La diffusione del consumo di alcol nel nostro Paese rimane stabile, ma quello che cresce e preoccupa maggiormente è l’abitudine a bere fuori pasto, un modello comportamentale che ci avvicina ai Paesi dell’Europa del Nord. Il dato arriva dall’ultima rilevazione Istat “L’uso e l’abuso di alcol in Italia” relativa all’anno 2009. In particolare, il “binge drinking”, cioè il consumo di sei o più bicchieri di bevande alcoliche in un’unica occasione, riguarda sempre più i minorenni, che in molti casi si avvicinano alle sostanze alcoliche già a partire dagli 11 anni, con una percentuale doppia nei maschi rispetto alle femmine. Tra le fasce d’età, i comportamenti più a rischio si registrano negli over 65 e nei giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni. Ma è tra le donne che si registrano i dati più preoccupanti: le donne italiane bevono sempre di più. La percentuale di bevitrici lontano dai pasti registra un incremento del 23,6% contro il 6,2% dei maschi, mentre fortunatamente decresce del 24,4% quella delle consumatrici abituali. L’ alcolismo fino a qualche tempo non era trattato alla stregua di una malattia, ma soltanto di un vizio. A torto. Perché la dipendenza da alcol è caratterizzata dalla mancanza di controllo da parte dell’alcolista sulla sostanza che lo rende schiavo. Non solo; questa dipendenza ha dei costi sociali enormi in morti per patologie secondarie (cirrosi ed epatocarcinoma, malattie cardiovascolari, patologie cerebrali), per incidenti stradali provocati da riflessi appannati dall’alcol, per ricoveri ospedalieri, divorzi, licenziamenti. Nonostante tutto ciò, le bevande alcoliche restano una risorsa facilmente raggiungibile poiché non sono fuorilegge ed il loro prezzo è alla portata di tutti (a differenza delle droghe). Fino a qualche anno fa, una donna che beveva era sintomo di un degrado sociale enorme; oggi, la donna, invece, ha raggiunto la parità con l’uomo e questa parità si è portata dietro enormi vantaggi, ma anche alcuni svantaggi. Non è infrequente, infatti, ai giorni d’oggi vedere anche adolescenti con la bottiglia di birra a bere tra gli amici. La voglia di trasgressione durante l’adolescenza, la perdita di ruoli come madre e moglie da un lato e come manager dall’altro, problemi affettivi o depressivi possono spingere la donna del terzo millennio a cercare sollievo nell’alcol. Inoltre, per un particolare enzima, che nella donna si trova in concentrazioni minori rispetto agli uomini, le donne assorbono più quantità di alcol e quindi procedono più velocemente sulla strada della dipendenza. I dati sono allarmanti, pur non essendo dati affidabili, perché ancora oggi l’alcolismo femminile è una cosa da nascondere, quindi per molte donne si tratta di un problema sommerso. Il motivo predominante, come si è accennato, è di origine psicologica: la paura della solitudine, il timore di non essere all’altezza dei ruoli fatti per lei, l’insoddisfazione, la scarsa autostima sono tutti fattori di rischio per lo sviluppo dell’alcolismo femminile. La questione più grave, in questo senso, però, è l’esistenza di dipendenza durante una gravidanza. I danni al feto derivanti dall’assunzione smodata di alcol sono ingenti e devastanti. L’etanolo, infatti, riesce a passare attraverso la placenta e ad arrivare al feto quasi nelle stesse concentrazioni in cui si trova nel sangue della madre. Il feto, così esposto a grandi quantità di alcol, subisce l’azione distruttiva dell’etanolo sui tessuti e sugli organi che si stanno ancora formando, azione che si manifesterà in malformazioni, ritardo della crescita, ritardo mentale, ridotta circonferenza cranica, ridotto peso alla nascita, epilessia, sintomi di una sindrome che va sotto il nome di Fetopatia Alcolica. Anche dopo la nascita, i danni al bambino possono continuare se la donna allatta al seno, poiché l’alcol in circolo arriva alla ghiandola mammaria e di lì al bambino che succhia.
Carlo Di Stanislao
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