Il Kirghizistan, piccolo e povero Paese ex sovietico dell’Asia centrale, è da ieri in piena rivoluzione, con il Governo che si è dimesso ed il presidente Kurmanbek Bakiev che ha lasciato il Paese. L’opposizione, che ha costituito un nuovo esecutivo guidato dall’ex ministro degli Esteri Roza Otunbaieva, dopo una giornata di scontri violenti, a seguito delle imponenti manifestazioni di protesta contro Bakiev, ì ha provato a sedare la rivolta proclamando lo stato d’emergenza. Nella serata di ieri la polizia di frontiera ha annunciato la chiusura del confine con il Kazakistan.e sono stati sospesi i voli militari americani nella base aerea di Manas, che serve da appoggio logistico alle operazione della Nato in Afghanistan. Tra le cause della mobilitazione antigovernativa, un’impennata del prezzo degli idrocarburi attribuita alla corruzione dell’esecutivo. Secondo i leader dell’opposizione, l’esercito ha sparato sulla folla e i morti sarebbero stati almeno cento. Oggi l’agenzia Interfax riporta le prime dichiarazioni di Roza Otunbaieva, il nuovo primo ministro del Kirghizistan. “Abbiamo il controllo nella repubblica. Non si sa dove sia andato il presidente. Abbiamo distribuito i principali incarichi tra noi e lavoreremo per garantire la stabilità della situazione”. L’obiettivo del governo provvisorio, mantenere la stabilità, salvare vite e prevenire i saccheggi”. Il premier russo Vladimir Putin nega qualsiasi ruolo della Russia nei tumulti in Kirghizistan: “Il potere russo non ha alcun rapporto con gli eventi in corso in Kirghizistan né la Russia, né il vostro umile servitore, né altre personalità ufficiali russe hanno nulla a che fare con questi eventi. Sembra che Bakiev – aggiunge il premier russo – si stia dando l’accetta sui piedi, come fece Akaiev a suo tempo”. Putin ha poi invitato le autorità kirghise e l’opposizione ad astenersi dalle violenze. Un portavoce del Dipartimento di Stato dichiara che gli Usa ritengono il vecchio governo ancora al potere in Kirghizistan. “Continuiamo a ritenere che il governo resti al potere” dice il portavoce P. J. Crowley, aggiungendo che gli Stati Uniti non hanno informazioni a supporto di una presa del potere da parte dell’opposizione. “Profonda preoccupazione” e’ stata espressa oggi dalla Cina che confina con la provincia dello Xinjiang, dove vive la minoranza degli uiguri. “La Cina – ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri Jiang Yu -e’ profondamente preoccupata per la situazione nella capitale del Kirghizistan ed in altre aree e spera che l’ordine possa essere ripristinato al piu’ presto”. “In qualita’ di vicino amichevole, la Cina spera che le questioni rilevanti possano essere risolte attraverso le vie legali”, ha dichiarato Jiang. “Un rapido ritorno all’ordine sara’ nell’interesse del popolo kirghizo e favorira’ la pace e la stabilita’ regionali”, ha aggiunto. Sempre oggi Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha lanciato un “appello urgente” alla calma e al dialogo pacifico in Kirghizistan e annunciato che domani inviera’ nel Paese un inviato speciale delle Nazioni Unite, il diplomatico slovacco Jan Kubis. Nel corso di una conferenza stampa, dopo aver incontrato a Vienna il ministro degli Esteri austriaco, Michael Spindelegger, Ban ha raccontato che, nella sua ultima visita a Bishkek, meno di una settimana fa, aveva avvertito “tensione nell’aria” ed aveva espresso al presidente kirghiso, Kourmanbek Bakiyev, la sua preoccupazione, sottolineando la necessita’ di rispettare i diritti umani e la liberta’ di stampa. Anche l’Osce, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, mandera’ nella repubblica centro-asiatica un inviato ad alto livello e i due diplomatici, ha detto Ban, lavoreranno in maniera coordinata per disinnescare la crisi. Come scrive nel suo sito l’Unesco, il Kirghizistan è la più orientale tra le repubbliche asiatiche nate dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, ha una popolazione di 5,2 milioni di abitanti, due terzi dei quali vivono in zone rurali. L’economia è basata quasi esclusivamente su agricoltura e pastorizia; gran parte del territorio è montagnosa, con le alte catene del Tian Shan e del Pamir Alay. Dopo i moti di marzo-aprile 2005, successivi alle elezioni, che hanno rovesciato il regime autocratico del presidente Askar Akayev, il paese si muove sulla via della democrazia. Il Kirghizistan è attualmente il secondo paese più povero della regione, nonostante una lieve crescita economica nei primi anni dopo l’indipendenza, nel 1991. L’elevato debito estero e la mancanza di risorse naturali. provocano forti migrazioni di popolazione sia all’interno del paese, verso la capitale, sia verso la Russia, e aggravano i problemi sociali legati al collasso dei servizi sociali e sanitari un tempo garantiti dallo Stato sovietico. Il Kirghizistan è uno dei paesi per i quali i sostenitori italiani dell’UNICEF possono effettuare donazioni direttamente finalizzate alla “adozione” di un progetto specifico che l’UNICEF conduce nel paese.
Questo progetto è finalizzato a favorire la scolarizzazione dei bambini, prestando particolare attenzione ai bambini disabili. Il progetto può essere consultato su: http://www.unicef.it/doc/388/doc/466/progetto-diritto-alla-scuola-e-al-gioco.htm. A Febbraio dello scorso anno il Governo aveva minacciato gli stati Uniti di non concedere più l’impiego strategico della base di Manas, sembra come ritorsione per una storia di pagamenti precedentemente fatti dagli Stati Uniti e che non sarebbero arrivati nelle casse del governo di Bishkek, ma nelle tasche di imprese controllate dalla famiglia dell’ex presidente Askar Akayev. Nel 2006 la NBC riferì che il governo degli Stati Uniti aveva pagato più di 100 milioni di dollari a imprese controllate dalla famiglia dell’ex presidente: L’esercito degli Stati Uniti ha indirizzato più di 100 milioni di dollari in contratti di subfornitura al monopolio del combustibile della famiglia Akaev, secondo compagnie statunitensi che hanno presieduto ai pagamenti e alle transazioni”. Un rapporto dell’FBI ottenuto dal giornalista Aram Roston “suggerisce che la famiglia del presidente cntrollava una vasta rete criminale internazionale che comprendeva anche tutta una serie di compagnie di facciata negli Stati Uniti”.
Carlo Di Stanislao
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