Per i cento anni dalla sua nascita (avvenuta il 23 gennaio del 1910), i suoi allievi moderni, anche se indiretti, gli hanno dedicato un doppio CD dal titolo emblematico” Django generation”. Unico europeo ad essere entrato nei “giganti del jazz”, dopo un lungo girovagare in varie nazioni europee e nordafricane, Djiango Rehinard si fermò, con la sua carovana, alla periferia di Parigi, città che ebbe come scenario per quasi tutta la carriera. Quando aveva solo diciotto anni e mentre era un apprezzato banjoista, subì un grave incidente: la roulotte della famiglia fu divorata da un incendio e Django riportò gravi ustioni, tanto da perdere l’uso della gamba destra e di parte della mano sinistra (l’ anulare e il mignolo, distrutti dal fuoco, furono saldati insieme dalla cicatrizzazione). Questo incidente era destinato a cambiare la sua vita e la storia stessa della chitarra jazz. Infatti, a causa della menomazione alla mano sinistra, dovette abbandonare il banjo e cominciare a suonare una chitarra che gli era stata regalata, meno pesante e meno ruvida, divenendo il precursore del genere “manouche”, inventando cioè un modo di fare musica del tutto personale, ripreso successivamente da varie generazioni di musicisti.
Molti sono i chitarristi moderni che si ispirano direttamente a Jean Baptiste “Django” e che hanno formato una vera e propria scuola di chitarra gipsy jazz: Biréli Laarene, Anaelo Debarre, Stochelo Rosenbera, Tchavolo Schmitt, Fapv Lafertin, Romane, Dorado Schmitt e l’italiano Claudio Pietrucci, solo per citare i più famosi. In Francia, oggi, “Djiango” è considerato un patrimonio nazionale, al pari di Ravel, Debussy, Fauret e Poulenc, un lascito francese al mondo. E il 9 luglio di otto anni fa, in una indimenticabile notte parigina, in un’arena completa di spettatori, al FestivaI di Vienna in Francia, la sua musica riprese tutto il suo slancio, attraverso le dita magiche di Biréli Lagrene: la vera reincarnazione del maestro. Ed ora, alcuni fra i maggiori jazzisti di oggi, per la collana Dreyfus Jazz, ci propongono la raccolta “Generation Django”, dove sono racchiuse tutte le passioni e le varianti che questo genere ha suscitato nelle generazioni successive. Un disco dai sapori di un tempo, ma pieno di musicalità e sonorità che di questo genere furono tipiche.
Una raccolta che definiremmo un piccolo gioiello, composto da due CD di assoluta ed elevata qualità. Ventotto brani di quello che è stato un genere che ha mescolato le sonorità tzigane al jazz puro. Esecuzioni eccellenti dove la chitarra fa da padrona. Tantissimi gli artisti presenti in quella collection, tra cui, oltre a Lagrane, Richard Galliano, Caravan Palace, Sanserverino e Henri Salvador.
Nell’ascolto i brividi arrivano quando risuonano “Daphné” e “Nuages”, “Danse Norvegienne”, “Les Yeux Noirs” e la corale “Minor Swing”. Anche “La Mer“ di Trenet e “Blue Skies“ di Berlin (Django suonava gli standard americani meravigliosamente), fanno emozionare, con un clan di chitarristi, Ceccarelli sciolto alla batteria, Frank Wolf al sax e Richard Galliano all’accordeon. Risentiamo poi lo stesso Reinhardt in “Blues Clair” dall’album “Echoes of France” e in “My Blue Heaven”, che davvero incantano. Poi c’è il manifesto di “Nuits de Saint Germain de Prés” con l’italiano Nicola Stilo al flauto; un altro Reinhardt, “Incertitudes”, fino al monumentale Henri Salvador, cantante d’Oltremare, in “Envie de toi”. Chiude Stephane Grappelli con “Blues for Django e Stephane” e un supergruppo: Philip Catherine e Marc Fosset alle chitarre, Niels-Henning Orsted Pedersen al contrabbasso. Uscito in gennaio scorso per la Disc editeur des discs avec collection, il doppio CD ha un costo di 39 Euro.
Carlo Di Stanislao
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