In età medievale, si sviluppò una vera e propria caccia agli oggetti che consentissero ai fedeli di “credere vedendo”. I più celebri sono la Sindone di Torino ed il Telo di Oviedo, nonché, in Oriente, la Tela acheropita del Mandylion, la più celebre, forse, fra le “Veroniche”: cioè immagini per “impressione” del volto santo di Cristo. Il termine deriverebbe per alcuni dal nome della donna che avrebbe asciugato il volto sanguinante di Gesù mentre saliva il Calvario; mentre per altri si tratterebbe di una serie di mutazioni fomneteche che rimandano a “vera icona”. Ma di “volti santi” ne esistono molti, forse troppi nel mondo. Quello più “accreditato” di autenticità è il “telo” di Manoppello, che in età medievale, a quanto pare era conservato a Roma, tanto che ne fa persino menzione Dante nel trentunesimo canto del “Paradiso” (vv. 103-108). BNel XVII secolo esso ricompare a Manoppello, custodito dai locali cappuccini, oggetto di culto non solo locale e con studi robusti circa la sua autenticità. Molto celebre è anche il Mandylion, la Veronica d’Oriente,conservata inizialmente a Edessa di Mesopotamia, antica città le cui rovine sorgono oggi su territorio turco e quindi trasportata a Costantinopoli, dove sarebbe rimasta sino al saccheggio del 1204 per mano dei crociati. Dopo quella data se ne perdono le tracce. Problematico, d’altra parte, anche il discorso intorno alle origini. Secondo Esuebio di Cesarea, il Mandylion sarebbe stato inviato a re Abgar di Edessa, all’epoca molto malato, da Gesù in persona attraverso un emissario del sovrano giunto a chiedere il miracolo. Secondo lo scritto apocrifo “Atti di Taddeo”, Abgar inviò un pittore in Giudea perché ritraesse l’ormai famoso Gesù ma questi, dopo essersi asciugato il sudore, affidò all’artista il panno di lino sul quale era rimasto impresso il suo volto. La prima notizia ritenuta attendibile della presenza del mandylion a Edessa è della metà del VI secolo. Nel 544 la città fu assediata dai Sasanidi guidati dal re Cosroe I Anushirvan: secondo Evagrio Scolastico (594), la città fu liberata dall’assedio grazie all’immagine sacra. Anche un inno siriaco coevo considera l’esistenza di quell’immagine miracolosa già nota ed acquisita.Secondo la tradizione, il telo con l’immagine acheropita di Cristo era stato rinvenuto in una nicchia dentro un muro sovrastante una porta della città. Alcuni danno credito a questa tradizione ritenendo che il mandylion fosse stato nascosto secoli prima a causa delle persecuzioni e poi dimenticato; il ritrovamento potrebbe essere avvenuto durante i lavori di ricostruzione seguiti alla catastrofica inondazione del Daisan, il corso d’acqua che attraversa Edessa, avvenuta nel 525. La notizia di questa inondazione è riportata da un autore dell’epoca, Procopio di Cesarea. Molti monumenti biblici furono danneggiati o distrutti. Giustiniano I intraprese una monumentale ricostruzione, della quale beneficiò anche la chiesa principale, Santa Sofia. Jack Markwardt ha invece avanzato l’ipotesi che il mandylion (che egli identifica con la Sindone) sia giunto ad Edessa soltanto nel 540, il che spiegherebbe l’assenza di notizie precedenti: prima di tale data sarebbe stato custodito ad Antiochia. Il trasporto sarebbe avvenuto quando la città, quattro anni prima di Edessa, fu attaccata da Cosroe e molti nell’imminenza dell’assedio fuggirono. Al mandylion fu destinata una piccola cappella situata a destra dell’abside; era conservato in un reliquario e non veniva esposto alla vista dei fedeli.Quando Edessa venne occupata dai musulmani, il mandylion continuò ad esservi conservato per qualche tempo. Tuttavia si iniziò a temere per la sua sorte; quindi nel 944 il domestikos (generale) bizantino Giovanni Curcuas, in cambio di 200 prigionieri musulmani, lo recuperò per portarlo a Costantinopoli. Qui esso arrivò accompagnato da una folla in tripudio e collocato con una cerimonia fastosa dal basileus Costantino Porfirogenito nella chiesa della Vergine (Theotokos) di Pharos: il suo arrivo veniva ricordato in una festa liturgica anniversaria, il 16 agosto. In alcuni canoni composti per tale festa, si fa cenno all’immagine e le si attribuisce una potenza taumaturgica. Più tardi il mandylion fu spostato alle Blacherne, vicinissima quindi alla residenza imperiale, a sottolineare la speciale venerazione riservatagli dagli Imperatori.Nel 1204 la Quarta crociata si concluse con l’assedio e il saccheggio di Costantinopoli, e il mandylion scomparve. In Italia si conservano due versioni del Mandylion, una nella chiesa di San Bartolomeo degli Armeni a Genova l’altra alla cappella Matilda del Vaticano, ma in entrambi i casi si tratta di riproduzioni pittoriche. Per qualcuno, poi, il Mandylion è la sindone stessa. Quello di Genova, conservato nella chiesa di San Bartolomeo degli Armeni, è una delle più misteriose immagini del Salvatore. Arrivato in città nel tardo Trecento come dono dell’imperatore bizantino Giovanni V Paleologo al capitano e poi Doge genovese Leonardo Montaldo, venne destinato da questi, prima di morire, al monastero di San Bartolomeo degli Armeni..Secondo la tradizione, lo stesso Mandylion fu inviato da Cristo in persona, allora in Gerusalemme, al Re Abgar di Edessa, e nell’anno 944 la sacra reliquia fu trasferita a Costantinopoli, dove diventò il palladio della città imperiale. Da lì partirà più di quattro secoli dopo per raggiungere Genova. L’immagine di Roma è dipinta su tavola (quindi è da escludere che essa sia il mandylion originale). Fu esposta nella chiesa di San Silvestro nel 1870 ed è ora conservato nella Cappella di Matilda in Vaticano. Di foggia barocca, fu donata da suor Dionora Chiarucci nel 1623. La più antica notizia che la riguardi risale al 1517. All’epoca ne sarebbe stata vietata l’esposizione per evitare incongrue competizioni con la cosiddetta Veronica. Recentemente è stata esposta in mostre internazionali: all’Expo 2000 in Germania nel padiglione della Santa Sede e nel 2008 negli Stati Uniti. Infine, il Volto Santo di Lucca, un crocifisso ligneo che la leggenda definisce un’immagine Acheropita, posta al centro di una diffusa venerazione in tutta Europa fin dal Medioevo.La critica è concorde nel ritenere che l’attuale croce sia una copia della immagine originale, approntata in epoca incerta per sostituire una croce forse gravemente danneggiata. La valutazione cronologica, ostacolata dallo stato attuale della scultura, coperta di nerofumo e su cui non è pensabile di condurre indagini distruttive o restauri di grande portata stante la grandissima venerazione ancora tributatagli, oscilla fra l’ XI e il XIII secolo. A livello visivo studiando l’immagine del Volto Santo di Lucca non si può evitare di riscontrare una somiglianza con il Volto della Sindone. Diversi studiosi ne hanno riscontrato questa suggestiva sovrapposizione tra il Cristo scolpito di Lucca e la reliquia sindonica. La statua-reliquario venerata a Lucca, che si trova nella navata sinistra della cattedrale di San Martino, raffigura un crocifisso –il cui corpo e volto di Cristo riferiscono la Risurrezione sulla Croce- racchiuso in una stupenda cappella -di marmo di Carrara- progettata nella seconda metà del quattrocento da Andrea Civitali. Ciò che sconcerta di primo acchito, in primissima battuta, è il suo volto, la sua espressione, inusuale. Questo crocifisso presenta un colore scuro –già questa differenza cromatica ci rende la differenza-, inoltre i tratti somatici sono decisamente differenti dai crocifissi che siamo abituati a vedere. Il Volto Santo è stato scolpito dopo la resurrezione e l’ascensione del Cristo da Nicodemo -secondo l’antica leggenda- uomo menzionato nel Vangelo di Giovanni (Gv.19,38). L’opera fu consegnata ad Isacar -uomo giusto e di Dio- durante il periodo delle persecuzioni, che nascose per generazioni l’opera al fine di farla venerare. Il vescovo Gualfredo ricevette dall’ angelo l’indicazione della presenza della croce, la quale doveva essere spostata da una terra da quella terra a un luogo dove ne fosse il culto pubblico. La croce venne collocata su una barca ed affidata alla Divina Provvidenza dopo averla trasportata alla riva della vicina città di Giaffa. Il Crocifisso apparve sul territorio italiano nel 782 d.C. quando una nave proveniente dall’Oriente approdò sulle spiagge di Luni. Il vescovo di Lucca era in quel periodo Giovanni I, a capo della diocesi lucchese. Il pastore è noto agli storici della chiesa per aver trasferito nella città i corpi di molti Santi. Questa sete di reliquie –a quattro secoli di distanza dalla grande ricerca di Reliquie di Martiri operata da Sant’Ambrogio in territorio milanese- fu dipesa da un sogno al vescovo che vide un angelo che gli suggerì di andare a Luni a prendere la barca ed il suo prezioso carico, tra non poche polemiche. Il vescovo dovette dirimere la proprietà della Santa Croce. Si decise che -per acquietare le sommosse- il Crocifisso venisse posto su un carro trainato dai buoi. Così la proprietà del Santo Volto fu affidata alla direzione dei buoi lasciati liberi, perciò se avessero trascinato il carro verso Lucca l’immagine sacra sarebbe stato dei lucchesi, altrimenti sarebbe andato ai Lunensi. La Croce fu diretta dai buoi in direzione di Lucca, dove tutt’ora è ubicata e ancora una volta assegnata alla Divina Provvidenza. A Bologna in via Valdaposa, di fronte alla Chiesa dello Spirito Santo, è presente un affresco del Volto Santo di Lucca XVII secolo realizzato da un anonimo. Anche a Bolzano, nella chiesa dei Domenicani, sulla parte destra, si può notare il “Volto Santo di Lucca”, opera probabile di un pittore tedesco. Oltre a Lucca, altre città hanno deciso di dedicare chiese al Volto Santo. Una di queste è Venezia dove i setaioli lucchesi, noti in Italia nel Rinascimento si trasferirono in massa per motivi economici, ed eressero la Cappella del Volto Santo ora detta Chiesa di Santa Maria dei Servi. Inoltre, va aggiunto che, l’immagine del Volto Santo ha affascinato, da sempre, l’intera umanità tanto da diventare oggetto di riferimento nel mondo dell’arte; molti, infatti, sono gli artisti che hanno scelto tale icona come fonte d’ispirazione. Tra gli artisti più noti che si dedicarono a rappresentare la Veronica troviamo El Greco, pittore cretese che operò tra la fine del ‘500 ai primi anni del 1600. El Greco sviluppò il tema dei Volti Santi e le varie interpretazioni di Santa Veronica, tra cui quello famosissimo conservato al museo di Santa Cruz. Santa Veronica è presentata a mezzo busto mentre regge il velo con il volto di Cristo; la tela, costruita sul contrasto tra il nero dello sfondo e il chiaro del volto, delle mani e del velo, è composta dal viso di una donna che guarda all’esterno del quadro: stratagemma manierista al fine di far concentrare lo spettatore sull’immagine di Cristo. Il velo, quindi, diventa l’elemento centrale e anche il punto di maggiore emotività del quadro. Oltre allo splendido esempio di El Greco i volti più famosi del Cristo sono quello di Giotto nell’opera “Gesù che sale al Calvario”, quello di Piero della Francesca nel “Gesù esce dal sepolcro”, quello di Leonardo ne “L’ultima cena”, ritenuto anche il più bello e quello di Michelangelo nel “Gesù giudice”. Anche in età contemporanea e, persino oltreoceano, la Veronica continua ad affascinare; l’artista newyorchese Julian Schnabel, nel 1984, ha realizzato l’opera “Il velo di Veronica” conservato a Napoli presso l’Istituto per l’Arte Contemporanea. Il quadro, fusione dell’astratto con il figurativo, propone una sontuosità preziosa e precaria attraverso l’utilizzo di materiali inconsueti come il velluto e le pelli d’animali. La rappresentazione si mostra cruda e sofisticata attraverso scelte monumentali; il quadro, infatti, è alto due metri e mezzo per tre metri. Quanto al nostro Abruzzo, un’opera eccellente che si riferisce alla Vera Icona, è stata donata al santuario del Volto Santo dall’artista Antonio Mancini, originario di Manoppello ma trapiantato da anni a Milano.
Carlo Di Stanislao
Letture Consigliate
– Angeli A. (a cura di): La devozione al santo volto di Cristo nell’iconografia delle immaginette sacre, Ed. Velar, Roma, 2001.
– Ghambarotta B.: Oltre la Sindone. Reliquie sacre e profane tra fede e mito, Ed. Anake, Roma, 1997.
– Gheda P.: Il custode del volto santo. Breve storia spirituale di Gaetano Catanoso, Ed. SEI, Firenzer, 1997.
– Pessi L.: Cattedrale di San Martino Lucca. Il volto santo, Ed. Little Mercuri, Lucca, 2008.
– Roncalli E.: La sindone e le reliquie celebri. Storia, luoghi, riti e tradizioni, Ed. Mattioli, Roma, 2010.
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