Lo space shuttle VentureStar della Nasa può risorgere grazie al fenomeno culturale Avatar di James Cameron ed alla rivoluzione copernicana delle politiche varate dal Presidente Obama (Nobel per la Pace) strategicamente finalizzate allo sviluppo del Diritto commerciale spaziale. La rivoluzione copernicana per la liberalizzazione dello spazio, è davvero cominciata. I privati, ispirati dal dominio della fantascienza, possono nella realtà, se vogliono, fare affari e ricerca nello spazio esterno. Per questo motivo gli analisti hanno motivo di credere che oggi sia possibile un nuovo Programma d’Iniziativa di Lancio Spaziale (anche della Nasa, l’agenzia che ci ha portato sulla Luna!) annunciato al Congresso Usa ed alle imprese private del mondo intero dallo stesso Presidente Obama. Di idee promettenti per veicoli di lancio riutilizzabili, ve ne sono tantissime ovunque. Il superamento della crisi economico-finanziaria mondiale, sarebbe immediato con tale iniezione di fiducia a dosi industriali. La massima secondo cui chi non impara dalla storia è condannato a ripeterla, sembra più che appropriata. I progetti nel mondo degli affari sono scelti in base alla fattibilità, alla sicurezza (dunque, degli astronauti, dei militari e dei civili) ed al miglior ritorno d’investimento, piuttosto che per la maggior difficoltà o lentezza burocratica di un esperimento. Un’azienda commerciale non può permettersi di programmare il proprio fallimento. La filosofia del nuovo progetto VentureStar (RLV) dovrebbe essere quella di sviluppare un veicolo di lancio riutilizzabile, commercialmente competitivo, che preveda in primis il trasporto di passeggeri paganti. Uno shuttle RLV operativo multiruolo, è un’astronave vera come gli stratosferici Valkyrie Space Shuttle visti in Avatar. Non un dimostratore tecnologico destinato al museo. Come tutti gli aerei, deve avere un immediato utilizzo commerciale, non può solo andare in orbita solo per lanciare satelliti e telescopi. Il VentureStar pubblico-privato deve avere uno sbocco commerciale su basi giuridiche. Ma non basta la capacità di andare in orbita come fanno gli attuali shuttle e i vari razzi governativi. Oggi la principale preoccupazione della Nasa e dei parlamentari americani, dopo il pensionamento dei vecchi space shuttle, è di perdere la propria supremazia spaziale. Giustissimo, visto che così sarà se entro il 2010 i VentureStar non voleranno davvero. A meno che non si proroghi fino al 2015 la vita operativa degli attuali shuttle. Per un RLV si richiede molta più tecnologia e sicurezza (http://www.space.com/news/nasa-budget-senate-hearing-100223.html) in quanto raggiungere l’orbita è un problema ingegneristico di un ordine di grandezza inferiore rispetto alla reale capacità di manovrare il velivolo nell’atmosfera sia al decollo sia nella fase di rientro, in condizioni di totale sicurezza ed isolamento termico. Rispetto agli attuali shuttle, è già possibile. Una differenza di non poco conto, spesso confusa dai mass-media, con il risultato che in questi anni si è parlato spesso del prototipo X-33 e VentureStar della Nasa come di uno stesso veicolo “reale”, piuttosto che di un veicolo di test, quale realmente era l’X-33, e di un veicolo virtuale, il VentureStar, ufficialmente ancora da realizzare con le nostre attuali tecnologie, molto diverse da quelle dell’Anno del Signore 2001. Quando la Lockheed ebbe a dichiarare che il VentureStar non era commercialmente fattibile perché richiedeva altri 10 miliardi di dollari per lo sviluppo. Quindi non si sarebbe potuto fare senza i soldi dei contribuenti statunitensi. Oggi potrebbero essere i consorzi privati a firmare la fattura.
Il nuovo VentureStar non può essere soltanto capace di volare fino alla Stazione Spaziale Internazionale. Deve essere adattato al trasporto di passeggeri, l’unico mercato che può probabilmente ripagare un così grande investimento. Pronto a lasciare l’orbita terrestre per raggiungere gli altri pianeti del Sistema Solare, all’inizio fino a Marte e Venere. Dunque, come ammesso dagli stessi analisti, la massa critica per giustificare un costruttore nel mettere in piedi una linea di produzione di tali veicoli, è il contribuente passeggero. L’unico mercato che può assicurare numeri significativi è la gente, magari coloro che sono andati a vedere in massa il capolavoro Avatar della 20th Century Fox. Ecco allora il problema politico reale. Se la gente vola nello spazio, in orbita, poi dove vorrà andare e per fare cosa? E il trasporto aereo tradizionale che fine farà? Dobbiamo rassegnarci a guardare in poltrona film in 3D-Imax come Avatar, Star Trek, Stargate, Star Wars e il ciclo della Fondazione di Isaac Asimov, magari sul sentiero di attracco alla Stazione Spaziale Internazionale? Una cosa è certa. La Democrazia appartiene al Popolo sempre ed ovunque Esso sia. Dunque anche la Democrazia spaziale. Non dobbiamo aspettarci che le agenzie governative attuali favoriscano la crescita di una vera industria spaziale commerciale con voli low-cost: questo non corrisponde ai loro interessi, per ora. Né a quello dei nostri attuali politici e burocrati. Esiste forse un’agenzia aeronautica che decida come devono essere costruiti e commercializzati i caccia a reazione? Il settore privato guida il mercato e gli enti governativi lo regolano. Se ci sono, attualmente, milioni di persone in aria ogni giorno, qualcosa vorrà pur dire. La vera svolta verso lo spazio esterno del Sistema Solare, senza scomodare il nuovo romanzo di James Cameron, la vera alternativa commerciale, potrebbe fornirla una piccola azienda privata (e un’università ad hoc) con la reale capacità di competere subito su questo terreno. E ce ne sono diverse che promettono scintille già dal 2010. La politica del Presidente Obama (D) può avere successo nella misura in cui l’attuale situazione, dominata dalle agenzie spaziali che si limiteranno alla ricerca pura, verrà rivoluzionata da aziende private in grado di offrire la svolta tecnologica che tutti attendono e che poi seguiranno. Come è accaduto nel mercato dell’automobile e dell’aeroplano. Bisogna liberalizzare il mercato dello spazio, favorendo lo sviluppo del Diritto commerciale spaziale. Finora parecchi hanno tentato, per poi scoprire che è praticamente impossibile competere con agenzie governative i cui “cervelli” esercitano il controllo effettivo e totale sul mercato spaziale e sulle università. Nel settore dei veicoli di lancio riutilizzabili, le aziende private possono ancora oggi incontrare l’insormontabile handicap di tentare di reperire fondi d’investimento da un governo che magari finanzia uno dei concorrenti. Ciò soffoca sul nascere qualsiasi inizio di mercato commerciale spaziale, poiché i “ventur capitalist” ed i finanzieri vedono naturalmente l’agenzia spaziale governativa come l’esperto indiscusso delle tecnologie spaziali. Le cose stanno cambiando, lentamente ma inesorabilmente. Vi sono segnali evidenti che questa tendenza, attesa da tempo, stia aumentando, specialmente grazie alle politiche di uomini come il Presidente Obama e di miliardari che staccano il biglietto per i loro viaggi nello spazio. Sembra un secolo da quando il famoso Dennis Tito mise piede sulla International Space Station! Evidentemente L’universo di Avatar per James Cameron, segue una vicenda parallela alla nostra: se la storia del trasporto spaziale si fosse sviluppata seguendo la falsariga dell’industria aeronautica civile, oggi non solo vedremmo sfrecciare gli space shuttle commerciali come il VentureStar RLV (magari con uno spazioporto in ogni regione d’Italia!), ma saremmo già sul satellite di Saturno, Titano, ad estrarre idrocarburi, salvando la biosfera Terra dai crimini e dagli attentati contro l’ambiente. Tuttavia, lo sviluppo di una vera industria spaziale commerciale, che funzioni indipendentemente dai programmi governativi, è inevitabile e quando questo accadrà, cittadini comuni come coloro che hanno assistito alle magnifiche sequenze iniziali di Avatar, e non solo i multimiliardari, potranno viaggiare nello spazio infinito, per lavoro e diletto. Per farlo bisogna prima sviluppare la giusta cornice giuridica e normativa del Diritto commerciale spaziale, consentendo la perfetta liberalizzazione dell’industria degli space shuttle, lo snellimento delle procedure nell’immensa burocrazia delle agenzie governative che consumano miliardi euro-dollari del contribuente ogni anno, diciamocelo, facendo vedere pochissimo in cambio. E qui il ruolo dei media grazie a Internet, è decisivo. Lo sviluppo di un velivolo di lancio poco costoso, sicuro, riutilizzabile e completamente commerciale, elimina alla radice l’esigenza di budget astronomici che vengono sempre citati nei discorsi ufficiali contro tale liberalizzazione. C’è un inestricabile “ma”. Il semplice principio dell’autoconservazione suggerisce che quanto da noi prefigurato sopra sia l’ultima cosa che qualunque agenzia governativa spaziale vorrebbe mai vedere realizzata. Come se ne esce? Anche grazie al fenomeno sociologico “Avatar” di James Cameron che ci ha fatto vedere fin dal capolavoro Aliens, il bello, il brutto, il buono e il cattivo di come potrebbero realmente andare le cose, con o senza la partecipazione delle agenzie spaziali governative. Per convincere i politici, le imprese e chiunque altro a ridurre il costo di accesso diretto dei privati allo spazio, per dare a tutti noi ciò che realmente desideriamo, c’è una sola via: il turismo, il diritto e il commercio spaziali, ossia l’esercizio effettivo nello spazio delle nostre Libertà fondamentali. Per quanto oggi scientificamente e tecnologicamente impossibile e totalmente inadeguato alla nostra attuale economia, il volo interstellare si può fare. E’ il messaggio innovativo che il regista James Cameron ha lanciato al mondo intero con il suo capolavoro assoluto Avatar, che in Italia non si ferma più, dopo i 60 e più milioni di euro conquistati. Una pellicola volutamente plausibile perché stimola la fantasia e il dibattito scientifico, per nuove idee, progetti e prospettive. Un film in grado di rivoluzionare non solo le casse della 20th Century Fox e dei cinema italiani, ma anche la nostra space vision. Ecco perché parliamo di fenomeno sociologico. Non sarà un caso che Cameron sia stato per tre anni il Consigliere della Nasa. Non sarà un caso che la sua prodigiosa astronave impossibile in grado di lasciare il Sistema Solare per raggiungere (al 70% della velocità della luce) la vicina ma ancora così lontana Alpha Centauri, si chiami Interstellar Venture Star. Non sarà un caso che i due Valkyrie Space Shuttle attraccati e pronti ad immergersi nell’esosfera di Pandora, siano un omaggio a un altro progetto della Nasa. Non sarà un caso che l’astronauta-scienziato Franklin Chang-Diaz stia lavorando da anni al prototipo di un motore al plasma, chiamato VASIMR (Variable Specific Impulse Magnetoplasma Rocket), in grado di generare, grazie a una sorgente nucleare, una propulsione che forse renderà possibile coprire la distanza Terra-Marte in appena 39 giorni, meno dei sei mesi necessari alle attuali tecnologie. E tutto comincia dalla fisica solare del plasma (www.spaceweather.com), ossia dei gas accelerati ed arroventati dai forti campi magnetici del nostro luminare. Una propulsione che in teoria sarebbe in grado di portarci davvero su Alpha Centauri. Ma oggi bisogna salvare il programma spaziale umano (e non solo americano) nel Sistema Solare. A soli quattro lanci dalla conclusione ufficiale dell’era delle fantastiche navette Nasa, arrivano in soccorso le industrie private. La decisione del Presidente Barack H. Obama, voto del Congresso permettendo, apre le porte in tutto il mondo a una cornucopia di iniziative che richiamano alla memoria proprio gli shuttle stratosferici del kolossal Avatar. Il Presidente Obama ha tracciato la via per la nuova fase progettuale ed esplorativa dell’industria commerciale spaziale. Un evento politico epocale. I cittadini hanno capito che il futuro non va nella direzione del settore pubblico? Crediamo di no. Eppure l’industria spaziale privata e quelli di noi che coltivano il sogno di andare un giorno davvero a spasso nel Sistema Solare ed oltre, dovrebbero essere grati al Presidente Obama. La cancellazione dell’obsoleto Constellation (riproposizione delle missioni Apollo) a conti fatti, moltiplicherà esponenzialmente i posti di lavoro nel settore privato dell’industria spaziale e si rivelerà un’autentica benedizione per nuovi progetti molto più ambiziosi in grado di stimolare la nascita di una nuova economia mondiale grazie ai consorzi spaziali. L’idea sarebbe quella di varare progetti, anche su iniziativa diretta di scienziati, ricercatori, ingegneri e tecnici, la cui realizzazione immediata dovrebbe essere rivolta alla costruzione di velivoli come il Venture Star (RLV), lo space shuttle sperimentale proposto dalla Nasa negli Anni Novanta del secolo scorso. L’idea era quella di creare un sistema di lancio immediato, riutilizzabile e monostadio, con nuovi motori, capace di raggiungere l’orbita terrestre in pochi minuti, a Mach 15 ed oltre. Il primo obiettivo del programma, ufficialmente annullato nel 2001, tre anni prima del famoso Constellation, consisteva nello sviluppo di un prototipo X-33 (alimentato da due motori J-2S Linear Aerospikes, Mach 13+) riutilizzabile senza equipaggio per il lancio di satelliti in orbita a circa 1/10 del costo di altri sistemi equivalenti. Avrebbe dovuto rimpiazzare completamente la flotta degli space shuttle. Inizialmente concepito senza astronauti a bordo, si pensava che nel tempo, nella versione definitiva del Venture Star (single stage to orbit reusable launch vehicle – SSTO RLV) avrebbe potuto benissimo trasportare anche passeggeri umani. Il VentureStar avrebbe potuto fornire un rientro rapido e lanci a basso costo con un sistema modulare in grado di decollare, atterrare e decollare di nuovo in sole 48 ore, senza smontare e rimontare nulla daccapo come accade invece con gli attuali shuttle prossimi al pensionamento. Ma l’RLV avrebbe dovuto usare un nuovo scudo termico in metallo, più sicuro e meno costoso da mantenere rispetto a quello in ceramica degli shuttle, magari alimentato da un avveniristica protezione elettro-magnetica. Il VentureStar sarebbe decollato in posizione verticale per poi atterrare planando come lo shuttle. Il progetto richiedeva l’utilizzo di motori aerospike lineari in grado di fornire una spinta ad alta efficienza ad ogni altitudine. E’ interessante notare che il VentureStar avrebbe dovuto spingere con altrettanta efficienza le attività commerciali nello spazio con voli affittati alla Nasa e ad altre agenzie governative. Ma il programma venne cancellato il 1º marzo 2001. Pensate, proprio quando era già in costruzione un prototipo in scala, finanziato dalla Nasa, denominato X-33 (diverso dalla configurazione definitiva del VentureStar) la cui costruzione, secondo fonti ufficiali, sarebbe stata contraddistinta da continui fallimenti nei test, da battute d’arresto e dallo sforamento del budget iniziale. Alcune delle nuove tecnologie richieste (come le cisterne di carburante composite e gli scudi termici metallici) non avrebbero raggiunto gli standard tecnici necessari. La cisterna di carburante composita esplose durante un test di pressione causando un ritardo nello sviluppo del sistema aerospike, costringendo la Nasa e la Lockheed a ricorrere a cisterne in alluminio e a razzi convenzionali. Prima che il programma venisse terminato, era già stato speso oltre 1 miliardo di dollari. Dopo la cancellazione, però, gli ingegneri dissero di essere in grado di realizzare una cisterna d’ossigeno funzionante in fibra di carbonio. Con la fine del programma di test dell’X-33, i successivi piani per la costruzione del VentureStar a grandezza naturale, vennero annullati. Una vera sciagura mediatica e politica. Ma a dieci anni di distanza, c’è chi vuole ritentare di nuovo, sulla scia del fenomeno Avatar. Cameron ha benedetto l’iniziativa di Obama per l’ingresso dei privati nella corsa allo spazio. E come se il regista canedese avesse dichiarato al mondo intero: Save Venture Star Program, Save New Space Shuttle Program. Oggi l’imperativo categorico è di sostituire in pochi mesi la flotta dei vecchi shuttle con navette di nuova generazione dotate di serbatoi criogenici compositi per il combustibile, di un motore aerospike con un corpo molto più aerodinamico e rassicurante dei Valkyrie Space Shuttle visti in Avatar. Oggi ci sono le condizioni politiche, economiche e tecnologiche, sulla base dell’esperienza accumulata, dalla Nasa, dalle agenzie spaziali, dalla stessa Lockheed Martin e dalle industrie israeliane, per costruire una versione commercializzabile dell’SSTO RLV Venture Star. L’intenzione sarebbe quella di operare un sistema di trasporto spaziale come per lo space shuttle tradizionale, con basi e spazioporti sparsi un po’ ovunque nel mondo, con la Nasa e le altre Agenzie governative che acquistano i servizi dalle aziende coinvolte nel progetto. Insomma, “scavalcando” la sfortunata serie di test dell’X-33, un programma “nato morto” prima ancora di crescere. La ricerca del volo spaziale tra la stratosfera, l’atmosfera e lo spazio esterno, oggi può concentrare ogni sforzo ed iniziativa su test “virtuali” (molto più reali) in grado di incentivare la fiducia degli investitori nell’industria commerciale per sfornare Space Shuttle Venture Star veri e propri, immediatamente utilizzabili. Occorre una decisione politica condivisa tra stati, imprese, agenzie e consorzi, come fatto per la Stazione Spaziale Internazionale. La decisione di progettare e costruire l’X-33 si era sviluppata da uno studio interno della Nasa nominato “accesso allo spazio”. Diverso da altri studi per il trasporto spaziale, il progetto vide la luce con la costruzione di un vero veicolo, lasciato a Terra per motivi di sicurezza ed affidabilità. Altra stranezza. La giustificazione fornita nel corso di una conferenza stampa ufficiale, per cancellare il programma, oggi avrebbe del paradossale. Se solo una piccolissima frazione degli incassi di Avatar, fossero destinati subito alla resurrezione del progetto, entro il 2011 il VentureStar potrebbe volare davvero verso la Stazione Spaziale Internazionale. Il Valkyrie TAV (trans-atmospheric vehicle) concepito per trasportare truppe, equipaggiamento e minerali sul e dal pianeta Pandora, avrebbe un’autonomia operativa di 2 mila Km nell’esosfera, secondo Cameron. Il Valkyrie (nome ufficale: SSTO-TAV-37 B-class shuttlecraft) e la nave stellare ISV Venture Star, richiamano chiaramente il progetto VentureStar, così come aveva fatto la serie Enterprise di Star Trek. Ma nel nostro caso non si tratta di andare subito su Alpha Centauri, magari con un motore materia-antimateria (idrogeno-antidrogeno). Ma di volare in orbita con un paio di ali, in maniera immediata, affidabile, efficiente, economica e sicura. Magari da uno spazioporto in Sicilia e Sardegna. Per minimizzare i costi del progetto VentureStar bisogna consorziarsi, ossia sviluppare un nuovo protocollo condiviso di Diritto Spaziale Internazionale che consenta ciò che oggi è semplicemente improbabile. Lo hanno capito benissimo nel 1998 in California quando tutto ebbe inizio grazie alla partnership tra la Nasa e l’industria privata. Il progetto RLV era semplice, come ammesso dalla Federazione Americana degli Scienziati (Fas). Semplice sulla carta come realizzare un volo di linea. E fu varato il 5 agosto 1994 dal Presidente Bill Clinton grazie alla sua space vision nazionale di trasporto spaziale. Tre imprese entrarono direttamente in gara, fornendo un loro progetto preliminare indipendente: la “Lockheed Martin Skunk Works” (Palmdale, California); la “McDonnell-Douglas Aerospace” (Huntington Beach, California) e la “Rockwell International Corporation, Space Systems Division” (Downey, California). Nel luglio 1996 la Nasa selezionò la “Lockheed Martin Skunk Works” per concepire, costruire e sperimentare il primo X-33 del Programma RLV. Con vincoli operativi e tecnologici che oggi farebbero impallidire i creatori di Avatar. La realtà è più fantasiosa della fantasia più sfrenata e con budget limitato il destino dell’X-33 era segnato fin dall’inizio. Il VentureStar, il programma definitivo e di approdo dell’X-33, avrebbe superato gli attuali space shuttle in tutto. A cominciare dalla propulsione necessaria per raggiungere l’orbita e in grado di permettere al velivolo di effettuare manovre tali da atterrare già pochi secondi dopo il lancio! La cancellazione del programma fu una decisione prettamente politica che, tuttavia, ha aperto la strada a una nuova generazione di veicoli commerciali privati. Le agenzie spaziali governative, si limiteranno a contare i cocci o ne approfitteranno? Gli analisti sono concordi nel ritenere spianata la via dello spazio esterno (non solo orbitale) ad imprese private finora relegate alla pura contemplazione della fantascienza. La lunga serie di veicoli e progetti spaziali governativi americani annullati, non tragga in inganno. Il presente e il futuro non va nella direzione del settore pubblico, ma di quello privato e chi non lo sa, farebbe bene ad aggiornarsi prima di apprendere la lezione dalla concorrenza. I miliardari nello spazio hanno già aperto la via. La burocrazia spaziale delle agenzie governative, che si autoalimenta con progetti senza fine, a lunga scadenza, magari anche di ricerca pura, sottraendo risorse utili alla sperimentazione d’avanguardia, non ha futuro. I “cervelli” potrebbero andar via anche subito per altri più fertili lidi. Continuare a far sognare la gente con scoperte e visioni senza futuro, delegando robot, sonde e telescopi allo spazio, non può funzionare. E l’economia per muoversi ha bisogno di ben altro. Certamente non di accantonare grandi speranze e sostituirle con nuove grandi visioni 3D, senza mai realizzarne nulla. Il kolossal Avatar docet. La gente è assetata di spazio, di conoscenza, di conquista, di scoperta, di nuovi mondi e civiltà. Dimenticare è impossibile. La gente non vuole finanziare guerre, dittature e routine quotidiana. Vuole lavoro, vuole impresa, vuole una nuova economia solidale fondata sulla persona umana. E un buon modo per andare sul serio nello spazio (a lavorare, cioè a fare il Pil) è lasciare fare ai privati, con la benedizione delle Istituzioni e del Diritto. E si comincia con l’assumersi rischi e responsabilità, lasciando i profitti a chi se li merita. Il fatto di non essere riusciti negli ultimi 20 anni a sviluppare un’astronave degna di questo nome, ossia un velivolo utilizzabile come un aereo che vola nello spazio orbitale ed esterno fino alla Luna, non può passare in secondo piano. La Stazione Spaziale Internazionale è un buon inizio ma non basta. E con i privati in gioco si va molto lontano. Le date di consegna non subiscono alcun ritardo, se c’è qualcosa da consegnare!
Nicola Facciolini
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