Libere e padrone del proprio destino: era questa l’idea che le donne italiane avevano di sé. Ma era un’illusione, perché le cose negli ultimi vent’anni sono cambiate profondamente e in peggio. Non solo le donne italiane non hanno più fatto progressi, ma hanno cominciato ad arretrare, svegliandosi nel paese più maschilista d’Europa. Quali sono le radici di questo fenomeno e, soprattutto, perché le donne italiane hanno smesso di combattere per difendere i propri diritti? Il libro (“Ma le donne no” della giornalista Caterina Soffici, edito da Feltrinelli) racconta storie, personaggi e fenomeni forse imprevedibili come la nascita e l’evoluzione del velinismo politico o la degenerazione dell’immagine delle donne in televisione e nella pubblicità. O ancora il ritorno di parole antiche, che riemergono da un passato fatto di playboy, massaie e ragazze illibate. Ma soprattutto descrive le donne reali, che quotidianamente devono fare i conti con discriminazioni sul lavoro, part-time negati e l’impossibilità di conciliare lavoro e vita familiare. Il confronto tra la situazione italiana e quanto succede all’estero – dove ci si imbatte in belle storie di donne vincenti, che reagiscono e si realizzano – sconcerta e indigna, ma dimostra che un altro mondo meno sessista è possibile. Un mondo dove vivrebbero meglio anche gli uomini che, in Italia, tanto per dirne una, dispongono non solo di più potere e migliori condizioni di lavoro, ma di un patrimonio 81 minuti e mezzo in più delle donne anche per il tempo libero. Un libro da consigliare a chi nelle donne ha creduto e crede e per quelle “signore” che dopo le scappatelle di “papi” Cavalier Fracassi ed altri, hanno censurato chi, come la signora Lario, si è permessa publiche accuse. Da consigliare a tutti coloro che vogliono ignorare che la prostituzione viene resa attraente e valorizzata con serie televisive come Belle de Jour, ispirata da un noto blog. E lo consiglio assieme all’ultimo libro (“Living Dolls. The Return of Sexism”) di Natasha Walter, la quale ricorda che oggi, in una realtà da grande magazzino, si incoraggino le ragazzine a dipingersi le unghie, passando “dal rosa mandorla di Barbie alla tinta fragola della Bella Addormentata di Disney, al rosa latteo di Bay Annabel, al roseo di Hello Kitty”, in una situazione che coopta la liberazione femminile e trasforma la donna, anche giovanissima, in merce di scambio. Come dodici anni fa la Walther con The New Feminism, oggi la nostra Soffici ci dice che i termini chiave della crescita femminile si sono trasformati in una visione della femminilità ritoccata e iper-sessualizzata, definita dalla pubblicità, dalla televisione e dalle riviste e divenuto mera merce di scambio. Caterina Soffici, fiorentina, vive a Milano con il marito e i due figli. Ha lavorato per Paese Sera, la Repubblica, Italia Oggi, L’Indipendente. Per dieci anni, fino al 2008, è stata la responsabile delle pagine culturali del Giornale. Ha collaborato a programmi televisivi e radiofonici per Rai Due e Radio3 e scrive di cultura e attualità anche per Vanity Fair.
Carlo Di Stanislao
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