Come si ricorderà, a Bussi sul Tirino, in un terreno situato sulla sponda destra del Pescara, è stata rinvenuta, nel 2007, una megadiscarica di rifiuti tossici, che ha causato un danno ambientale di proporzioni gigantesche, stimati in oltre 8 miliardi e mezzo di euro, per inquinamento alle acque superficiali e ai terreni. La quantificazione dei danni è contenuta in un decreto direttoriale del ministero dell’ambiente, risalente al 17 febbraio scorso, ma che è stato depositato dagli avvocati della Solvey, Alfio Valsecchi e Dario Bolognesi, nel corso dell’udienza preliminare sulla discarica, celebrata l’11 marzo scorso. Ancora ieri, durante l’udienza, si è discusso sull’ammissibilità delle costituzioni di parte civile avanzate da enti, associazioni e cittadini. Nella causa contro i diversi responsabili (27 sono gli imputati), si sono costituiti, infatti, parte civile la Regione Abruzzo, il ministero dell’Ambiente la presidenza del Consiglio dei ministri e, ancora, nell’udienza interlocutoria del 25 febbraio, il Wwf, Legambiente, i Comuni di Chieti e Tocco da Casauria, alcuni lavoratori della Solvay, cittadini di Bussi e l’associazione “Sos Utenti”. Tuttavia, nella stessa seduta, gli avvocati dei 27 imputati hanno ritenuto che solo il ministero per l’Ambiente è legittimato a costituirsi parte civile perché il Testo unico sull’ambiente del 2006 stabilisce che è il ministero il titolare dell’azione risarcitoria per il danno ambientale. Tra le associazioni, unico a non essere stata bocciata dai difensori, il Wwf – rappresentato dagli avvocati Tommaso Navarra e Fabio De Massis. La prossima udienza è stata fissata per l’11 aprile. Il processo si prevede lungo e, ancora più lungo, il recupero di un intero territorio completamente e radicalmente devastato da anni di condotte fuori da ogni legalità. Viene da riflettere, ancora una volta, su come questa nostra società produca e non controlli lo smaltimento di rifiuti, condizione legata, si dice, alla civiltà e alla modernità. L’emergenza di Napoli, i rifiuti ancora da risolvere in varie città siciliane (Ragusa, Palermo, ecc.), ci dicono che anche questo governo tende ad accantonare e nascondere, senza risolverlo, il problema. Ma, non solo. Come ha acutamente scritto Raffaele Langone sul giornale Gli Italiani (edizione di oggi 12 marzo), questa società produce anche “rifiuti umani”, globalizzando così la diffusione del rifiuto ad ogni livello. Secondo il vocabolario della lingua italiana, rifiuto è sinonimo di scarto, immondizia, pattume, prodotto di risulta; ma forse oggi va aggiunta una voce: quella d’esubero. Secondo il grande Bauman essere in “esubero” significa essere non necessari, inutili, in soprannumero, quindi di scarto: un vero rifiuto. E siccome non c’è giorno che passi nel quale i giornali non riportino la notizia della chiusura o del ridimensionamento di qualche fabbrica o azienda di servizi, siamo davvero diventati una nazione che produce “rifiuti” anche umani. Essere dichiarati in “esubero”, quindi un rifiuto, significa essere destinato alla discarica, all’immondezzaio al pari di tutti i prodotti imperfetti e difettosi che gli addetti al controllo qualità scartano dalla catena di montaggio. Si dice che la produzione di “rifiuti umani” sia il risultato inevitabile della espansione della nuova modernità. Se così è allora, occorrono veramente delle “discariche umane”, magari da affidare alla onnipresente e totipotente Protezione Civile, che raccolgono i “rifiuti” della nuova modernizzazione, che funzionino da “pattumiera”: destinazione ultima degli esclusi per diventare l’unica prospettiva naturale per migliaia d’uomini e donne, amministrati da chi crede non necessario il prolungamento, in via sperimentale, della cassa integrazione, taglia 6 miliardi dagli ammortizzatori sociali (saranno usati per Bussi o per L’Aquila?) e ritiene cancellabile l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori sul licenziamento per giusta causa
Carlo Di Stanislao
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