400 anni fa Galilei fondava la scienza moderna per la caccia alla Antimateria subnucleare

Antimateria dal cuore della Terra. Grazie allo scienziato cattolico Galileo Galilei che 400 anni fa, il 12 marzo 1610, fondava la scienza moderna, oggi i ricercatori italiani e di tutto il mondo possono andare a caccia di antiparticelle dal centro della Terra allo spazio cosmico, dalle viscere del Gran Sasso d’Italia ai confini dell’Universo. La […]

Antimateria dal cuore della Terra. Grazie allo scienziato cattolico Galileo Galilei che 400 anni fa, il 12 marzo 1610, fondava la scienza moderna, oggi i ricercatori italiani e di tutto il mondo possono andare a caccia di antiparticelle dal centro della Terra allo spazio cosmico, dalle viscere del Gran Sasso d’Italia ai confini dell’Universo. La ragnatela neutrinica è attiva per svelare i segreti delle profondità della Terra dove la burrascosa lava fluisce verso la crosta. Gli scienziati del Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, sono entusiasti della scoperta dei Geoneutrini di Antimateria nel cuore del pianeta e in trepidante attesa. Se il 12 marzo 1610, una data storica per l’Umanità, non è segnato in alcun calendario, ciò dipende dall’Hiroshima culturale nella quale siamo tutti immersi.

Son certo che niente si lascia indietro dalla Divina Provvidenza di quello che si aspetta al governo delle cose umane”(Galileo Galilei, Opere VII, 394-395). Eppur credeva, il grande scienziato cattolico Galilei, il divin uomo, padre della Scienza moderna che pose fine al medioevo delle menti nel dare alle stampe il Sidereus Nuncius. Era il 12 marzo 1610, una data storica per l’Umanità, che però non è segnata in alcun calendario, nonostante i convegni, le lezioni, le mostre e le tavole rotonde! Grazie a Galilei che credeva in Colui che ha fatto il Mondo (e non nel caos ateo e agnostico di una fede nel nulla) oggi i ricercatori italiani e di tutto il mondo possono andare a caccia di antiparticelle dal centro della Terra allo spazio cosmico, dalle viscere del Gran Sasso d’Italia ai confini dell’Universo, con due principali esperimenti: Borexino e AMS. Alla vigilia dell’opposizione del pianeta Saturno (22 marzo 2010) che sorge quando il Sole tramonta e tramonta quando il sole sorge, e della congiunzione Marte-Luna del 24 marzo, sempre grazie a Galilei gli scienziati possono annunciare che è ufficialmente aperta la caccia dell’Antimateria (sub)nucleare nello spazio e sulla Terra. Senza la logica matematica di Galilei, nonostante il genio di Leonardo, saremmo ancora nel medioevo perché senza la matematica e senza gli esperimenti riproducibili, la scienza non può esistere. Se è sempre più urgente la liberalizzazione del diritto commerciale alle imprese spaziali pubbliche e private, tra l’altro per la realizzazione di nuove navette tipo VentureStar che assicurino all’Umanità l’accesso diretto, facile e sicuro al Cosmo; i fisici delle particelle sono in trepidante attesa di poter esaminare i dati dell’esperimento AMS (Anti Matter Spectrometer) da 1,5 miliardi di dollari e 2,5 kWatt di potenza. AMS ha la capacità di distinguere, fino a mille megaparsec dalla Terra, gli elettroni dai protoni, per scovare i raggi cosmici dotati di energie di oltre 100 Tera-elettronVolt (TeV), ben superiori ai 7-14 TeV rilevabili al Cern di Ginevra (Lhc). AMS esplorerà il dominio del 25 % dell’Universo. Una potenzialità non di poco conto visto che è molto importante per la misurazione dei raggi cosmici, il 90% dei quali sono gli indistruttibili protoni, sfondo naturale per altri dati di forte interesse per gli scienziati. Dallo spazio AMS dovrà scovare abbondanze di positroni ed elettroni, uno dei possibili indicatori per la Materia Oscura (il 23% della massa totale dell’Universo che non emette radiazioni osservabili) gravitazionale. Accanto all’abbondante 75% di Energia Oscura antigravitazionale ed al 2% di materia normale tra cui l’Uomo. L’Europa ha contribuito in larga misura alla progettazione, allo sviluppo di AMS ed alla missione sulla Stazione spaziale internazionale (Iss) in queste sere brillante come Venere sui cieli d’Italia. Un’impresa degna di una sequenza in 3D a bordo dell’astronave interstellare Venture Star della compagnia RDA, in arrivo su Alpha Centauri, nel capolavoro assoluto Avatar di James Cameron. E l’impresa AMS è ancora più speciale per gli europei: l’astronauta che volerà insieme all’esperimento sarà Roberto Vittori dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea. Il progetto AMS è guidato dal premio Nobel Samuel Ting, dal Massachusetts Institute of Technology (MIT), e coinvolge un team internazionale composto da 56 Istituti di 16 Paesi. L’Esa è uno dei partner nella collaborazione AMS attraverso la Direzione di Human Spaceflight. La Nasa ha messo ufficialmente in programma per il 29 luglio 2010 la missione Shuttle STS-134 Endeavour (la 35ma sulla Iss, la 133ma della navetta, comandata da Mark Kelly: pilota Gregory H. Johnson e mission specialists Michael Fincke, Greg Chamitoff e Andrew Feustel) di dieci giorni. L’astronauta Roberto Vittori sarà Specialista di Missione. Il volo comprenderà tre passeggiate spaziali e l’installazione di AMS all’esterno della Stazione spaziale che, secondo alcuni analisti della collaborazione internazionale, potrebbe rimanere in orbita fino al 2028 (Meeting Tokyo, 11 marzo 2010) magari con un’estensione dei voli delle navette shuttle. Se ne parlerà sicuramente allo Space Summit del 15 aprile 2010 in Florida con il Presidente Obama. Una volta montato sul lato destro del traliccio della Stazione, AMS raccoglierà informazioni dalle sorgenti cosmiche alla ricerca di prove della presenza di Antimateria così da migliorare ulteriormente non solo la nostra conoscenza dell’Universo. Roberto Vittori, tenente colonnello dell’Aeronautica Militare Italiana, ritorna sulla Iss nel penultimo viaggio dello Space Shuttle. Stavolta, però, non più partendo da Baikonur sulla Soyuz, ma da Cape Canaveral sulla navetta Endeavour. AMS, l’ambizioso laboratorio orbitante europeo per la fisica delle particelle realizzato col contributo fondamentale dell’Italia, è un rilevatore molto speciale. E’ il più grande strumento scientifico mai installato su una stazione spaziale orbitale, ma è anche il primo spettrometro magnetico ad andare nello spazio. Il più grande magnete superconduttore raffreddato criogenicamente mai utilizzato oltre i confini della Terra. Gli Extraterrestri, se esistono, ne sono certamente a conoscenza. Scherzi a parte, Vittori avrà modo di marcare un paio di record di tutto rispetto: sarà il primo astronauta italiano ad aver raggiunto lo spazio orbitale sia sulla Soyuz sia sullo Shuttle. Allo stesso tempo sarà il primo ad entrare per ben tre volte sulla Iss. La missione inorgoglisce l’Arma Azzurra e l’Italia intera, sancendo la positiva cooperazione tra Forza Armata, Agenzia spaziale italiana ed Esa, che ha portato negli ultimi anni a dei risultati di eccellenza in ambito internazionale. Lo spazio sta diventando sempre più un luogo di lavoro quotidiano e nel prossimo futuro rappresenterà un pilastro fondamentale della nostra Economia, per garantire a tutti quelle capacità operative sempre più efficaci ed efficienti che solo la liberalizzazione dell’impresa spaziale può garantire. La possibilità del volo di Vittori deriva da un accordo bilaterale tra l’Agenzia spaziale italiana e la Nasa riguardo all’utilizzo dei Moduli Logistici MPLM (Multi-Purpose Logistic Module) multiruolo costruiti dall’Italia: Leonardo, Raffaello e Donatello. Conferma il ruolo di primo piano del nostro Paese in un programma così ambizioso come la costruzione e l’attività operativa della Stazione spaziale internazionale a 400 km di quota; e, quindi, il successo del Diritto Spaziale a fondamento di ogni futura impresa umana. Sarà il primo volo di Vittori a bordo dello Shuttle. Nell’aprile 2002, Vittori trascorse 10 giorni sulla Iss svolgendo un conciso programma sperimentale. Tre anni dopo ritornò sulla Stazione per altri 10 giorni, per condurre un programma di 22 esperimenti. In entrambe le missioni Vittori ha volato come Ingegnere di volo sul veicolo spaziale russo Soyuz. “La Iss è cambiata considerevolmente negli ultimi anni – spiega Vittori – e di notevole rilevanza è il laboratorio spaziale europeo Columbus che permette agli scienziati europei di svolgere sempre più esperimenti in condizione di assenza di peso”. Questa è un’importante missione per la scienza, per il volo spaziale umano, per l’Europa e per l’Italia. L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e l’Asi sono i primi contributori dell’impresa AMS, vi collaborano dal 1995 grazie all’impegno di Paesi, di Istituzioni e di 500 fisici di tutto il mondo che lavorano al progetto. Un prototipo della missione AMS, di dimensioni ridotte, era stato portato in orbita per quindici giorni nel 1998 proprio dallo Shuttle e con ottimi risultati. Il progetto iniziale prendeva avvio da una collaborazione tra Italia, Francia, Svizzera e Stati Uniti, con a capo il premio Nobel Samuel Ting e Roberto Battiston, dell’Infn, come referente nazionale. Un sogno intellettuale, un progetto di studio e ricerca, concepiti insieme al professor Antonino Zichichi (Presidente della Federazione Mondiale degli scienziati, scopritore dell’Antimateria nucleare e fondatore dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso), che diventa realtà con tutte implicazioni scientifiche e tecnologiche del caso. Solo nell’estate del 2008, il via libera del Congresso Usa al finanziamento dei tre voli aggiuntivi dello Shuttle ha aperto la strada alla programmazione della missione STS-134 che dovrà portare in orbita il vero esperimento AMS. La sfida di AMS, un cubo di 4 metri per 4, pesante sette tonnellate e mezza, è trovare la soluzione di un affascinante enigma: capire come mai nell’Universo esista una forte asimmetria tra Materia e Antimateria, con una netta prevalenza della prima. Gli scienziati sanno che nel Big Bang dovettero formarsi in quantità pressoché identiche. Quindi indagare l’Antimateria che pare non emetta radiazioni e non risulta oggi osservabile con le normali strumentazioni. Il tutto è estremamente complesso e costoso. AMS sarà l’unico grande apparato in grado di rivelare la presenza di Antimateria nello spazio. Cercherà di rivelare Antiprotoni, Antideutoni e Anti-nuclei di elio, determinandone la traiettoria e l’energia grazie a un potente magnete superconduttore, il più grande che sia mai stato usato in orbita. Le ricerche di cui si occuperà AMS risultano ancora più importanti alla luce dell’attuale momento di grande rilancio per lo studio dei raggi cosmici: nell’Universo sono stati osservati fenomeni caratterizzati da energie altissime, impossibili da riprodurre in qualsiasi acceleratore di particelle, neppure al Cern di Ginevra nel potentissimo Lhc. L’Italia, con Asi e Infn, è fortemente coinvolta nella realizzazione dei principali strumenti della missione, derivati dall’esperienza decennale agli acceleratori di particelle, da Frascati al Cern. Il sistema di Tempo di Volo ed il sistema ad Anelli di Luce Cenenkov, realizzati dalla Sezione Infn di Bologna, il Tracciatore al Silicio realizzato dalla Sezione Infn di Perugia, il Calorimetro Elettromagnetico realizzato dalla Sezione Infn di Pisa. Ed altri importanti contributi, nella parte informatica e di monitoraggio a bordo, proverranno anche dalle Sezioni Infn di Milano e dell’Università di Roma – La Sapienza. L’industria spaziale nazionale (CGS, CAEN Space e G&A Engineering) ha contribuito in maniera determinante alla realizzazione del sistema termico, dell’elettronica qualificata per lo spazio e dei rivelatori a silicio installati nel cuore di AMS. L’Italia è già fortemente impegnata nello studio dei raggi cosmici e nella ricerca dell’Antimateria, con la missione spaziale italo-russa Pamela. Lanciato con un Soyuz da Baikonur a giugno 2006 e installato a bordo del satellite Resurs Dk1 della TsSKB-Progress, lo strumento Pamela studia con successo la materia esotica non barionica (non prevista dalla Fisica Standard delle particelle) e gli antinuclei, fin dal luglio del 2006. Nonostante i recenti straordinari progressi scientifici, lo studio delle particelle elementari e delle forze fondamentali, pone domande ancora senza risposta: che cosa sono la Materia Oscura e l’Energia Oscura, il 98% dell’Universo? Di fronte alle quali siamo, come ai tempi di Galilei, totalmente ignoranti. Raramente nella storia della scienza gli Uomini sono stati cosi coscienti della loro umile ignoranza. Da 15 anni la comunità scientifica italiana è al lavoro per costruire AMS, un esperimento pensato per affrontare queste questioni fondamentali. Giustamente è stato definito l’Hubble Space Telescope delle particelle elementari. In effetti, la sensibilità di AMS è 250 volte migliore di ogni altro strumento analogo messo in orbita fino ad oggi. Una nuova dimostrazione della straordinaria qualità della fisica italiana. Accanto all’esperimento Borexino nei Laboratori sotterranei del Gran Sasso dell’Infn, piazzato nel cuore del Gran Sasso d’Italia, per lo studio dei neutrini e degli antineutrini. E di pochi giorni fa la notizia dei rapporti preliminari di alcuni scienziati che affermano di aver visto in modo certo, per la prima volta al mondo, particelle di Antimateria (geoneutrini) provenienti dall’interno della Terra, là dove si forma il calore del nostro pianeta. Lo studio è stato pubblicato dal sito scientifico online arXiv.org della Cornell University. I ricercatori di Borexino (collaborazione internazionale di Istituti italiani, americani, tedeschi, russi e polacchi) coordinati dal professor Gianpaolo Bellini dell’Infn di Milano, avrebbero osservato e catturato per la prima volta i Geoneutrini, cioè gli antineutrini (la più piccola ed elusiva particella di Antimateria) provenienti dall’interno della Terra. Grazie a Borexino nei Laboratori del Gran Sasso. Lo avevamo anticipato tre anni fa, al via dell’esperimento. Queste leggerissime particelle ci dicono che migliaia di chilometri sotto la crosta terrestre, degli elementi radioattivi come l’uranio si trasmutano (decadono) e producono enormi quantità di quel calore che muove i continenti, scioglie le rocce e le trasforma in magma e lava per i vulcani emersi e sottomarini. Tramite i geoneutrini, gli scienziati dell’Infn avrebbero trovato la prova (smooking gun) che questa radioattività sia una delle principali fonti di energia del pianeta, anche se probabilmente non l’unico combustibile della fucina che produce le decine di migliaia di miliardi di Watt che scaldano la Terra. Verrebbe quindi smentita la teoria secondo la quale al centro della Terra vi sarebbe un enorme vorticoso “reattore nucleare” che da solo scalda il pianeta. Ipotesi assai cara anche alla fantascienza cinematografica (cf. film “Core”). Con esperimenti come Borexino sotto il Gran Sasso si potrà determinare la quantità di uranio presente sulla Terra e magari identificare preziosi giacimenti di combustibili nucleari; sperimentando nuove tecniche investigative da utilizzare poi su altri mondi del Sistema Solare ed oltre. In precedenza, ricercatori giapponesi avevano intravisto dei segnali indicativi dei geoneutrini, ma i loro rivelatori, troppo vicini alle centrali nucleari, erano disturbati dagli antineutrini provenienti dalle stesse. Solo ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso, distante almeno 500 km dalla più vicina centrale nucleare, si è potuto avere un segnale genuino della radioattività naturale della Terra. Inoltre il livello di radiopurezza di Borexino, mai ottenuto da nessun altro esperimento finora, ha fortemente contribuito a questo successo. “Questa scoperta – fa notare il professor Gianpaolo Bellini – apre una nuova era nello studio dei meccanismi che governano l’interno della Terra. Uno studio esteso dei geoneutrini in vari punti della Terra, darà la possibilità di avere informazioni più precise sul calore prodotto nel mantello terrestre e, quindi, sui moti convettivi che sono alla base dei fenomeni vulcanici e dei movimenti tettonici. Il successo di questo studio è stato reso possibile dalle nuove tecnologie da noi sviluppate al Laboratorio del Gran Sasso, che ci hanno permesso di raggiungere in Borexino livelli di purezza da elementi radioattivi mai raggiunti prima da nessuno, in aggiunta alla lontananza del sito del Gran Sasso da reattori nucleari”. Non solo. “Gli straordinari risultati dell’esperimento Borexino – rivela la prof.ssa Lucia Votano, direttore dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso – premiano anni di intenso lavoro e sono stati possibili grazie alle caratteristiche uniche al mondo del nostro Laboratorio sotterraneo e all’estrema radiopurezza dei materiali utilizzati per l’apparato sperimentale. L’esperimento stava già dando importanti informazioni sul funzionamento interno del Sole e adesso ha prodotto la prima misura mondiale dei geoneutrini provenienti dalle profondità del nostro pianeta. Ancora una volta i Laboratori del Gran Sasso dimostrano di essere un centro di ricerca di eccellenza nel campo della fisica astro-particellare”. Secondo Giovanni Fiorentini, il coordinatore di un gruppo ricerca dell’Infn e dell’Università di Ferrara che ha sviluppato i primi modelli teorici per i geoneutrini,“Borexino apre una nuova finestra che ci permette di guardare direttamente all’interno della Terra fino a migliaia di chilometri di profondità. Il confronto tra i dati sperimentali e i modelli teorici getterà luce sulla composizione chimica e le origini della Terra”. Risulta evidente che il livello di radiopurezza raggiunto da Borexino, potrebbe suggerire alla Politica la non convenienza di qualsiasi progetto di installazione ed insediamento di centrali nucleari a fissione di vecchia generazione, sul suolo italiano. La ragnatela neutrinica predisposta dagli scienziati del Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Infn e dai ricercatori di tutto il mondo, giustamente entusiasti, ora deve essere difesa perché non avrebbe alcun senso spezzarla. Dopo anni di preparazione e investimenti, l’esperimento Borexino, la sfera scintillante pronta a catturare i neutrini, “messaggeri” invisibili del Sole, della Terra e delle altre stelle (specialmente quelli emessi durante gli eventi di Supernova!), iniziò a prendere dati nel 2007 grazie all’originale esperimento installato nelle grandi sale sotterranee del Gran Sasso: tre gigantesche sfere, una di acciaio e due di nylon, riempite di un idrocarburo e di un liquido scintillante, riescono ad osservare gli sfuggenti neutrini a bassa energia provenienti dal Sole e dal cuore della Terra. Qui si aspettano 24 ore su 24 segnali che permettano di capire se davvero la nostra stella funziona come si crede. In pratica i neutrini solari passano attraverso le tre sfere concentriche di Borexino. “Lo scopo è quello di studiare questi neutrini per capire meglio sia come funziona la materia a livello dei suoi costituenti elementari sia come funziona il Cosmo intorno a noi. In particolare, se davvero il meccanismo che fa splendere il Sole è proprio quello immaginato dai fisici in questi ultimi decenni” – spiega il prof. Bellini. Borexino continuerà la sua presa dati per almeno 10 anni, centrali nucleari italiane permettendo: la durata di un ciclo della vita solare. L’esperimento, a cui lavorano circa 100 persone tra fisici, ingegneri e tecnici, è il più economico tra gli esperimenti di rivelazione dei neutrini solari. Numerosi sono i partner internazionali del progetto, la cui leadership è italiana. Oltre alle sezioni Infn di Milano, Genova, Perugia e ai Laboratori del Gran Sasso, vi partecipano la Technische Universität di Monaco, il Max Planck Institut di Heidelberg, l’APC francese, la Jagellonian University di Cracovia, il JINR di Dubna e il Kurchatov Institute di Mosca e infine gli statunitensi della Princeton University e del Virginia Polytechnical Institute. L’esperimento visto dall’esterno appare come una cupola di sedici metri di diametro al cui interno si trova una sorta di “matryoska”, una di quelle bambole russe che entrano l’una nell’altra. Dentro la cupola vi è un volume di 2.400 tonnellate di acqua ultrapura che serve come primo schermo per filtrare le particelle di alta energia provenienti dal Cosmo, che non interessano i ricercatori. All’interno del volume d’acqua, si trova una sfera di acciaio che contiene nella parte interna 2.200 fotomoltiplicatori: apparati che possono registrare la presenza di lampi di luce provocati dai neutrini; proseguendo il nostro viaggio virtuale all’interno di Borexino, vediamo contenuto in una sfera di nylon speciale, un’enorme quantità, mille tonnellate di pseudocumene, un idrocarburo utilizzato per schermare la parte sensibile dell’esperimento. Infine, il cuore ultimo di Borexino contiene 300 tonnellate di liquido scintillante. Il funzionamento assomiglia a quello di un vecchio flipper: quando i neutrini si “scontrano” con gli elettroni dello scintillatore, trasferiscono loro parte dell’energia incidente, provocando un lampo luminoso nel liquido. Questi lampi vengono visti dai fotomoltiplicatori grazie alla trasparenza delle sfere interne. L’apparato consente di misurare l’energia dei neutrini incidenti. Le reazioni nucleari che avvengono nel nucleo del Sole producono una grande quantità di neutrini solari. Il Sole è una sorgente potente di neutrini, se si pensa che circa 60.000.000.000 neutrini solari al secondo, incidono su ogni centimetro quadrato del nostro corpo. Questi neutrini hanno però mediamente un’energia più bassa di quelli atmosferici e sono ancora più difficili da rivelare. L’esperimento Borexino è finalizzato proprio alla rivelazione di neutrini solari, in particolare quelli prodotti dalle reazioni dell’elemento Berillio-7, che hanno un’energia intorno agli 862 kilo-elettronVolt (keV). Ben al di sotto dei 5.000 keV, soglia mai oltrepassata fino ad oggi dagli esprimenti di rivelazione in tempo reale dei neutrini. Il neutrino, però, interagisce molto debolmente con la materia, essendo del tutto insensibile all’interazione elettromagnetica ed a quella nucleare forte, rispondendo solo all’interazione nucleare debole. L’interazione dei neutrini è allora un evento incredibilmente improbabile dal punto di vista statistico: per osservarlo è necessario disporre di un rivelatore molto grande, costituito da diverse tonnellate, in modo da rendere la probabilità di interazione dei neutrini tale da poter misurare alcuni eventi al giorno. I geoneutrini di antimateria sono ancora più rari da osservare ed occorrono anni per accumulare dati utili. Ma il Gran Sasso (lo aveva intuito il prof. Antonino Zichichi) è uno schermo potente per la radiazione naturale e i raggi cosmici. Qui sotto alcuni pensano che si viva più a lungo! Altre particelle provenienti dal Cosmo o le naturali radiazioni ambientali, nonché la radioattività degli stessi materiali che costituiscono il rivelatore, possono indurre dei segnali spuri. Il rumore prodotto da questo fondo, in effetti, se non venisse schermato, sarebbe un miliardo di volte maggiore del segnale dei neutrini. Il Gran Sasso fornisce un primo schermo naturale di 1,4 km di roccia (pari a quello fornito da 4 mila metri d’acqua sul fondo oceanico abissale: l’idea fa sognare anche James Cameron che invitiamo a venire in Abruzzo per le riprese del suo sequel di Avatar) che assorbe efficacemente la gran parte dei raggi cosmici. Ciò che resta sono per lo più muoni ad alta energia schermati dalle 2400 tonnellate di acqua che costituiscono lo strato più esterno di Borexino. La radioattività ambientale è ulteriormente schermata da 1000 tonnellate di pseudocumene, che riempiono la sfera centrale e racchiudono il liquido scintillante, mentre sofisticate tecniche di radiopurificazione sono state sviluppate per ridurre la radioattività nel cuore dell’esperimento, raggiungendo un livello radioattivo un milione di volte più basso di quello di qualsiasi liquido normalmente utilizzato. Conoscere il funzionamento del Sole e i costituenti elementari della materia, è fondamentale. Anche per lo sviluppo di una nuova tecnologia elettronica nucleare che, forse, un giorno ci aprirà la via al volo interstellare prefigurato nel kolossal Avatar. Il successo di Borexino è di aver abbassato così efficacemente la soglia del rumore di fondo, da rendere visibili neutrini con energia fino a 250 keV. Questo consente di rivelare e studiare una percentuale del potente flusso di neutrini proveniente dal Sole, assai maggiore di quella fino ad oggi osservata da ogni altro esperimento effettuato in tempo reale. Per gli scienziati lo studio delle proprietà del neutrino apre la strada a importanti revisioni e nuove conquiste delle teorie fisiche attuali. La scoperta della massa del neutrino e delle oscillazioni tra neutrini di differenti “flavour” o “sapori”, come affermano i fisici), oltre ad avere importanti implicazioni cosmologiche offre indicazioni preziose per nuove teorie fisiche, che gli scienziati chiamano “la fisica oltre il Modello Standard”. Borexino, con l’attuale regime di sensibilità, offre quindi la possibilità di aggiungere nuovi dati per approfondire lo studio di questo scenario. Sarebbe un vero peccato accecarlo con un impianto nucleare sul giardino di casa! La rivelazione di neutrini a queste energie offrirà inoltre un test estremamente preciso dei modelli astrofisici del Sole. Borexino consentirà di studiare anche gli antineutrini provenienti dalle Supernove e quelli emessi dall’attività radioattiva all’interno della Terra (geoneutrini), un’enorme sorgente di energia naturale che aspetta solo di essere catturata. Gli scienziati sanno che la Terra è costituita da tre parti: un core metallico di circa 3500 km di raggio, il mantello di 3000 km, ed infine la crosta, formata essenzialmente da silicati, di spessore variabile dai 30 ai 75 km per quanto riguarda la crosta continentale, e di circa 10 km per la crosta oceanica. La potenza termica all’interno della Terra viene stimata dai geologi fra i 31 e i 44 migliaia di miliardi di Watt. La stima è molto grossolana perché basata essenzialmente sui carotaggi, circa 2000 intorno al mondo, che penetrano poco in profondità: il pozzo maggiore in assoluto sulla Terra è di 12 km nella penisola di Kola in Russia, profondità trascurabile rispetto al raggio terrestre, ma assai utile per rendere l’idea delle potenzialità oggi disponibili all’Uomo per le nuove ecologiche centrali geotermiche che necessitano di pozzi assai meno profondi. Le origini di questa energia sono incerte, anche se si ritiene che un’importante frazione sia dovuta al calore emesso dalle disintegrazioni spontanee dell’uranio, torio e del potassio-40 contenuti all’interno del pianeta. Quale sia l’effettivo contributo radiogenico al calore terrestre, è materia di studio nella comunità internazionale delle Scienze della Terra. L’ipotesi più condivisa è che la radioattività naturale renda conto di un po’ più della metà del calore terrestre, ma esistono modelli alternativi secondo cui sarebbe all’origine del 100% dell’energia termica terrestre. All’origine di tale incertezza sta l’impossibilità di determinare, in conformità a dati osservativi, il contenuto di elementi radioattivi all’interno della Terra. Le abbondanze degli elementi nel pianeta sono stimate in maniera assai indiretta, estrapolando all’interno della Terra le conoscenze, anch’esse incerte, sulla composizione chimica di meteoriti supposti rappresentativi della composizione iniziale del Sistema Solare, e tenendo conto di complessi fenomeni di evaporazione e separazione nel processo di formazione del pianeta. Esiste anche un modello geologico che ipotizza la presenza di materiale radioattivo, che produrrebbe un effetto simile a quello dei reattori nucleari intorno al core (geo-reattore). Tale modello è considerato tuttavia poco probabile e Borexino pare ne abbia dimostrato la debolezza! Il resto dell’energia termica potrebbe essere dovuto ad altre cause sconosciute. Gli scienziati citano effetti come il calore latente di cambiamento di fase (quando un liquido diventa solido viene emessa dell’energia immagazzinata) ed altri più complicati. I riscaldamenti radiogenici contribuirebbero in maniera importante alla tettonica (quindi, ai terremoti), al vulcanismo e alle propagazioni del calore all’interno del mantello. Ma tutto questo è molto ipotetico, perché i geologi hanno pochi mezzi per investigare l’interno della Terra. La Fisica può però dare un importante aiuto sfruttando il fatto che molti decadimenti radioattivi emettono antineutrini, cioè l’antiparticella del neutrino. Il neutrino (e così l’antineutrino) è una particella priva di carica, di massa piccolissima, la quale può attraversare l’Universo, e quindi anche la Terra (e i nostri corpi) senza alterare le sue proprietà. Pensate, l’energia luminosa prodotta all’interno del Sole impiega almeno 10 mila anni ad uscire dalla stella: un’infinità rispetto ai pochi minuti impiegati dai neutrini del nucleo solare, per raggiungere la Terra; ed alle frazioni di millesimi di secondo necessari ai geoneutrini per raggiungere Borexino. Quindi lo studio degli antineutrini emessi dai decadimenti radioattivi all’interno del nostro pianeta (geoneutrini messaggeri) è ad oggi l’unico metodo per capire cosa avviene nelle profondità terrestri. I geoneutrini portano alla superficie del pianeta informazioni dirette sul contenuto di elementi radioattivi contenuti nelle viscere del pianeta. La loro rivelazione rappresenta un modo di determinare, in maniera diretta, le abbondanze planetarie degli elementi da cui provengono, e dunque dà informazioni dirette sull’origine del pianeta e sulla quantità di calore prodotto dalla radioattività al suo interno. L’esistenza dei geoneutrini fu predetta negli anni 60’ del XX Secolo, ma solo in anni recenti il progresso nella rivelazione dei neutrini ha permesso di ipotizzarne uno studio sperimentale. Il collegamento fra le predizioni teoriche dei modelli geologici e i possibili risultati sperimentali è stato oggetto di numerosi studi, sia in Italia (gruppo di Fiorentini-Università di Ferrara) sia in Giappone (Enomoto ed altri). Per studiare gli antineutrini bisogna farli interagire all’interno di rivelatori di grande massa, situati in laboratori sotterranei, per essere schermati dai raggi cosmici, e costruiti con tecnologie estremamente avanzate per rendere trascurabile la radioattività naturale presente nei materiali e nell’ambiente. Altrimenti i rari eventi prodotti dai neutrini (o antineutrini) nel rivelatore, sono completamente mascherati dagli eventi prodotti dai raggi cosmici e dalla radioattività naturale o artificiale delle centrali nucleari a fissione. La lontananza di Borexino da reattori nucleari che emettono anch’essi antineutrini in grado di simulare comportamenti simili a quelli emessi dalla Terra, è la più assoluta garanzia di possibili nuove scoperte sotto il Gran Sasso, degne di un Premio Nobel tutto italiano. Già nel 2002 un esperimento giapponese, Kamland, sostenne di aver rivelato la radiazione dei geoneutrini, ma gli studi successivi dimostrarono che si trattava di un abbaglio: ciò che veniva osservato era in realtà dovuto alla presenza di un insidioso fondo di neutroni, che dava origine a dei “falsi geoneutrini”. Nel 2005 ancora kamland ha fornito le prime indicazioni dell’esistenza dei geoneutrini. Il problema principale in Kamland era (e rimane) la distinzione fra il contributo dei geoneutrini e quello degli antineutrini provenienti dai numerosi reattori nucleari presenti in Giappone. Borexino ha ottenuto in questi giorni l’evidenza dell’esistenza dei geoneutrini, riuscendo a evidenziarne il segnale con un’affidabilità superiore al 99,9%. Il confronto con i modelli teorici di Fiorentini et al., che ipotizzano un contributo radiogenico poco maggiore della metà del calore terrestre (23 su 31-44 migliaia di miliardi di Watt di potenza) secondo i fisici è ottimo, nei limiti della statistica raccolta. Inoltre i dati raccolti potrebbero già invalidare l’ipotesi del cosiddetto geo-reattore. Per rendersi conto della difficoltà dell’esperimento, una presa dati di oltre due anni fornisce due dozzine di eventi attribuiti a geoneutrini e ai reattori, dunque un evento al mese in totale e un evento di geoneutrino ogni due mesi! Questo è solo l’inizio, assicurano gli scienziati Infn. Lo studio ovviamente continua e fra altri due anni sarà possibile avere misure di maggior precisione producendo quindi più informazioni sui meccanismi di produzione termica della Terra. Borexino, con questa scoperta, ha aperto una nuova era nello studio dei meccanismi che regolano l’interno della Terra. Finalmente, seguendo le metodologie sviluppate da Borexino, sarà possibile investigare in modo non ipotetico l’origine e la distribuzione dell’energia termica all’interno del nostro pianeta. Vari esperimenti sono in fase di costruzione o di ricerca & sviluppo in vari siti del mondo: Canada, Finlandia, Hawaii, Sud Dakota. Se questi esperimenti ed altri esperimenti riusciranno ad ottenere “performances” del tipo di quelle ottenute da Borexino, confrontando le misure in differenti locazioni, sarà possibile determinare la concentrazione di uranio e torio nella Crosta e nel Mantello e sapere qualcosa di più sulla loro locazione. Tuttavia occorre difendere il lavoro dei nostri scienziati, con verità e giustizia, a cominciare dai media. C’è un silenzio cosmico sotto il Gran Sasso, da tutelare come Patrimonio dell’Umanità. E non c’entra affatto la letteratura fantascientifica anche se l’immagine è molto romantica ed evoca suggestioni d’autore degne di James Cameron. Sono quei 1400 metri di roccia sotto il Monte Aquila, che assorbono le radiazioni e rendono il Laboratorio di fisica nucleare ospitato sotto la più alta montagna dell’Appennino, un luogo molto speciale, unico al mondo. E’ questo potente scudo protettivo a fare del Laboratorio Infn un posto straordinario per i fisici (e non solo) i quali, non a caso, accorrono in Abruzzo da ogni parte del mondo per studiare il mondo dell’infinitamente Piccolo per capire l’infinitamente Grande. E in particolare i neutrini e quelle particelle che compongono la misteriosa Materia Oscura: le chiavi di volta dei meccanismi che regolano l’Universo. Le ricadute tecnologiche della ricerca pura, sono praticamente infinite! Il pioniere di questo tipo di studi era stato Raymond Davis in una miniera d’oro abbandonata, a Homestake nel South Dakota degli Stati Uniti. Con i suoi studi sui neutrini prodotti dal Sole, ha aperto la strada alla Nuova Fisica. L’Italia non poteva non rimanere al passo anche perché aveva il posto giusto, avvolto dal “silenzio cosmico”. Grazie al professor Antonino Zichichi, oggi 750 scienziati di 28 Paesi utilizzano il Laboratorio Nazionale del Gran Sasso, considerato nel suo genere il migliore del mondo. Situata tra le città di L’Aquila e Teramo, a circa 120 km da Roma, la struttura sotterranea ha tre sale lunghe quasi 100 metri, larghe 18 e alte 20, collegate da vari corridoi le cui uscite si affacciano sulla galleria autostradale. La struttura, oggi diretta dalla professoressa Lucia Votano, è uno dei quattro Laboratori dell’Istituto di Fisica Nucleare di cui è presidente Roberto Petronzio, professore di Fisica Teorica all’Università Tor Vergata di Roma. L’Infn è l’Ente italiano dedicato allo studio dei costituenti fondamentali della materia e svolge attività di ricerca, teorica e sperimentale, nei campi della fisica subnucleare, nucleare e astro particellare. Questi esperimenti confermano già oggi la Teoria Generale della Relatività di Einstein che ci servirà un giorno per volare fino alle altre stelle. Quindi se il 12 marzo 1610, una data storica per l’Umanità, non è segnato in alcun calendario, ciò dipende dall’Hiroshima culturale nella quale siamo tutti immersi.

Nicola Facciolini

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