Il comitato “sì al carbone”, la cui malinconica denominazione la dice lunga sulla ideologia che lo ispira, ha risposto alla nostra nota sullo studio americano in merito ai danni provocati dalle centrali a carbone riconoscendone in sostanza la fondatezza ma accusandoci, chissà perché, di disinformazione.
Sorvolando su tale gratuita mancanza di rispetto, preferiamo replicare direttamente all’ENEL, le cui valutazioni certo coincidono con quelle del suddetto comitato, rilevando quanto sia infondata e fuorviante l’affermazione secondo la quale la Centrale di Cerano non rientrerebbe nell’area di valutazioni dello studio statunitense né nella media dei danni rilevata dal medesimo.
Lo studio della Harvard University di Boston dimostra con inconfutabili argomenti l’entità dei danni provocati da tutte le centrali a carbone: danni gravissimi, sia sanitari che economici, anche se variabili in rapporto alle diverse situazioni di attrezzatura tecnologica, di funzionamento e di localizzazione degli impianti.
Maldestra si appalesa quindi l’operazione rivolta a nascondere ciò che il citato studio vuol mettere in luce. Si afferma nella sortita alla quale replichiamo che la Centrale di Cerano ha iniziato la produzione nel 1991 ma il fatto è che la sua costruzione ha avuto inizio molti anni prima. Né va dimenticato che l’ENEL ha gestito per lungo tempo e fino a qualche anno addietro la Centrale a carbone di Brindisi Nord.
I ricercatori di Harvard spiegano i motivi per i quali valutano 407 impianti su 514: perché solo per questi 407 sono disponibili i dati completi sulle emissioni, perché hanno escluso le centrali riconvertite in quanto adattate e perché è richiesto che siano in funzione nel 1999. L’analisi viene invero condotta sui dati di tale anno.
L’affermazione secondo la quale lo studio di Harvard prenderebbe in esame impianti costruiti intorno agli anni ’70 non è rilevabile da nessuna fonte citata dagli autori. G
li Stati Uniti avrebbero smesso di costruire centrali negli anni ’70? Allora non sarebbe vero, come dice lo stesso Enel, che ne hanno ancora in progetto! Al contrario, gli autori dello studio descrivono nel 2009 un modello basato sulle emissioni del 1999 per consentire alla politica di fare scelte energetiche vantaggiose per la salute e le tasche dei consumatori.
«Questi impianti (i 407 ndr) – si legge nello studio – non sono rappresentativi dello schieramento degli impianti a carbone degli Stati Uniti, ma essi emettono oltre il 90% delle emissioni di SO2 e PM 2,5 ed oltre l’80% dell’emissione nazionale di NOx negli impianti energetici nel 1999». Quanto alle “tecnologie avanzate”, alle quali non si applicherebbe lo studio in questione, occorrerebbe verificare che cosa si intende per “tecnologie avanzate” e quali sono quelle in dotazione della locale centrale ENEL.
Lo studio di Harvard ha lo scopo di offrire ai decisori politici di quel Paese, utili modelli di analisi dei rischi. E’ interessante riportare qui di seguito testualmente l’ultima parte delle conclusioni dello studio: «In relazione alla grandezza dei danni alla salute in rapporto al costo dell’elettricità, i valori da noi calcolati sono notevoli in rapporto al costo dell’elettricità al consumo (una media di 0.09 USD /kWh per tutti i consumatori).
Se i costi esterni fossero internalizzati ci sarebbe una significativa ramificazione di scelte tra combustibili in competizione per la produzione di energia negli Stati Uniti.
In particolare i vecchi impianti appaiono antieconomici rispetto a molte tecnologie rinnovabili quando il prezzo di mercato ed i costi esterni si uniscono, sebbene questo sia variabile a seconda delle aree del paese e delle tecnologie. La grandezza e la variabilità dei danni associati con le tecnologie esistenti dovrebbero essere tenute in conto quando si disegna una politica energetica ottimale negli Usa ed altrove».
Una interessante annotazione ma noi aggiungiamo che, con tutta la variabilità del calcolo dei danni, i costi esterni stimati ad Harvard possono benissimo essere calcolati sulle emissioni autocertificate da Enel e dagli altri produttori.
Prima di firmare le convenzioni bisognerebbe in ogni caso calcolare il danno esterno minimo, sanitario e monetario, rilevato da Harvard utilizzando almeno le quantità di emissioni autodichiarate dalle aziende. Resta il fatto che ciò che a noi più preme sono i danni sanitari che richiedono, senza ombra di dubbio, una seria riduzione del carbone bruciato della Centrale di Brindisi Sud.
E’ di questo che si deve convincere l’ENEL accantonando l’illusione che la nostra comunità possa essere zittita o distratta con concerti e manifestazioni sportive o, ancor meno, con fuorvianti letture della documentazione scientifica.
FONTE FORUM AMBIENTE SALUTE E SVILUPPO
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