Una apposita commissione delle Nazioni Unite, in un rapporto presentato al segretario generale Ban Ki-moon, ha dichiarato ieri 15 aprile, che l’omicidio, nel 2007, dell’ex primo ministro pachistano Benazir Bhutto, avrebbe potuto essere evitato. Nella sua relazione, la commissione presieduta dall’ambasciatore cileno presso le Nazioni Unite, Heraldo Munoz, ha ritenuto che “l’assassinio Bhutto avrebbe potuto essere evitato se fossero state prese misure di sicurezza adeguate”. La commissione ha precisato che il presidente Pervez Musharraf, il governo dello stato del Punjab e la polizia dell distretto di Rawalpindi avrebbero potuto impedire la morte della Bhutto, se fossero state adottate i provvedimenti adeguati “per rispondere i rischi di sicurezza straordinari, nuovi e urgenti a cui sapevano che faceva fronte”. La commissione, composta da tre membri designati dall’ONU, aveva iniziato i suoi lavori a luglio 2009. Uccisa durante un comizio pre-elettorale, a pochi giorni dal voto dell’8 gennaio 2007, Benazir Bhutto, leader dell’opposizione pachistana, icona anti-islamista e filo-americana, fu uccisa in un attentato suicida avvenuto a Rawalpindi, nel quale persero la vita altre 20 persone. Alla notizia della morte il Pakistan, un paese di 160 milioni di musulmani (fra sciiti e sunniti) e dotato di atomica , piombò sull’orlo della guerra civile. Benazir Bhutto, 54 anni, era la figlia primogenita del deposto primo ministro Zulfikar Ali Bhutto e di Begum Nusrat Bhutto (di origini curdo-iraniane). Il nonno paterno fu Sir Shah Nawaz Bhutto, un Sindhi e figura chiave del movimento indipendentista pakistano. Ha frequentato le scuole in Pakistan e nel 1973 si è laureata in scienze politiche presso l’università statunitense di Harvard. Successivamente ha perfezionato gli studi a Oxford dove ha conseguito un’altra laurea in politica, filosofia ed economia. A 35 anni è stata la più giovane e la prima donna a diventare capo di governo in un Paese musulmano nell’era moderna con l’impegno di battersi per promuovere i diritti civili. Primo ministro pakistano dal 1988 al 1990 e dal 1993 al 1996, per due volte è stata costretta a dimettersi per scandali di corruzione di cui si è sempre professata innocente. Nel 1999 ha lasciato volontariamente il Paese, per un esilio che sarebbe durato otto anni. A luglio 2007 l’ex primo ministro aveva intavolato una trattativa con l’attuale presidente pakistano, il generale Pervez Musharraf, per una divisione dei poteri nel Paese. Grazie a un’amnistia, Bhutto era rientrata nel Paese. Il provvedimento era stato preso da Musharraf nell’ambito di un’intesa che ha garantito a quest’ultimo di diventare per la terza volta presidente del Pakistan.
Carlo Di Stanislao
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