La data del decesso risale a venerdì scorso, ma la notizia è stata diffusa solo l’8 marzo dalla figlia, ad esequie già avvenute. A lui si deve il termine “lottizzazione”, adottato per definire l’abitudine dei partiti di spartirsi le nomine negli enti pubblici, in primo luogo alla Rai. E sempre a lui si deve la formula “fattore K”, con la quale indicava nella presenza del Partito comunista più forte dell’Occidente l’handicap che impediva alla sinistra italiana di presentarsi unita come una credibile alternativa di governo al predominio democristiano. Tutte vicende da lui ricostruite nel libro “Il fattore R” del 2004, una vivace autobiografia in forma d’intervista con Pierluigi Battista. Aveva 83 anni, Alberto Ronchey, maestro del giornalismo accurato, pignolo e meticoloso, passato da La Voce Repubblicana, a il Corriere d’Informazione, La Stampa (di cui fu direttore) e, infine, Il Corriere della Sera (editorialista). Nel 1981 divenne opinionista del settimanale “L’Espresso”, tenendo la rubrica “Il dubbio”; poi collaborò con “Panorama” e con la Rai, producendo documentari su Urss, Usa, Germania, Italia e altri su questioni socio-economiche. Critico fra i più attenti della classe politica, come si può constatare nei suoi libri “Accadde in Italia” (1977), “Chi vincerà in Italia?” (1982), !”Atlante italiano” (1997), di formazione liberale, alla Dc rimproverava lassismo e non governo, al Pci i pregiudizi ideologici; mentre non gli dispiacquero alcuni tratti del decisionismo di Bettino Craxi. Disposto anche a mettersi in gioco, accettò l’incarico di ministro dei Beni culturali nel primo governo Amato e nel governo Ciampi, dal 1992 al 1994. i. Grazie al suo impegno ministeriale varò la legge n.3 del 1993 (conosciuta come legge Ronckhey), che ha contribuito a svecchiare la gestione del patrimonio artistico, aprendo all’iniziativa privata. La legge ha consentito tra l’altro ad imprese esterne alla pubblica amministrazione di ‘farsi avanti” per organizzare servizi di accoglienza e ristoro nei luoghi d’arte, come caffetterie, ristoranti, librerie, biglietterie e guardaroba. In seguito fu presidente della Rcs, in un periodo non facile, tra il 1994 e il 1998. In una sua nota Walter Veltroni lo ha ricordato così: “Di Ronchey resteranno proverbiali l’attenzione persino pignola ai numeri, agli indicatori economici, la passione per il linguaggio specialistico, per i vocaboli inglesi: anche senza guardare la firma, quando si leggeva un suo editoriale alla seconda riga si capiva benissimo chi ne era l’autore. E’ stato un giornalista importante per la sua capacità di leggere il mondo e di anticipare fenomeni, per la sua attenzione alla cultura italiana: i suoi anni al ministero dei Beni culturali non sono stati una parentesi in una vita passata a fare un altro mestiere, ma un prezioso contributo di idee e innovazioni in un settore così fondamentale per il nostro paese”
Carlo Di Stanislao
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