Il 3 maggio, a Luino, sulle rive del Lago Maggiore ai confini con la Svizzera, Andrea Camilleri, accompagnato dalla moglie Rosetta, ha ricevuto, dal figlio del luinese Piero Chiara, il “Premio alla Carriera”, con la seguente motivazione: “Per avere sedotto l’intero pianeta con la grazia inarrivabile delle sue storie, quintessenza di una Sicilia verissima e inventata”. Nel suo discorso di ringrazimento, sul palco del Teatro Sociale, davanti ad un pubblico straripante, l’inventore di Montalbano &C. ha diciarato: “mi sento figlio di Piero Chiara e di quel modo di raccontare imparato dal popolo e dai contadini. Non ho mai conosciuto di persona lo scrittore luinese, ma sono stato un suo lettore appassionato. Ho sempre amato coloro che raccontano storie e Chiara aveva una capacità di seduzione grandissima. È tipico di queste zone, perché anche Vittorio Sereni, con le sue poesie, raccontare storie suggestive e incantevoli”. Interrotto più volte dagli applausi del pubblico, lo scrittore siciliano ha parlato anche dell’incontro con Pirandello avvenuto quando aveva solo dieci anni, dell’importanza che i contadini hanno avuto nella sua vita (“sono stati – ha detto – dei maestri di ispirazione per i miei racconti), ma anche del bisogno, quando scrive “di sentire la vita attorno, perché la solitudine è da suicidio”. La bella serata è stata condotta da Luca Crovi e Mauro Novelli e sono intervenuti Dario Galli, presidente della Provincia di Varese, Andrea Pellicini, sindaco di Luino, Ettore Mocchetti, direttore di ”AD”, mentre a leggerre brani dai libri di Camilleri è stata la bravissima Sarah Maestri. Il Premio Chiara alla carriera e’ sostenuto da ”AD”, la rivista del Gruppo Conde’ Nast, per la quale Piero Chiara invento’ nel primo numero la rubrica ”La casa, la vita”, ancor oggi viva. Il premio stato assegnato negli anni precedenti agli scrittori Giuseppe Pontiggia, Giovanni Pozzi, Claudio Magris, Luigi Meneghello, Giorgio Orelli, Raffaele La Capria, Mario Rigoni Stern, Alberto Arbasino, Luigi Malerba, Dante Isella e Carlo Fruttero. Nato e morto a Luino, con una sistena intermedia da vagabondo, soprattuto in Svizzera e Francia, coetaneo ed amico del compaesano Vittorio Sereni, Chiara studiò in diversi collegi, tra cui il San Luigi di Intra e il De Filippi di Arona (di fronte alla statua di San Carlo Borromeo, spesso rievocata nelle sue opere): in realtà il futuro scrittore rimase un autodidatta e, solo nel 1929, dopo una serie di disavventure scolastiche, ottenne il diploma di licenza complementare come privatista. Dopo aver compiuto vari mestieri viaggiando tra Italia (Roma, Napoli) e Francia meridionale (Nizza e Lione), Chiara vinse un concorso come aiutante di cancelleria e, come dipendente della magistratura, lavorò in numerose sedi, da Pontebba a Cividale, fino al trasferimento a Varese dove restò in carica fino al raggiungimento dell’età pensionabile. Al 1936 risale il matrimonio con Jula Scherb, dalla quale Chiara ebbe un figlio, Marco, ma il matrimonio naufragò presto. el 1940 lo scrittore venne richiamato alle armi ma venne congedato poco tempo dopo; nel 1944, in seguito ad un ordine di cattura emesso dal Tribunale Speciale Fascista, Chiara si rifugiò in Svizzera dove visse come internato in varie località tra cui Bellinzona, Lugano e Loverciano presso Mendrisio. Dopo essere stato liberato restò in Svizzera per qualche tempo insegnando storia e filosofia al liceo italiano dello Zugerberg: in Svizzera venne pubblicata la prima opera di Chiara, la raccolta di poesie Incantavi (1945). Tornato in Italia, Chiara si sposò una seconda volta (1955) e, da allora fino alla morte (31 dicembre 1986), si dedicò, oltre che alla letteratura, al giornalismo, collaborando alla terza pagina del «Corriere della Sera». Il suo primo romanzo, Il piatto piange (1962), venne pubblicato da Mondadori su proposta di Vittorio Sereni. Tra i titoli narrativi più importanti L’uovo al cianuro e altre storie (racconti, 1969), I giovedì della signora Giulia (1970), Il pretore di Cuvio (1973), La stanza del vescovo (1976), Il cappotto di astrakan (1978), Una spina nel cuore (1979), Le avventure di Pierino al mercato di Luino (1980), Vedrò Singapore? (1981), Viva Migliavacca! e altri 12 racconti (1982), 40 storie di Piero Chiara negli elzeviri del “Corriere” (1983), Il capostazione di Casalino e altri 15 racconti (1986), Saluti notturni dal passo della Cisa ( postumo 1987). Chiara fu anche saggista. Dopo aver curato, con Luciano Erba, l’antologia poetica Quarta generazione (1954), Chiara si occupò di Casanova curandone la Storia della mia vita (1964-65, poi ritradotta insieme a F. Roncoroni e pubblicata in 3 volumi nel 1983) e l’Epistolario (1969) e curò le Poesie di Giorgio Baffo (1974) tanto da essere ben presto riconosciuto come uno dei massimi esperti del Settecento veneziano. Intenso anche il rapporto con Boccaccio, che Chiara riconobbe sempre come uno dei suoi modelli maggiori: il suo commento al Decameron è del 1976. In Quarta generazione ospitò la giovane poetessa Alda Merini, che a lui rimase legata per tutta la vita. “Possiedo quattro poesie vere, della Merini: quattro poesie DOC, scritte a macchina dalla Merini – quella macchina che prima che il nastro si consumasse del tutto, riempiva tutte le o e tutti gli occhielli delle e delle e delle parole -, su quattro fogli extra strong di grammatura leggera, e da lei firmate a mano. Risalgono al 1963, cioè a uno di quegli anni che sono, un po’ cinicamente, considerati gli ultimi “buoni” della poetessa: quelli del suo intenso fervore creativo, prima che venisse risucchiata nel gorgo della disperazione”. Questo scrive Chiara nel suo diario personale. La Merini spedì le poesie a Piero Chiara il 13 marzo 1963, accompagnate da una lettera in cui gliele affidava con parole accorate: “Chiara carissimo, gli scriveva, ecco alcune liriche di produzione nuovissima. Le trattenga. Può darsi che Le servano per preparare qualche cosa semmai vorrà aggiungere il mio nome a quello di altri poeti. Io Le devo molto, ma soprattutto tengo che creda al mio affetto. Spero di vederla presto, spero che il Suo dolore sia quieto. Io purtroppo soffro sempre terribilmente della mia vita incompiuta e questa mutilazione so bene che è peccato. Ho fede”.
Carlo Di Stanislao
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