Libertà di espressione ma con limiti di ordine morale. Depositato oggi 13 aprile, la sentenza emessa due mesi fa, con cui il Tribunale di Milano, condannava in proprio a sei mesi di reclusione alcuni dirigenti di Google (David Drummond, George Reyes e Peter Fleischer), costretti a rispondere dei contenuti caricati da altri utenti. L’upload risale al 2006 e il filmato (che vedeva coinvolti quattro studenti di un istituto di Torino) è rimasto on-line per alcuni mesi finché il padre della vittima, a seguito della denuncia alle autorità, non è riuscito a farlo eliminare.
Una sentenza storica, quella depositata oggi, che invita alla riflessione sui limiti alla libertà del Web. Il ricorso in appello del colosso di Mountain View, per difendere le proprie attività online, non si preannuncia semplice. La condanna, infatti, “attacca i principi stessi su cui si basa Internet”, afferma Google, senza i quali non potrebbero essere conseguiti tutti i benefici economici, sociali, politici e tecnologici che il Web consente di raggiungere. Su quest’ultimo punto le oltre cento pagine della relazione conclusiva parlano chiaro: “Google Italy trattava i dati contenuti nei video caricati sulla piattaforma di Google Video e ne era quindi responsabil” ed di conseguenza la dirigenza esprimeva “chiara accettazione consapevole del rischio di inserimento e divulgazione di dati, anche e soprattutto sensibili, che avrebbero dovuto essere oggetto di particolare tutela. Il giudice Oscar Magi, autore della sentenza, scrive che: “non esiste la sconfinata prateria di Internet dove tutto è permesso e niente può essere vietato, pena la scomunica mondiale del popolo del web” ma che “esistono leggi che codificano comportamenti che creano degli obblighi che ove non rispettati conducono al riconoscimento di una penale responsabilità”. Il responsabile dell’ambasciata americana in Italia, si è detto deluso del verdetto espresso, che mina alla base la libertà di Internet, condizione da sempre e totalmente difesa dal governo e dai guidici americani, anche se con alcune, recenti eccezioni. Il 7 aprile scorso, infatti, con decisione unanime, tre giudici della corte d’appello federale del distretto di Columbia, hanno stabilito che la Federal Communications Commission (Fcc) si è spinta al di là della sua autorità, quando nel 2008 ha multato Comcast Corp. per aver deliberatamente rallentato il traffico internet per alcuni consumatori che utilizzavano un programma di condivisione per scaricare file molto pesanti.I sostenitori della neutralità della rete ritengono che le comunicazioni non possano essere discriminate a seconda dei contenuti. Alcune grandi compagnie di telecomunicazioni pensano invece che si possano attuare restrizioni per un certo tipo di contenuti web, o fare pagare un sovrapprezzo per farli transitare ad alta velocità, creando così di fatto corsie preferenziali per la navigazione online. . Secondo alcuni analisti, la Fcc potrebbe premere sul Congresso affinché emani in materia leggi chiare visto anche che l’attuale presidenza Obama è favorevole alla net-neutrality. Con l’espressione “neutralità della Rete” o “net neutrality” si fa riferimento ad un principio secondo cui la rete a banda larga deve essere priva di restrizioni arbitrarie applicate sui dispositivi ad essa collegati e sulle modalità con cui essi operano. Il fornitore Internet non dovrebbe fare differenza alcuna tra i vari tipi di “contenuti” che transitano attraverso la sua rete né applicare discriminazioni su dati, mittenti e destinatari. La normativa italiana non si esprime in maniera decisa sul concetto di “neutralità della rete”. C’è però un principio di base che continua ad essere valido: gli utenti hanno diritto alla massima trasparenza. Il provider, quindi, è tenuto ad informare i propri clienti circa l’applicazione di eventuali restrizioni sul traffico Internet. In ambito europeo si sta lavorando al cosiddetto “telecoms package“, un insieme di direttive volte a disciplinare in maniera organica il sistema delle telecomunicazioni. Alcuni emendamenti proposti, peraltro molto criticati, permetterebbero la violazione della “net neutrality” in talune circostanze. In definitiva, la questione ormai da tempo in discussione è se la sovranità sulla rete debba essere esercitata dai
singoli stati o da un organismo internazionale, oppure deve essere lasciata come gestione ed evoluzione, allo stato libero, con il rischio di applicare solo la legge del più forte o del più cinico. Ma le cose, sul tema, non sono davvero semplici. Il Giudice Oscar Magi, nelle “considerazioni finali” che ha ritenuto di aggiungere alla “sua” Sentenza data la “grande ricaduta mediatica” scrive, parafrasando Shakespeare: “too much ado about nothing”; ma, forse, ha prodotto l’effetto contrario, creando i presupposti per uno “scontro tra culture” e rimettendo in discussione principi di diritto sui quali riposano gran parte delle dinamiche della comunicazione. Sicchè oggi, dopo la sentenza di Milano centinaia di operatori – piccoli e grandi – si ritrovano a domandarsi quali siano le regola del diritto che, nel nostro Paese, governano la loro attività.
Carlo Di Stanislao
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