Oggi 2 marzo, la Commissione Ue ha dato il via libera alla coltura della patata transgenica Amflora, per uso industriale, mettendo di fatto fine, dopo 12 anni, alla moratoria sulla coltivazione di ogm in Europa. La decisione della Commissione europea, oltre alla patata Amflora, riguarda anche la messa sul mercato di tre mais geneticamente modificati destinati ad essere utilizzati nell’alimentazione umana e animale. I cinque gli ogm autorizzati che, ha sottolineato l’esecutivo Ue, sono stati ”esaminati con la più grande attenzione, in modo che le preoccupazioni espresse al riguardo della presenza di un gene resistente agli antibiotici siano pienamente tenute in considerazione”. La decisione, ha precisato un portavoce, essendo una procedura scritta, è stata presa all’unanimità’ del collegio dei commissari. ”Dopo un esame completo e approfondito dei cinque dossier ogm sul tavolo, mi è sembrato chiaro che nessun nuovo argomento scientifico aveva bisogno di essere esaminato ulteriormente”, ha osservato il commissario Ue alla salute John Dalli, spiegando che la Commissione ”ha svolto il suo ruolo in maniera responsabile, prendendo decisioni che si basano su esami di sicurezza condotti dall’Efsa”, l’agenzia europea per la sicurezza degli alimenti. “Il fatto di rompere una consuetudine prudenziale che veniva rispettata dal 1998 è un atto che rischia di modificare profondamente il settore primario europeo”. Così il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Luca Zaia ha commentato la decisione, definita “gravissima e inaccetabbile” in una nota dei Verdi che si dicono già ”pronti a presentare un quesito referendario già dalla prossima settimana per evitare che gli ogm vengano coltivati in Italia”. ”La coltura autorizzata – dicono i Verdi – presenta dei profili di rischio molto alti perché avrebbe un gene marker che provoca resistenza ad un antibiotico importante per la salute umana. Secondo i Verdi “si tratta di un vero e proprio assalto alla sicurezza alimentare, alla nostra agricoltura tipica, di qualità e biologica: insomma a rischio c’è tutto il made in Italy agrolimentare”. Anche Legambiente definisce “assurda e omicida per il made in Italy”, la decisione della Commissione Europea, una decisione che ci espone a pericoli enormi, dal punto di vista produttivo ed economico ma anche – prosegue – da quello della salute e della sicurezza. Diversa il punto di vista della Coldiretti. Secondo la decisione europea, in pieno contrasto con la volontà dei cittadini, potrà solo proporre, di fatto, di far decidere liberamente ai singoli Stati membri se coltivare o meno Organismi Geneticamente Modificati (ogm) sul proprio territorio e questo darà finalmente la possibilità all’Italia e alle sedici regioni che si sono già dichiarate ogm free, di vietare la coltivazione nei loro territori. Stando cosi le cose – precisa Marini – l’Europa autorizzi pure quello che vuole tanto in Italia continueremo a non coltivarli. Dopo il divieto posto anche in Germania nell’aprile 2009, si sono ridotti a soli sei, su ventisette, i Paesi Europei dove – sottolinea la Coldiretti – è possibile coltivare il mais BT geneticamente modificato, l’unico presente nel Vecchio Continente. Peraltro il drastico crollo del 12% nei terreni seminati con organismi geneticamente modificati (ogm) in Europa nel 2009 conferma che – continua la Coldiretti – si è verificata un’inversione di tendenza a conferma che fatto che nel coltivare prodotti transgenici non c’è neanche convenienza economica, anche nei Paesi dove è ammesso. Va inoltre notato che, il modello produttivo cui è orientato l’impiego ogm è il grande nemico della tipicità e della biodiversità e il grande alleato dell’omologazione, che è il vero nemico dell’ agroalimentare italiano e per questo dobbiamo tenere duri ed essere contrari. In Italia, per la conformazione morfologica dei nostri terreni e le dimensioni delle nostre aziende, non sarebbe possibile evitare le contaminazioni e sarebbe violata – come afferma Coldiretti – la sacrosanta libertà della stragrande maggioranza degli agricoltori e cittadini di avere i propri territori liberi da ogm. La Coldiretti chiede invece, con decisione un’etichettatura chiara che permetta di sapere se il cibo che mangiamo contiene, direttamente o indirettamente, organismi geneticamente modificati. Circa i supposti argomenti in favore degli ogm, la più parte è stata da tempo smentita o smascherata. Ad esempio ‘ipotesi di risolvere la grave carenza di vitamina A e di ferro, che colpisce una parte rilevante della popolazione umana, con piante geneticamente modificate a tale scopo, come il cosiddetto “riso d’oro” o “riso dorato” nel quale è stato inserito il gene per la provitamina A, rischia di risultare una beffa, poiché, anziché offrire alle popolazioni povere una dieta equilibrata, con differenti tipi di alimenti, si pretende di continuare ad imporre un solo cereale, però modificato. Inoltre questo argomento non tiene quando si parla di un continente certo non marasmatico come l’Europa. Circa l’impiego di una minore quantità di concimi e pesticidi, tre ampi studi recenti smentiscono in pieno tale affermazione. Tanto per citarne uno, prendiamo quello effettuato su 8.200 siti sperimentali delle Università americane dal Charles Benbrook Consulting, Idaho, e pubblicato il 13 luglio 1999 (“Evidenza della riduzione di produzione nelle coltivazioni di soia Roundup Ready (RR) nelle colture sperimentali universitarie, nel 1998”), che dimostra che la produzione di soia RR è inferiore a quella della soia tradizionale di una percentuale che va dal 6,7% fino a un 10%, mentre l’impiego di diserbante per queste stesse colture è da due a cinque volte superiore a quello della soia tradizionale. Circa, infine, il supposto miglioramento del gusto e della proprietà nutrizionali, l’esempio è offerto dal pomodoro non marcescibíle, prodotto dalla Calgene (il “flavr-savr”); manipolato geneticamente in modo che le pareti delle sue cellule si decompongano piú lentamente e che tuttavia negli altri processi di invecchiamento cellulare, come la decomposizione delle vitamine A e C e delle altre sostanze nutrítive, procede a velocità normale, col risultato di pomodoro che mantiene a lungo un aspetto fresco sugli scaffali dei supermercati, ma il cui valore nutritivo è molto ridotto e che oltretutto contiene, come marcatori della manipolazione, geni che causano la resistenza agli antibiotici. Va aggiunto che già a novembre 2001 era un giunto un sì ufficiale e importante agli ogm: quello del Vaticano, con una dichiarazione molto esplicita di mons. Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio consiglio della Giustizia e della pace, il quale aveva detto: “quando un popolo deve sconfiggere la fame ogni cibo può servire a nutrirlo, anche considerando che gli effetti negativi dell’OGM non sono attualmente dimostrati. Chi ha fame non fa distinzione tra i cibi”. Altra illustre presa di posizione in favore dei cibi transgenici, quella di Umberto Veronesi a novembre 2004, affermando, fra l’altro, che solo con l’approvazione degli ogm si favorisce, oltre tutto, la libertà di scelta, sia per gli agricoltori, sia per i consumatori. Comunque va detto, in conclusione, che abbiamo davvero idee poco chiare sull’argomento e che, tra lo scetticismo che accompagna da sempre l’innovazione ed oltre i facili entusiasmi che ne gonfiano le vele, gli ogm, anche prima di ora, sono commercializzati a scopo alimentare (e non solo) in vari paesi tra cui Stati Uniti, Canada ed Argentina; Paesi che sono alcuni dei maggiori produttori ed esportatori di derrate agro-alimentari di cui l’Italia risulta deficitaria sul piano della produzione interna e da questi Paesi spesso importa. Credo quindi che, di là dalle inutili polemiche e pur restando allertati su certe manovre, sul rapporto tra ogm e sicurezza alimentare, vado sottoscritto quanto riportato in un documento del 2004, firmato da 14 Società Scientifiche italiane e l’Accademia dei Lincei, in cui si sottolinea come si debba “concentrare l’analisi non sulla tecnologia con cui vengono prodotte le piante geneticamente modificate, ma sui caratteri genetici inseriti, seguendo un approccio caso per caso“. Si dovrebbe quindi, abbandonare l’approccio critico o fideistico verso gli ogm intesi nel loro insieme, a favore di un consenso razionale perché informato sul processo e sui prodotti derivanti e sul loro impiego.
Carlo Di Stanislao
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