Sanguineti ci lascia “uno sguardo vergine”

Più intenso che altri, serberò il ricordo, che risale ai miei 13 anni, del luglio del 1969, del debutto a Spoleto de l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, regia di Luca Ronconi, su sua ‘mascheratura’, con un teatro che, attraverso il distacco brechtiano, costringeva a pensare, ma con un linguaggio semplice, tanto da essere comprensibile a […]

Più intenso che altri, serberò il ricordo, che risale ai miei 13 anni, del luglio del 1969, del debutto a Spoleto de l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, regia di Luca Ronconi, su sua ‘mascheratura’, con un teatro che, attraverso il distacco brechtiano, costringeva a pensare, ma con un linguaggio semplice, tanto da essere comprensibile a tutti, anche ad un adolescente piuttosto perplesso per il comando del padre a seguirlo in quella “visione”. Nel 2006 ho acquistato il volume della “mascherata” (edito da ETS) e mi sono rivisto, con commozione, il DVD che è il travestimento/tradimento televisivo in cinque puntate dell’Orlando teatrale che Sanguineti con Ronconi diressero per la RAI,  in occasione del quinto centenario della nascita d’Ariosto. Ad ottobre di due anni fa, la città de l’Aquila gli aveva tributato il premio Laudomia Bonanni.  Con lui scompare un pensiero libero e contro ogni conformismo, che ci  ha accompagnato nella vita, facendoci trovare, nei suoi versi e nelle sue parole,  il senso autentico della cultura come impegno sociale e del sapere come leva di uguaglianza. Edoardo Sanguineti,  poeta, scrittore e critico genovese, è morto oggi,  all’ospedale Villa Scassi, nel capoluogo ligure, all’età di 79 anni. Esponente di spicco del Gruppo ’63, autore teatrale, studioso di Dante, apparteneva all’intellighenzia europea e giovedì avrebbe inaugurato, al Ducale, il Festival del pensiero comico, intitolato: “Far ridere è arma di potere”. Una figura di letterato, la sua,  a 360 gradi, fuori e dentro il mondo accademico. Poeta, intellettuale, professore di letteratura all’Università di Torino, Salerno e Genova, autore di teatro, critico, saggista, ha saputo coniugare impegno, profondità cultura e semplicità di trasmissione. Insieme ad Angelo Guglielmi, Edoardo Sanguineti fu il teorico più famoso del Gruppo 63, tanto che Giuliani, nella prefazione ai Novissimi (celebre antologia poetica curata con lui),  così dice: “Credo che Sanguineti sia caratterizzato dall’uso intellettuale dei pensieri e dal fatto di aver saputo grandiosamente razionalizzare il paludoso linguaggio dell’avanguardia europea di questo mezzo secolo”. Con la sua vasta produzione poetica – che dopo l’esordio continuò con molti volumi tra cui Triperuno (1964), Wirrwar (1972), Postkarten (1978) – Sanguineti cercò sempre di sviluppare forme letterarie coerenti con gli assunti di una letteratura che si faceva ideologia sistematica e visione complessa della realtà, un disegno di rappresentazione del mondo contemporaneo che sapesse seguirne il caos, il disordine e al tempo stesso, dantescamente, restituirne la struttura attraverso una rappresentazione linguistica della “palus putredinis”, la palude del mondo contemporaneo. Ai richiami psicoanalitici che lo portavano a mettere in scena anche un disagio psichico individuale (evidente anche nella sua opera di narratore a aprtire dal suo romanzo più famoso, Capriccio italiano, del 1963) corrispondeva la volontà di inserire questa crisi individuale in un esaurimento storico della società capitalista. Da qui la necessità di tenere ferma la barra ideologica, l’analisi del reale secondo la lezione di Marx, principalmente, e la incessante militanza intellettuale che ne ha fatto una delle figure di riferimento della seconda metà del ‘900. A me piace anche il romanziere, quello di Capriccio italiano (1963) e Il gioco dell’oca (1967, quello che procede a un uso ludico della parola, smontando le forme di narrazione tradizionale, sovvertendo l’uso della punteggiatura e interrompendo continuamente il corso narrativo con ricordi e sogni: un modo tutto nuovo di reinterpretare Svevo e Joyce.

Carlo Di Stanislao

 

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