Un ‘appena sufficiente’ dal 43% dei cittadini, che esprime un giudizio intermedio dando un voto pari a 5 o 6; un ‘ottimo’ dal 34%, soddisfatto in modo pieno, che concede un punteggio da 7 a 10, ma una bell’insufficienza (punteggio 1-4) dal 17% dei connazionali. È la pagella che emerge dalla rielaborazione di dati Istat sul Servizio Sanitario Nazionale, eseguita per la settima edizione del Rapporto Osservasalute (2009), presentata ieri all’università Cattolica di Roma. Non ci sono grosse differenze di giudizio tra uomini e donne, mentre gli anziani di entrambi i sessi tendono in genere a dare voti migliori sulla qualità del Ssn: esprime un giudizio positivo il 31% degli uomini di 18-39 anni, il 34% tra i 40-64enni e quasi il 40% tra gli over 65. Stesso andamento si riscontra tra le donne: 30% di soddisfatte tra le più giovani (18-39 anni), 33,6% tra i 40 e i 64 anni e 39% tra le più anziane. A livello territoriale, invece, emerge una certa disomogeneità tra Nord e Sud, con le regioni del Centro in una situazione intermedia: giudizi più positivi sul Ssn vengono espressi dai cittadini del settentrione. Valori inferiori rispetto alla media italiana sono invece riportati dalle regioni del Sud. L’indice di gradimento maggiore sui servizi sanitari locali si riscontra nelle Province autonome di Bolzano e Trento e in Valle d’Aosta: la quota di coloro che esprimono un punteggio elevato (7-10) è pari rispettivamente al 68%, 60% e 60% per gli uomini, e 68%, 58% e 59% per le donne. Decisamente più bassi sono i giudizi per Calabria, Sicilia e Campania: rispettivamente 14,6%, 21% e 23% per gli uomini di queste regioni, e 16%, 21,6% e 23% per le donne. Le speranze degli italiani sul futuro del Ssn sono poche: solo uno su 10 pensa che migliorerà, contro quasi uno su tre che invece lo vede in peggioramento. Prevalgono, in tutte le fasce di età, le persone (quasi un italiano su due) che ritengono stabile la situazione del Ssn, cioè che non vedono possibile nessun cambiamento per il suo futuro. Infine, per quanto riguarda il giudizio su come evolve il Ssn, emerge che nell’ultimo anno è rimasto “più o meno come prima” per il 45% del campione, è in peggioramento per il 28% e in miglioramento per l’11,6%; il 15,5% non ha risposto o ha risposto di non sapere dare un giudizio. La pagella peggiore riguarda il Lazio. Dallo studio risulta che nella Regione il grado di apprezzamento e soddisfazione dei cittadini per il Servizio Sanitario del proprio territorio (anno 2005) è basso: il 19,7% della popolazione ha dato un punteggio insufficiente (da 1 a 4), il 49% un punteggio appena sufficiente (da 5 a 6), il 25% ha dato un punteggio alto (da 7 a 10). Un gradimento molto al di sotto della media italiana. I cittadini della regione sono poco ottimisti sul futuro del Sistema sanitario: l’11,1% pensa che il servizio sanitario pubblico stia migliorando, il 45,7% pensa sia rimasto più o meno uguale nell’ultimo anno, il 27,9% che stia peggiorando, infine il 15,3% non sa rispondere. Undici donne su mille, ricorrono all’interruzione volontaria di gravidanza nel Lazio. Un valore superiore alla media nazionale che si attesta a 9,6 interruzioni volontarie di gravidanza su mille donne. Il rapporto prende in considerazione i dati relativi agli interventi di Ivg nel 2006. Altro dato evidenziato dal rapporto riguarda le interruzioni volontarie di gravidanza tra le donne romene: il Lazio è la regione italiana che si è trovata a dover gestire la più elevata percentuale di interventi nel 2006. Tre nati morti per mille nati vivi. Un dato che fa del Lazio una regione con il tasso di mortalità neonatale più alto della media nazionale (2,5 morti su mille nati vivi). Nel 2006, si legge ancora nel rapporto, il Lazio presenta anche un alto tasso di mortalità infantile (entro il primo anno di vita): 3,9 casi per mille nati vivi contro una media nazionale di 3,4 casi. Nell’Italia centrale, inoltre, è il Lazio a presentare i livelli più consistenti di mortalità infantile degli stranieri residenti: 3,9 per 1.000 nati vivi il dato di mortalità neonatale, 5 per mille nati vivi il dato di mortalità infantile. Per quanto riguarda invece i dati economici, anche per il 2008 il Servizio sanitario nazionale (Ssn) si presenta complessivamente in disavanzo. Il dato, ancora provvisorio, è comunque inferiore agli anni precedenti: 3,2 miliardi di euro, pari a 54 euro pro capite. Lo evidenzia sempre il rapporto Osservasalute 2009, che afferma che rispetto al 2007, si confermano in equilibrio finanziario nove regioni: Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna (che però, insieme alla Calabria, hanno operato interventi di copertura a carico dei rispettivi bilanci regionali, anche con risorse dalle entrate fiscali); Bolzano e Friuli Venezia Giulia (cui lo statuto speciale garantisce, però, un particolare sistema di finanziamento); Lombardia, Toscana, Umbria e Marche. Tra le regioni soggette a piano di rientro, miglioramenti si riscontrano a livello procapite in Liguria (-20 euro di disavanzo da 2007 a 2008), Abruzzo e Sicilia (per entrambe -48 euro) e, soprattutto, in Campania (-63 euro). Si aggrava ulteriormente, invece, la situazione di Lazio (+5 euro di disavanzo a testa da 2007 a 2008) e Molise (+20 euro), che si confermano le regioni più deficitarie sia per il 2008 (rispettivamente 297 euro e 228 euro), sia nel dato cumulato 2001-08 (rispettivamente 2.036 euro e 1.586 euro). Né possono definirsi virtuose le scelte di alcune regioni di abbattare i costi tagliando servizi esenziali per categorie “deboli” di cittadini. Ieri, 16 marzo, l’europarlamentare del PD Debora Serracchiani commentando le dichiarazioni del ministro della Salute Ferruccio Fazio, secondo cui la decisione di chiudere gli ambulatori per i clandestini in Friuli Venezia Giulia e’ ”solo una modalita’ di gestione”, ha dichiarato: “E’ grave liquidare una questione di diritti fondamentali e di salute pubblica con una formula burocratica”. Molto più utile sarebbe educare i pazienti ed i medici ad un uso appropriato delle risorse. Un ese4mpio illuminante ci viene da una recente ricerca inglese che ha stimato una spesa di 2 miliardi di sterline l’anno per gli ipocondriaci. In una lettera che sta rimbalzando sulle principali testate britanniche, un gruppo di esperti punta il dito contro chi vive con lo spauracchio di malattie e malanni immaginari, mettendo nero su bianco che l’ipocondria finisce per avere un “impatto catastrofico” sul Nhs, il Ssn britannico. Per questo – stima il capannello di addetti ai lavori composto da medici, infermieri e altri operatori sanitari – urge mettere a punto degli interventi ad hoc per far capire ai cittadini come curare malattie e disturbi minori, evitando così perdite di tempo e spreco di denaro pubblico. Cambiare i comportamenti di chi corre dal medico per un nonchè, potrebbe far risparmiare al Nhs ben 10 miliardi di sterline (oltre 14 mld di euro) nell’arco di appena 5 anni. Va comunque ricordato che, per due anni di seguito (2008-2009), la sanità pubblica italiana si è piazzata al secondo posto, dietro alla Francia, per qualità di erogazioni secondo l’OMS. Abbiamo infatti inventato noi italiani la parola “malasanità” , ma se ci confrontassimo con altri Paesi (come gli Stati Uniti), scopriremmo che quello italiano è uno dei migliori sistemi sanitari pubblici del mondo
Carlo Di Stanislao
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