Kingston, capitale della Giamaica, a ferro e fuoco, con le autorità governative che hanno dichiarato lo stato d’emergenza in diversi quartieri. L’ondata di violenza si è scatenata in seguito alla decisione del governo giamaicano di estradare negli Stati Uniti il narcotrafficante Cristopher “Dudus” detto “Coca Cola”. Nonostante il premier giamaicano Bruce Golding si fosse opposto, il via libera all’estradizione è stato dato la scorsa settimana. Il governo ha spiegato chiaramente che Coke deve essere giudicato negli Stati Uniti, perché considerato responsabile di una rete internazionale di narcotraffico che frutta milioni di dollari ogni anno.
È accusato, infatti, di essere il capo della più importante banda dedita al traffico di stupefacenti, la Shower Posse Gang, che ha ramificazioni negli Usa dove spaccia marijuana e crack. Secondo alcuni testimoni, le strade nella povera area di Tivoli Gardens a West Kingston, dove si pensa che Coke si nasconda, sono state barricate ieri, e la polizia ha intimato a Coke di consegnarsi. Il dipartimento di Stato americano ha sconsigliato con un avviso i viaggi nell’area metropolitana di Kingston, per il rischio di violenze. Il primo ministro ha avvertito le gang del narcotraffico che subiranno una ferma risposta da parte delle autorità, affermando che al crimine “non sarà permesso di trionfare”. La Giamaica è da sempre considerata l’isola più attraente dei Caraibi per la bellezza delle spiagge e del mare, per la natura rigogliosa e per il ritmo coinvolgente della musica reggae diffusa nel mondo dal mito di Bob Marley. I primi coloni spagnoli iniziarono ad arrivare nel 1509, costringendo alla schiavitù gli Arawak, e determinandone l’estinzione per il duro lavoro, i maltrattamenti e le malattie europee contro le quali gli indios non avevano difesa. Gli spagnoli iniziarono quindi ad importare schiavi dall’Africa per farli lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero. Nel 1654, malgrado gli sforzi degli spagnoli, fu conquistata dagli Inglesi che ne fecero un centro di contrabbando in direzione dell’America spagnola. Nella seconda metà del Seicento l’isola è sotto il controllo dei bucanieri, un eterogeneo gruppo di banditi marittimi, rifugiati politici e criminali evasi, che si dedicavano alla pirateria. I pirati del leggendario Henry Morgan partivano per le loro imprese da Port Royal che all’epoca era la capitale; saccheggiavano navi, porti, cittadine costiere, colpendo soprattutto gli interessi spagnoli con l’appoggio degli inglesi. Quando fu firmata la tregua tra Spagna e Inghilterra, nel 1672, i pirati divennero un problema per tutti: Carlo II, Re d’Inghilterra, lo risolse nominando Morgan Governatore dell’isola. Le ribellioni degli schiavi resero difficile la vita agli inglesi: la prima risale al 1673 quando un piccolo gruppo di schiavi africani riuscì a fuggire dalle piantagioni e a rifugiarsi tra le montagne; furono chiamati Maroons e divennero l’emblema di una razza che non vuole abbassare la testa senza combattere un nemico crudele e razzista. Da quel momento le ribellioni furono all’ordine del giorno soprattutto dopo che la guerra d’indipendenza americana (1775-81) e la rivoluzione francese (1789) avevano diffuso nel mondo uno spirito di libertà e indipendenza. Tutte furono soffocate dagli inglesi con estrema violenza. L’ultima, nel 1831, ispirata da “Daddy” Sam Sharpe, schiavo istruito che incitava alla resistenza passiva, coinvolse circa 20.000 schiavi; fu molto violenta e portò alla distruzione di diverse piantagioni e all’uccisione di numerosi latifondisti. La reazione dei coloni fu talmente brutale da provocare lo sdegno della stessa Inghilterra che costrinse quindi il parlamento giamaicano ad abolire la schiavitù il primo agosto del 1834.Sebbene l’antico ordine fosse stato abolito, minando il potere economico dei proprietari terrieri, il potere politico era ancora nelle mani dei latifondisti bianchi, gli unici ad avere il diritto di voto. Le ingiustizie sociali e le disperate condizioni economiche del paese portarono alla rivolta di Morant Bay, nel 1865, guidata da Paul Bogle, ma, ancora una volta, repressa dai coloni inglesi con una tale violenza da spingere l’Inghilterra a assumere una posizione più illuminata con una serie di governatori più liberali che iniziarono un lento processo di riforme sociali e che riuscirono a portare una relativa prosperità nel paese.Il suffragio universale per tutti i giamaicani fu raggiunto solo nel 1944, anno in cui la Giamaica acquisì una virtuale autonomia dall’Inghilterra all’interno della Federazione delle Indie Occidentali, dalla quale si stacco il 6 agosto 1962 quando divenne una nazione indipendente nell’ambito del Commonwealth. Prima di Kingstone, furono capitali dell’isola Port Royal, dove esercitò il potere il pirata Governatore Morgan e che fu distrutta da una tempesta e da un terremoto e Spanish Town, nel distretto di Saint Catherine, vecchia capitale coloniale spagnola e poi capitale inglese durante il XVIII e il XIX secolo. Da molti anni gli operatori turistici avvertono che, in Giamaica, al di fuori dei complessi alberghieri, si è sovente esposti, soprattutto in ore notturne, a sgradevoli inconvenienti quali scippi, furti vari a mano armata e, in alcuni casi, violenze fisiche per cui è sconsigliabile, in genere, uscire dopo il tramonto. E’ possibile però visitare, nelle ore diurne, solo luoghi indicati dalle guide turistiche. Il tipo di reato in cui incorrono più sovente i turisti è quello del possesso ed uso di stupefacenti ed in alcuni casi anche il tentativo di esportazione. Nel passato il problema si limitava alla sola marijuana, qui nominata “ganja”, mentre ora il traffico si è intensificato con presenza di droghe pesanti quali la cocaina ed il crack. Secondo quanto informano le locali Autorità vengono confiscate, quasi giornalmente, diverse quantità di droga nei bagagli dei turisti che lasciano l’Isola. Tale reato, trattandosi di tentato traffico di stupefacenti, è severamente punibile: le pene vanno da 5 a 15 anni di lavori forzati, mentre il solo possesso di piccole quantità di droga durante il soggiorno del turista si conclude, nella maggior parte dei casi, con il pagamento di una multa ed l’immediata espulsione dal Paese. In ambedue i casi le Autorità locali comunicano alla competente Ambasciata l’arresto dei connazionali per i successivi adempimenti.
Carlo Di Stanislao
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