Il punto è che durante questa impari lettura, stranamente – vista la mia stessa ammissione di non aver potuto capire neppure il minimo dell’indispensabile – dopo, ma forse è più esatto dire già durante la lettura di quelle pagine sono stata investita da uno squarcio di luce accecante sul tipo di quel che accadde sulla via di Damasco all’ebreo Paolo. Del tutto avulsa dalle abituali vane parole, nel totale mutismo d’ogni razionalità e sensorialità mi sono colta nell’atto di entrare fisicamente nelle viscere della mia terra. Ed è da lì, nel guardare alla superficie che alacremente calpestiamo giorno per giorno, si è svelata l’inequivocabile misera visione di quel che noi umanità in realtà siamo. Non protagonisti, forse transitorie irrilevanti presenze nella storia dell’Universo, di certo presuntuosi cerebrali vani elaboratori del mistero nel quale siamo immersi.
Qualcuno dirà di certo: la scrivente ha fatto la scoperta dell’America, lo sappiamo bene che non siamo che polvere e che polvere finiremo, tutto ce lo fa credere, oltre le religioni e le tante diverse acquisizioni dell’intelligenza umana. ( E qui non adombriamo neppure il dato che più di una religione ci offre la previsione di certezza di un aldilà che ci attende).
Cerco di spiegarmi. A quanti di noi hanno dunque ben presente questa nostra caducità dico che siamo nel novero di quel nozionismo cui siamo adusi quale frutto di una operazione per lo più intellettuale, quando non viceversa trascendentale specie se proiettata nell’ambito religioso. Ebbene quanto a me è apparso come una folgorazione non atteneva per nulla a una “scoperta” propria dell’intelligenza, ma a qualche cosa di differente che non saprei in altro modo indicare se non a un tipo di simbiosi tra l’immaginifico e quella forma secondo me superiore dell’intelletto comunemente detta intuito. Sempre non potendo altro usare che il nostro povero linguaggio di uomini. Giungo quindi a una riflessione più importante e cioè che una cosa è sapere, avere cioè nozioni acquisite a livello mentale, e altro è sentirsene compenetrati fino a fondersi in esse.
Tutto questo ho sentito il bisogno di spiegarlo per poter raccontare più agevolmente a quale conseguenza io sia stata poi condotta, più esattamente portata. Per cominciare mi sono confermata sulla mia convinzione che l’uomo risponderebbe a una etologia senza vie di scampo come qualsiasi altra specie vivente ma a un altro livello di potenzialità, e che tutto il suo agitarsi, combattersi, mitizzarsi e esaltarsi vuoi con l’effimero o vuoi con l’arte, o ancora con il cosiddetto progresso – in buona parte frutto del continuo (apparente) divenire della tecnologia – è in realtà statico e nella sua sconfinata vanità anche ridicolo.
Ma allora, si dirà, il libero arbitrio individuale o di Specie nel quale lei vorrebbe credere, sono pura millanteria o mera speranza?, e l’evoluzionismo e il creazionismo, tra l’altro anche non necessariamente in contrasto, inutili virtuosismi della cosiddetta cultura?
Io non sento la necessità di concludere epidermicamente con questo catastrofismo totale, penso di voler piuttosto dire che solo guardando entrando comprendendo e compenetrandosi nella vitalità del nostro pianeta (e non solo) potremmo capire che probabilmente non ci si può più limitare a bussare alla porta dei filosofi o dei teologi o di tutti gli insegnamenti specialistici che ci circondano per cercare di capire chi siamo e che cosa potrebbe essere in nostra facoltà fare.
Tradotta in un progetto concreto questa specie di promozione dell’intendere, l’evento così traumatizzante e illuminante scaturito durante la contemplazione di quelle innocenti pagine dovrebbe condurci a valutare e a decidere di eliminare tutto ciò che non ci aiuta a percorrere la vera strada dell’evoluzione a noi accessibile. Intendo dire che dovremmo usare in altro modo i nostri migliori attributi e utilizzare il lasso di tempo di vita brevissimo concessoci, al di sopra, molto al disopra della summenzionata etologia. Perché è nelle nostre possibilità, oltre che per essere coerenti prosaicamente con la stessa idea di evoluzione che tanto coltiviamo. Prosaicamente perché non credo che questa evoluzione possa essere dimostrata dal fatto che in giorni per noi lontani noi camminassimo a…quattro zampe. Infatti nulla della nostra storia ha infatti testimoniato che l’evolversi somatico sia stato accompagnato da una equivalente evoluzione del comportamento individuale e di quello di massa, essendo per me il comportamento l’unico valore che può fregiarsi di un vero significato culturale. Ecco che l’inutilità del massiccio abuso di violenza e di stupefacente crudeltà costantemente esibito dall’uomo appare inequivocabilmente del tutto demotivato e stratosfericamente insignificante. Dunque inutile. Tuttavia e per fortuna neppure mi è consentito negare che in stridente contrasto con la suddetta alacrità autodistruttiva osserviamo una sempre crescente esigenza di signoria su qualsiasi altro valore, dei tanto menzionati diritti umani, ( a tutt’oggi, complessivamente, pura chimera). E ciò induce alla speranza.
Ebbene la nostra collocazione esteriore rispetto l’essenza dominatrice – per cominciare – del nostro pianeta – quasi noi fossimo dei saprofiti che sfruttano la tolleranza di superiori “intelligenze”- dovrebbe ridimensionarci e spronarci a fare della nostra esistenza a compensazione della nostra stessa gratuità, un capolavoro un cesello di armonia. Mi affascina l’idea che ciò potrebbe entrare nelle nostre facoltà e lo credo possibile e lo sento pregnatamente motivato. Non certo come sfida al nostro stesso pianeta, ma come accattivante reazione ripeto alla nostra stessa caducità. Compresa l’essenza gratuita oltre che brevissima della nostra vita ogni attivismo di distruttivo imbarbarimento sigla la nostra sterile e fossile idiozia. Lo strumento per issarci al di sopra del nostro assetto attuale è quello di un diverso uso dell’intelligenza e del suo dovere di venire a patti con tante altre nostre non sfruttate potenzialità.
Non credo infatti sia stato il caso a calare in noi l’immediatezza dell’intuito che se coltivato può condurre disciplinare e ridimensionare la superba presunzione dell’intelligenza, e neppure che sia stato il caso a dotarci di quella sconfinata potenzialità affettiva che è relegata negata e misconosciuta in troppi di noi perché spesso ritenuta debolezza.. Se tutto questo è o almeno possa essere verosimile, non potrà non avere un’origine, una ragione.o ancora di più una finalità cui noi umani potremmo ambire e per la quale lavorare. Sono tanti i segnali, i fermenti che la nostra società esprime, ancora alquanto caoticamente, e che altro non attendono se non un totale riscatto dalle cattive tradizioni e dalle nefaste dipendenze. Per tutte queste esperienze credo proprio che non sia da considerarsi improbabile, o utopistico, se seguendo questa ispirazione, una volta eliminata la violenza dalla superficie terrestre – ripeto tipica della nostra etologia tutt’altro che evoluta – perché finalmente da noi identificata nella sua totale sterilità non solo etica ma fisica, non ci giunga proprio dalle viscere del pianeta che ci ospita un inedito miracolistico consenso e suggerimento.
Ecco che imparando a convivere con la prorompente vitalità della nostra giovane terra e di nostri particolari territori è probabile che i valori dei quali sentiamo tanto parlare, a noi si riveleranno gradualmente a un livello di una verità fino ad oggi inaccessibile e secondo parametri del tutto diversi da quelli cui siamo stati tenuti ad attenerci o che abbiamo ora a torto ora a ragione a volte combattuto. Dobbiamo quindi uscire dai nostri limiti e strappare dalla nostra coscienza, nella concreta quotidianità, ogni automatismo competitivo, ogni ragione di scontro frontale. Ecco dunque riapparire il libero arbitrio, perché starà a noi di scegliere l’abbandono del branco tradizionale per una convivenza fortemente collaborativa allo scopo di trasformare il breve transito del nostro esistere, in una grande felice – anche se miniaturizzata – composizione di civiltà. Mentre il cuore della terra continuerà ad ardere ancora, mi piace supporlo, anche per tutti noi.
Gloria Capuano
Importante quesito: Chiedo a chi mi ha gratificata della sua attenzione se sottoscriverebbe l’idea di introdurre nelle scuole a partire dalle elementari un Corso di Geologia e Vulcanologia non solo per familiarizzare sin dall’inizio i futuri cittadini con la terminologia e i contenuti di questo fondamentale ambito della ricerca scientifica allo scopo di affrontare senza panico l’obbligata convivenza con il sisma, ma anche e soprattutto al fine di offrire sin dall’infanzia una più realistica gerarchia dei valori cui attestarsi nella gestione della vita. Sarebbe l’unica dimostrazione di un vero dominio sulla natura ben diverso di quello velleitario di statico barbaro fruitore del cosiddetto Progresso. (Gl.C.)
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