I fatti risalgono a venti anni fa, quando, il 7 agosto del ’90. la ventunenne Simonetta Cesaroni fu trovata uccisa in uno stabile di via Poma, a Roma. Da ciò che gli psicologi della polizia poterono constatare sulla scena del delitto, l’assassino avrebbe tentato di violentarla, ma non riuscendovi aveva sfogato la frustrazione con colpi violenti, uccidendo la ragazza. Dalle voci raccolte dalla polizia, Pietrino Vanacore, uno dei portieri, non era con gli altri giù nel cortile nell’orario che va dalle 17.30 alle 18.30, cioè quando Simonetta veniva uccisa. Inoltre, in un paio di suoi calzoni, vengono trovate macchie di sangue. Pietrino Vanacore passa 26 giorni in carcere, poi il suo avvocato riesce a convincere i giudici a farlo uscire. Ad un esame approfondito, inoltre, le tracce di sangue sui pantaloni risultano essere dello stesso Vanacore, che soffre di emorroidi. Due anni dopo un austriaco di nome Roland Voller afferma di sapere chi ha ucciso Simonetta Cesaroni. Racconta che nel maggio 1990, durante una telefonata in una cabina telefonica, a causa di un malfunzionamento è stato messo accidentalmente in contatto con una donna anch’essa al telefono. Chiarito l’incidente, tra i due nasce un’amicizia. Lei è Giuliana Ferrara, da sposata si faceva chiamare Giuliana Valle perché è la ex moglie di Raniero Valle, il figlio dell’architetto 88enne Cesare Valle che risiede nel condominio di via Poma. Giuliana confessa a Voller di essere preoccupata poiché suo figlio Federico soffre per il divorzio e non mangia. Il 7 agosto 1990 alle 16.30 Voller e Giuliana Ferrara si parlano al telefono e lei mostra forti preoccupazioni per il figlio, che è andato a fare visita al nonno Cesare Valle in via Poma, ma non torna. La sera dello stesso giorno i due si parlano nuovamente, lei è sconvolta perché Federico è tornato sporco di sangue dappertutto e ha un taglio alla mano. Giuliana Ferrara, dopo pochi giorni, decide di interrompere le conversazioni con Voller. La testimonianza di Voller è l’unica novità in due anni di vuoto e gli inquirenti indagano sul giovane Federico Valle. Federico Valle si rivolge al suo legale e, proclamandosi estraneo ai fatti, dispone che venga esaminato il suo sangue. Pubblicamente Giuliana Ferrara Valle smentisce Roland Voller; asserendo di conoscerlo, ma di non essersi mai confidata con lui e di non avergli mai parlato al telefono in data 7 agosto 1990. Intanto il test del DNA scagiona Federico Valle, e tre persone gli forniscono un alibi. Il 30 gennaio 1995, arriva in Procura, a Roma, una lettera anonima, che suggerisce di indagare sulla pista del Videotel: una chat line alla quale si poteva accedere con il computer all’inizio degli anni ’90, attraverso un servizio simile all’odierno Internet. La pista, battuta per alcuni anni dagli inquirenti, suggeriva l’ipotesi che Simonetta aveva fatto uso del computer dell’ufficio di via Poma per entrare in contatto, attraverso la rete, con altri utenti. Così, casualmente, poteva aver conosciuto il suo assassino, al quale lei aveva dato un appuntamento per quel pomeriggio del 7 agosto ’90. C’è chi dice anche di aver riconosciuto Simonetta in una interlocutrice del Videotel che si firmava con il nickname Veronica. Un’altra testimonianza afferma di un utente del Videotel che si firmava Dead (come la frase trovata scritta sul foglio accanto al computer di via Poma) e che, entrando in rete dopo il 7 agosto, affermò di aver ucciso la Cesaroni, rivelandolo a tutti gli utenti. Ma la pista si scoprì essere infondata, poiché il computer da lavoro di Simonetta era solo di videoscrittura e non c’era la possibilità di accedere a servizi Internet e Videotel. Alla fine degli anni ’90, poi, girarono notizie in base alle quali l’ufficio di via Poma sarebbe stato un luogo di copertura per alcune attività dei servizi segreti italiani. Dettagli collegati al fatto che Roland Voller, il commerciante austriaco informatore della polizia, che accusò falsamente del delitto Federico Valle, risultò essere un personaggio con probabili collegamenti anche in ambienti di servizi segreti (fu trovato in possesso anche di alcuni documenti riservati sul delitto dell’Olgiata, avvenuto vicino Roma nel luglio del ’91). Questi misteri, comunque, non hanno trovato nessun legame e nessun riscontro con i fatti del delitto Cesaroni. Una ulteriore svolta nel 2004, quando vengono sottoposti ad analisi il fermacapelli, l’orologio, l’ombrello, i calzini, il corpetto, il reggiseno e la borsa di Simonetta Cesaroni; in aggiunta un tagliacarte dell’ufficio (la probabile arma del delitto), il quadro e il tavolo della stanza in cui avvenne il delitto; più ancora un vetro dell’ascensore della scala b, trovato sporco di sangue nel 1990. Solamente il corpetto e il reggiseno della Cesaroni daranno un risultato utile: un DNA di sesso maschile, sotto forma di tracce di saliva. Nel Febbraio dell’anno successivo, viene prelevato il DNA di 31 persone incluse in una lista di sospettati per il delitto. Tra loro anche Raniero Busco (l’allora fidanzato di Simonetta Cesaroni). I DNA vengono messi a confronto con la traccia biologica repertata dal corpetto e dal reggiseno di Simonetta Cesaroni. Nel Gennaio 2007, su 31 sospettati, 30 soggetti vengono scartati, mentre il DNA delle tracce di saliva trovate sul corpetto e il reggiseno di Simonetta Cesaroni corrispondono al DNA di Raniero Busco , che diviene ufficialmente un indiziato per il delitto di Via Poma. Nel Settembre dello stesso anno Raniero Busco viene iscritto nel registro degli indagati per il delitto di Via Poma, con l’ipotesi di reato di omicidio volontario. Nel dicembre successivo viene prelevata l’impronta dell’arcata dentaria di Raniero Busco, al fine di confrontarla (attraverso le foto autoptiche del 1990) col segno a “V” riscontrato sul capezzolo del seno sinistro di Simonetta Cesaroni, segno prodotto da un morso che l’assassino dette sul capezzolo della Cesaroni. Secondo gli esperti, il segno a “V” indicherebbe una forma particolare degli incisivi inferiori dell’assassino. L’analisi sull’arcata dentaria di Busco si integra con l’individuazione del suo DNA sul corpetto e il reggiseno di Simonetta Cesaroni, in particolar modo in corrispondenza del punto del corpo della vittima aggredito dal morso (tra un lembo di reggiseno e il capezzolo del seno sinistro). Il professor Ozrem Carella Prada (medico legale e criminologo che eseguì l’autopsia sul corpo di Simonetta e che riscontrò il segno a “V”) ritiene che il morso fu dato in un punto a metà tra un lembo di reggiseno e il capezzolo, e secondo i risultati delle analisi scientifiche, le tracce di saliva riscontrate avrebbero riguardato proprio questi punti. Ai periti vengono lasciati due mesi di tempo per consegnare i risultati. Nel maggio dello scorso anno i pm laria Calò e Giovanni Ferrara depositano gli atti di chiusura dell’indagine, chiedendo il rinvio a giudizio di Raniero Busco per omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e il 9 novembre: il GUP accoglie la richiesta per cui Busco, ormai sposato e con due figli, deve sostenere un processo per l’omicidio della sua ex fidanzata Simonetta Cesaroni. Il dibattimento si è aperto il 3 febbraio scorso nell’aula bunker del carcere di Rebibbia, dinanzi alla terza sezione della corte d’assise del tribunale di Roma, presieduta dal giudice Evelina Canale, giudice a latere Paolo Colella, con sei giudici popolari e il Comune di Roma che si è costituito Parte Civile. Oggi un nuovo colpo di scena. Il Tg 5 delle 13 ha reso noto che si è suicidato Pietrino Vanacore, l’ex portiere dello stabile di via Poma, affogatosi in località Torre Ovo, vicino Torricella, in provincia di Taranto, dove risiedeva da anni. Secondo quanto trapelato Vanacore avrebbe lasciato un cartelo con su scritto: “20 anni di sofferenze e di sospetti ti portano al suicidio”. Il suo avvocato, hai microfoni di Mediaste, ha dichiarato: “Vanacore ha sofferto per la pressione mediatica sfociata nel mancato rispetto della privacy. Ha cercato di dimenticare, ma il periodico aggiornamento della vicenda ha riaperto la ferita”. Il delitto di via Poma appare un caso che per troppi anni è stato segnato da errori gravi che ne hanno compromesso lo svolgimento. In un suo articolo dell’11 novembre 2009, il giornalista Emilio Radice ha parlato di un’ inedita testimonianza che nel corso del processo per il delitto di via Poma (che si aprirà il 3 febbraio 2010) il Pm Ilaria Calò porterà in aula a carico dell’imputato Raniero Busco. Si tratterebbe di una donna (del quartiere romano del Tuscolano e ventenne nel 1990, l’anno del delitto di Simonetta) che all’epoca dei fatti avrebbe avuto, per qualche mese, una relazione segreta con Raniero Busco. Quanto al povero portiere, nel 2008 i magistrati avevano aperto un nuovo fascicolo su Vanacore, e il 20 ottobre avevano disposto una perquisizione domiciliare nella sua casa pugliese di Monacizzo (Taranto), ma senza che questa portasse ad alcun risultato. Il 26 maggio dello scorso anno si ha notizia dell’ archiviazione d’indagine a suo carico e tutto sembrava per lui ormai risiolto. Invece, da quanto si apprende da Wikipedia, la notte scrosa Pietrino si è recato con la sua Citroen AX grigia in località Torre Ovo, vicino Marina di Torricella, in provincia di Taranto, si è legato ad un albero attraverso una fune al collo e poi si è lasciato affogare in un corso d’acqua sottostante., tre giorni prima di una sua testimonianza (assieme alla moglie Giuseppa De Luca e al figlio Mario), al processo in Corte d’Assise sul delitto che gli ha rubato la vita.
Carlo Di Stanislao
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