Le storie dei tre giovani: Alin, Masha, Nader, raccontate dal film documentario “Fratelli d’Italia”, aprono uno squarcio di verità sul difficile percorso di integrazione che devono affrontare i ragazzi stranieri e i figli di immigrati: la cosiddetta seconda generazione, soggetta ad una rapida quanto radicale trasformazione che è talvolta irreversibile rinuncia alla propria identità culturale. Bel titolo per un bel prodotto, che arriva in un’epoca di ricorrenze, ma senza il minus valore retorico, perché il regista, sceneggiatore e musicista Claudio Giovannesi, desidera riformare il concetto d’unità secondo il criterio di identità multietnica, là dove si dovrebbe formare il nuovo concetto di orgoglio multinazionale.Documento ma non documentario, il film ha come epicentro una scuola di Ostia (origini alla Citti e Pasolini), l’Istituto Toscanelli, dove il 30% dei ragazzi viene da fuori e dove regista aveva già ambientato Welcome Bucarest. Il luogo è il massimo comun divisore di tre storie di integrazione e identità che il giovane abile, sottile autore racconta col minimo sforzo, aggiungendo solo alla verità dei visi quel po’ di finzione che fa parte delle vite degli altri. Il film racconta una mutazione culturale e antropologica che è tanto più forzata e dolorosa, in quanto avviene nel periodo dell’adolescenza, mentre su di loro premono in modo spesso fortemente contraddittorio le istanze della famiglia, della comunità di provenienza e l’aderenza ai modelli di una nuova società a cui sentono di appartenere e che, come per i loro coetanei, è frutto dell’ibridazione e dei bisogni imposti dal consumo di massa, un moderno Moloch a cui sacrificare ogni identità personale, il senso critico, la propria autonomia di crescita individuale. Un’esistenza “liquida”, per usare una metafora di Zygmunt Bauman, in cui tutto, anche l’immaginazione (soprattutto l’immaginazione) è regolato dai consumi. In “Fratelli d’Italia” si intuisce che il luogo primario di questo scontro culturale è la scuola, territorio sul quale e dal quale insegnanti e genitori tentano una resistenza strenua, talvolta drammatica. Chi è assente, chi sembra avere abdicato al proprio ruolo di formazione delle coscienze affiancando la scuola come sistema educativo, sono le altre agenzie educative e la classe politica e intellettuale del nostro Paese. Assenti dal territorio, dopo aver abbandonato il campo dell’etica pubblica alle forze libere e selvagge di un capitalismo globalizzato, privo di regole, giunto probabilmente, e proprio per questa ragione, alla sua fase autodistruttiva. Un film ben fatto e ben raccontto, molto meglio di “Draquila” che certamente racconta davvero una tragedia e cosa sia l’Italia dell’era di Berlusconi, ma lo fa con immagini sgranate, inquadrature di stampo televisivo e colpevole approssimazione estetica.
Carlo Di Stanislao
Il Trailer
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