In Lucania si può venire uccisi, giovanissimi e restare occultati ed ignorati, per anni. Dopo la sorprendente ed ancora interminabile vicenda di Elisa Claps, si apprende che oggi sono stati ritrovati “resti interessanti” relativi ad una ragazzina di 12 anni, di Montemurro, il paesino di Leonardo Sinisgalli, una ragazzina di nome Ottavia, finita nel nulla da anni, sulla quale pesa oltretutto il giudizio atroce di un inquirente che all’epoca definì la ragazza “una poco di buono” solo perchè era finita negli artigli di qualche anonimo pedofilo (forse più di uno) interessato a utilizzarla secondo le sue insane passioni. Il 12 maggio del 1975, 35 anni fa, la piccola Ottavia De Luise uscì dal doposcuola, si fermò nella piazza del paese a giocare con le amiche e non fece più ritorno a casa. La famiglia non vedendola rientrare, iniziò la ricerca. Dopo le indagini della Polizia, l’unica pista seguita fu la testimonianza di un cittadino, che dichiarò di aver visto la bambina dirigersi in campagna, verso la casa di una persona nei cui riguardi si concentrarono tutti i sospetti. I familiari hanno dichiarato: “Dopo tre o quattro mesi il caso si chiuse anche se di Ottavia non si era saputo nulla. Da quel momento non abbiamo avuto più notizie di indagini e ricerche. È stata dimenticata”. Alla famiglia in questi lunghissimi anni d’attesa e di speranza, sono arrivate due lettere anonime: una in cui era scritto il nome del presunto assassino della piccola Ottavia e la seconda in cui invece vi era la presunta testimonianza del padre dell’assassino, che in punto di morte, avrebbe raccontato che la piccola era stata violentata ed uccisa. Quest’ultima lettera non è mai stata consegnata agli inquirenti, probabilmente per la rassegnazione della famiglia stessa. Olimpia ed Elisa sono solo due dei vari episodi che si sono verificati nella dolce Basilicata, dove si spara molto, si uccide molto e si parla pochissimo. All’epoca il sottofficiale incaricato delle indagini dichiarò nel verbale che la piccola Ottavia era “una poco di buono”: atteggiamento inqualificabile, assurdo, offensivo, frutto di una profonda e grave inadeguatezza operativa che andrebbe per lo memno inquisita. Sul caso De Luise si è deciso di ripartire, dopo 35 anni, con il “metodo Claps”: ossia analizzare tutto come se i fatti si fossero appena verificati. Così, ieri mattina la folta squadra investigativa (sei uomini della Mobile e due della Scientifica) è arrivata di buon ora sulla “scena del criomine” per partire dalla ricognizione dei luoghi, poi si sono acquartierati nei locali del Comune di piazza Giacinto Albini, dove hanno iniziato a sentire i racconti di alcuni dei testimoni dell’epoca, a partire dalle stesse persone i cui nomi compaiono negli atti di indagine datati 1975. Si è partiti dalla piccola casa della famiglia De Luise, poi in piazza Giacinto Albini che dista appena una settantina di metri da casa. Lì incontrò alcuni suoi coetanei, tra cui la cugina, Lucia Rotundo, che lasciò alle 16.30. “Ora io vado in campagna a trovare il “viggianese” – le avrebbe detto a quanto riportato in un verbale dell’epoca – non dire niente a papà e mamma”. Così si diresse verso la strada del Carmine per non tornare più. E da lì, oggi, 35 anni dopo, ripartono le ricerche, che da lunedì vedranno impegnati gli specialisti dell’Ert, gli esperti ricerca tracce della polizia, ma che già oggi avrebbero, in un pozzo di un casolare, fatto emnegere “reperti interessanti”, non cercati 35 anni fa.
Carlo Di Stanislao
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