“Non posso più da solo portare il peso di questo popolo”(Libro dei Numeri 11,14). Due famose catene di vendita italiane in questi giorni, secondo alcune interpretazioni che vanno per la maggiore e in parte clamorosamente smentite, avrebbero interrotto (il condizionale è d’obbligo) la commercializzazione dei prodotti delle colonie israeliane nei territori palestinesi “occupati”. Ne è scaturita una polemica senza fine. E’ stata presentata alla Camera dei Deputati un’Interrogazione parlamentare in merito alle notizie secondo le quali due catene di supermercati avrebbero deciso di escludere dai loro scaffali le merci prodotte in Israele. Dopo aver sottolineato che “tale scelta si basa su un pregiudizio ideologico verso lo stato di Israele, uno stato amico ed alleato dell’Italia, una delle poche democrazie compiute del Medio Oriente”, alcuni parlamentari affermano che “questi atteggiamenti ricordano in modo inquietante il boicottaggio dei negozi ebraici posto in atto da alcune dittature negli anni 30 in Europa”. Nell’Interrogazione si chiede al Governo di “prendere posizione in ordine a tale scelta, che fra l’altro penalizza gravemente i consumatori italiani, pur nel rispetto della libertà di impresa, doveroso in una nazione ad economia di mercato”, e di valutare se il comportamento delle due catene della grande distribuzione “non violi le norme contro le discriminazioni razziali, politiche o religiose previste dal nostro ordinamento”. In realtà, una delle due catene di supermercati si è subito dissociata, inviando una richiesta di rettifica a tutti gli organi d’informazione che avrebbero visto un nesso fra la scomparsa dei prodotti israeliani Agrexco dai suoi scaffali e la cosiddetta campagna di boicottaggio. Come tutti sanno l’espressione “Territori Occupati” riferita da alcuni ad Israele, è da tempo obsoleta, nostalgica, oserei dire quasi ottocentesca. Anche ad affermare il concetto assai opinabile, magari arrampicandosi sugli specchi, si tratta di argomentazioni desuete visto che esistono i Territori dell’Autorità palestinese concessi a suo tempo dallo Stato democratico di Israele. Nel caso si potrebbe parlare di “territorio occupato” pensando alla dittatura integralista dei terroristi di Hamas, ma non è di moda sui media italiani ed europei. Dinnanzi alla dura realtà vissuta da Israele fin dalla fondazione (se accadesse nella Roma Capitolina, farebbe rizzare i capelli pure ai calvi!) l’eventuale boicottaggio del quale si legge in questi giorni sui giornali, presumibilmente interpretato come tale in malo modo e rivolto ai prodotti venduti da Israele e originari dei “territori, apparirebbe nella migliore delle ipotesi ancor di più anacronistico e fuorviante. Destinato semmai, con tutti i distinguo espressi, a portare solamente acqua al mulino della pericolosa tradizione estremista islamica che prima o poi, se non opportunamente sconfitta, condurrà alla fine del mondo. Una tradizione alimentata dalla sinistra terzomondista, da sempre anti-israeliana, anti-sionista ed anti-semita (dunque anche anti-araba!) “a priori”. In una nota, una delle due aziende interessate afferma sostanzialmente che: Agrexco produce ed esporta soprattutto pompelmi; la stagione dei pompelmi in Israele finisce ad aprile; ergo, se nei nostri supermercati non si trovano più i pompelmi Agrexco, ciò non è imputabile ad una scelta ideologica, ma semplicemente ad una legge di natura. Quando le produzioni di pompelmo saranno nuovamente disponibili – continua la nota – le forniture proseguiranno regolarmente. Al di là della storia che crediamo inventata di sana pianta a danno delle imprese italiane e israeliane insieme, i boicottaggi economici sanno di ipocrisia e di ostilità ideologica preconcetta quando si vuole operare nel libero mercato. Almeno stando a quanto dichiarato dalle catene commerciali finite nel ciclone mediatico, ovvero che la decisione sofferta riguarderebbe solo quei prodotti (pare si parli dello 0,4 per cento dell’Import da Israele!) originari dei “Territori” per carenza di tracciabilità. Sempre che ciò sia corretto, il cliente non capirebbe esattamente quale provenienza abbia il prodotto (ad esempio, agrumi ed arachidi) e non potrebbe quindi determinare pienamente e liberamente la propria scelta. Ma questo rigoroso metodo viene applicato a tutto campo anche per tutti i prodotti commerciali del mondo? Anche all’uvetta turca proveniente magari dai territori curdi, anche a qualche prodotto spagnolo dei territori baschi? Siamo sicuri che il “made in China” o “il made in PRC” non sia invece di fonte tibetana? E se qualche prodotto importato dai territori dell’Autorità palestinese sia “made in Gaza” e quindi contribuisca ad arricchire gli integralisti di Hamas, che facciamo: saremmo davvero disposti a boicottarli? Insomma, la “tracciabilità totale” è realistica e doverosa per tutti o solo per i soliti noti? E’ dal novembre del 1947, quando l’ONU sancì la spartizione con la Risoluzione 181, che l’atteggiamento islamico è stato quello di un susseguirsi ideologico, politico e militare di sanguinosi NO alla presenza di uno Stato democratico ebraico nell’area mediorientale. Ormai l’ONU ci ha abituato a tutto, anche alla creazione di stati etnicamente “puliti”. Lo abbiamo visto nell’ex Iugoslavia. Ma non lo è il caso di Israele che accoglie tutti sotto la propria Costituzione. E L’Europa lo dimentica! Una scelta politica, quella degli stati non democratici islamici, che negli anni, ahinoi, si è sempre più marcatamente dipinta dei colori dell’estremismo religioso, dell’indottrinamento forzato dei fanciulli nelle varie dittature terzomondiste e dell’esaltazione parossistica del terrorismo suicida contro il “demone occidentale crociato”. Poi tutti si fanno bravi contro Israele ogniqualvolta questo Stato democratico compiuto (l’unico in Medio Oriente) si affaccia alle più decise offerte territoriali: dal 1948 al Dopoguerra del ‘67, via via fino a Camp David nel 2000 ed alle offerte di Annapolis nel 2007, quelle di Olmert. Israele ha dato segno di grande responsabilità nei vari sgomberi, non ha mai rifiutato di trattare il problema territoriale, ha lasciato il Sinai, il Libano, tutte le città palestinesi, Gaza…! E che cosa ha ottenuto dall’Europa e dal libero mercato dei paesi amici? E’ impossibile non vedere che ciò che manca non è la volontà di Israele di cedere qualche territorio in più ma quella del mondo arabo-islamico-palestinese di procedere davvero sulla strada della Pace accettando la richiesta di Israele di accogliere l’esistenza di uno Stato del popolo ebraico capace di accogliere nei suoi “territori”, tra i suoi cittadini: arabi, cristiani e mussulmani che, insieme agli ebrei, amano la libertà e la democrazia. Impossibile non accorgersi che l’incitamento antiebraico, con l’esaltazione incessante del terrorismo che è anche anti-arabo, sia il più grande ostacolo sulla strada della Pace vera e che occorre richiedere ai palestinesi una presa di responsabilità che garantisca almeno in parte la sicurezza di Israele, straziata da tante morti innocenti. Cosa c’entra tutto questo con il finto boicottaggio? Il fatto è che a noi Italiani ed Europei manca la giusta prospettiva! E’ assurdo e irrazionale gravare Israele anche di cavilli “commerciali”: nulla che non possa essere affrontato realmente e liberamente risolto all’interno dell’Unione Europea e dell’Euro-moneta tanto agognata da Israele quanto promessa dagli Europei ed altrettanto disattesa dalle grandi Democrazie occidentali “amiche”, Italia compresa. L’intero processo di Pace ne gioverebbe perché in un momento di pericolo estremo per la sua stessa esistenza, l’Europa sarà con Israele ora e sempre. Favorendo sì la nascita del democratico e libero Stato palestinese, senza però tradire le giuste aspettative di sopravvivenza di Israele, cioè le nostre stesse promesse pronunciate dai leader italiani in questi anni. Comunque con i boicottaggi Israele è abituato a convivere sin da prima della creazione dello Stato quando ancora al tempo del Mandato britannico, le merci degli ebrei di Palestina erano boicottate dalla Lega araba, fondata nel 1944. Per quanto fastidiose e irritanti, queste forme di boicottaggio non solo non hanno avuto effetto ma hanno prodotto quello contrario, stimolando la libera iniziativa economica di un piccolo grande Paese che per motivi strategici ha fondato la sua politica sul principio della qualità contro la quantità. L’industria hi-tech “made in Israel” ne è una prova lampante, ma in Italia non ne vediamo granché sugli scaffali! E’ un bene che in Italia anche il Partito democratico si sia schierato contro l’“inaccettabile” boicottaggio dei prodotti israeliani. La condanna del Pd insieme a quella del Centrodestra colpisce non tanto la scelta delle due grandi catene le quali, per la verità, negano di aver tolto dagli scaffali dei loro supermercati i prodotti di Agrexco, la società d’export controllata dal governo israeliano, contro la quale è in corso una campagna mondiale per la mancanza di tracciabilità dei prodotti coltivati nei “territori occupati”; quanto le strumentalizzazioni che ne sono derivate. In una lettera aperta alle due cooperative i filoisraeliani del Pd si dicono “molto colpiti della notizia” perché un eventuale boicottaggio non fa altro che dare luogo a “strumentalizzazioni”. Su tracciabilità, cerchiobottismo, false interpretazioni e pregiudizio contro Israele, è l’ora di fare piena luce. Ma si dica anche la verità tutta intera su tutti gli altri prodotti israeliani che potremmo liberamente importare, in primis l’hi-tech, ma non lo facciamo, nonostante tutti i gemellaggi, viaggi, cene, convegni e chi più ne ha più ne metta.
Nicola Facciolini
“Ci fa molto piace che Israele si unisca ai paesi dell’Ocse. Già io come altri paesi europei l’abbiamo invitato a entrare in Europa perché è vicina a noi per cultura e tradizione”, così il premier Silvio Berlusconi ha accolto l’adesione dello Stato israeliano all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Assieme ad Israele, in occasione dell’annuale vertice interministeriale Ocse, quest’anno presieduto dall’Italia, si è registrata l’adesione di Estonia e Slovenia. Il vertice riunisce i ministri dell’area economica di 40 Paesi, che rappresentano l’80 per cento circa dell’economia mondiale. A margine del vertice Silvio Berlusconi ha incontrato il premier Netanyahu e a quanto si apprende i due “hanno avuto uno scambio di idee sulla situazione internazionale, in particolare sul processo di pace in Medio Oriente e sull’Iran”. I due hanno anche “approfondito temi di cooperazione economica bilaterale, che erano già stati avviati durante la visita di Berlusconi a Gerusalemme”. “I toni dell’incontro con Netanyahu – hanno concluso le fonti – sono stati molto cordiali”.
Parigi, 28 maggio 2010
“Riteniamo inaccettabile l’accusa di razzismo e antisemitismo di cui siamo stati oggetto in questi ultimi giorni, in quanto del tutto priva di fondamento e perché ben altri sono i principi che da sempre ispirano il nostro operato: mutualità, solidarietà e democrazia, che all’evidenza contrastano con ogni forma di discriminazione. Per tale ragione abbiamo respinto con fermezza le affermazioni del ministro degli Esteri Franco Frattini, denunciando la totale infondatezza delle notizie diffuse, e fissato un incontro con la Comunità Ebraica di Roma per illustrare la verità dei fatti. I nostri scambi commerciali con aziende israeliane non si sono mai interrotti, registrando, dall’inizio dell’anno, un significativo incremento rispetto agli anni precedenti. Mai è stata attuata la sospensione della vendita di prodotti israeliani nei punti di vendita della nostra rete commerciale. Prendiamo atto con rammarico delle affermazioni riportate nell’articolo comparso sull’edizione romana del Corriere della Sera, che sono l’inevitabile conseguenza di una campagna di disinformazione priva di riscontro oggettivo, strumentale e guidata da finalità non chiare. Consideriamo inaccettabile che il nome di Conad sia accostato a termini quali antisemitismo razzismo ed auspichiamo che la stampa verifichi con scrupolo i fatti prima di fare da megafono a tesi lesive del buon nome di una realtà che vede ogni giorno impegnati tremila imprenditori assodati e 35 mila addetti al servizio di milioni di famiglie in tutto il territorio del nostro Paese”.
Camillo De Berardinis Amministratore delegato Conad, Corrire della Sera Roma, 30 maggio 2010
“Nell’Italia che gioca e minimizza con le parole, un boicottaggio prende le forme di un’aggrovigliata questione di «tracciabilità», e una campagna mirata all’ostracismo politico ed economico di uno Stato diventa un banale problema di etichetta, un diverbio a distanza sui prodotti a denominazione di origine controllata. E invece la guerra Coop (e Nordiconad) contro i prodotti israeliani dell’Agrexco si è rivelata nel giro di poche ore per quello che era: un caso politico, una disputa che al boicottaggio ha sommato un’immediata minaccia di contro-boicottaggio. Altro che «tracciabilità». Ora, stipulato l’accordo (o la tregua), i prodotti ortofrutticoli tornano sui banconi della Coop. La quale Coop ha trovato stavolta in Internet, nei blog, nei social network, un ostacolo insormontabile per la sua strategia di minimizzazione. Dicevano che non era «boicottaggio», che era solo una questione di precisione e di lealtà di mercato, che i clienti dovevano sapere che dietro il «made in Israel» c’erano anche i prodotti raccolti e lavorati dal gigante agro-alimentare Agrexco nei Territori occupati che, come è noto, non sono ancora uno Stato palestinese, ma sicuramente non sono Stato di Israele. Però l’Agrexco ha ribattuto che quei prodotti coprivano solo lo 0,4 per cento del totale e che se c’era da adeguare l’etichetta ai canoni fissati dalle norme Ue, allora non avrebbero opposto alcun impedimento. E allora, c’era bisogno che la Coop stilasse un annuncio tanto impegnativo, nientemeno che la liberazione dei propri scaffali dai prodotti israeliani, alcuni di incerta origine? Non potevano rivolgersi direttamente all’Agrexco, come poi è stato fatto, ma solo dopo l’improvvido, e catastrofico, annuncio del boicottaggio? E poi, sicuri che non era proprio, esattamente «boicottaggio»? I responsabili della Coop dicono di no, che non è mai stato boicottaggio. Ma poi si scopre che sul sito dell’ong «Stop Agrexco» ci si compiaceva nei giorni scorsi per «l’importante risultato della campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni» (tutto con le maiuscole) «contro l’apartheid israeliano»…”.
Pierluigi Battista, Corriere della Sera, 29 maggio 2010
Lunedi ci sarà un incontro tra i dirigenti della Conad con l’ambasciatore di Israele a Roma, Gideon Meir e il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, per un chiarimento definitivo sulla vicenda del presunto boicottaggio della vendita di prodotti ortofrutticoli provenienti da Israele in alcune catene distributive, tra cui Conad.
“Le notizie su quello che è accaduto nella notte tra la Marina dell’esercito israeliano e le navi della Freedom Flotilla rimbalzano ancora confuse, e centinaia di voci si alzano in tutto il mondo per condannare Israele, senza conoscere con precisione i fatti, come ha dichiarato alla Bbc un portavoce del Ministero degli Esteri israeliano.
Sergio Minerbi, diplomatico israeliano di origine italiana, già ambasciatore d’Israele presso la Comunità europea a Bruxelles, oggi professore universitario e commentatore di diverse testate giornalistiche, tra cui il giornale dell’ebraismo italiano “Pagine Ebraiche”, da Gerusalemme esprime le prime valutazioni su uno degli episodi più drammatici e destinati a far discutere degli ultimi anni.
Ambasciatore, come spiegare quello che è successo?
In realtà la situazione non è ancora chiara. Quello che è certo è che i soldati israeliani che dovevano ispezionare le navi della Freedom Flotilla si sono trovati davanti persone tutt’altro che pacifiche. Gli attivisti a bordo hanno tentato di linciarli, con coltelli, bastoni e armi da fuoco. Sono state rinvenute pistole e molte munizioni. I soldati hanno reagito. Ci sono stati feriti, si parla di una ventina di morti. Ma è troppo presto per dire di più.
Intanto sui giornali di tutto il mondo si parla di ‘assalto’ dell’esercito israeliano alle navi pacifiste, e Hamas esorta all’Intifada davanti a tutte le ambasciate israeliane. Secondo il suo parere, si rischia un’escalation?
Hamas è consapevole che una nuova Intifada o guerra non convenga a nessuno. Non credo quindi ci saranno particolari conseguenze. Certo è che da Gaza, Hamas continua a lanciare razzi, gli ultimi due giorni fa. Quello che sarebbe importante che i leader e l’opinione pubblica mondiale comprendessero, è che non c’è crisi umanitaria a Gaza. Tutti i giorni, compreso stamattina, 160 autocarri portano nella Striscia cibo e medicine. Anche nel caso della Flotilla, Israele ha offerto più volte di far sbarcare il carico ad Ashdod, e poi trasferirlo a Gaza. Ma questa proposta non è stata accettata. Perché? Come ha spiegato la portavoce dell’organizzazione, che guarda caso è rimasta a Cipro, questo non sarebbe stato possibile perché le navi non trasportano semplicemente generi alimentari e medicinali, ma materiale che compare sulla lista nera israeliana. Come il cemento, che serve per costruire i bunker. Altro che intenzioni pacifiche.
Dal punto di vista mediatico però questa operazione sta già avendo grosse conseguenze. Non si sarebbe potuto gestire meglio la situazione sin dall’inizio?
È facile parlare con il senno del poi, ma in questo caso non credo ci fossero molte alternative. La Freedom Flotilla aveva due obiettivi, è chiaro, da un lato danneggiare Israele dal punto di vista mediatico e dall’altro introdurre a Gaza materiale proibito. Questo andava impedito. Difficile immaginare qualcosa di diverso.
Questo episodio di inserisce nel quadro delle relazioni sempre più delicate tra Israele e Turchia.
La verità è che da due anni a questa parte il primo ministro Erdogan ha deciso di trasformare il suo paese in uno stato islamico e si è mosso di conseguenza. Sono le sue intenzioni a contare davvero. Dopo questa svolta, la Turchia si è avvicinata a Iran e Siria e la tensione con Israele ha iniziato a crescere. I fatti di questi giorni non sono che una manifestazione della nuova rotta, non rappresentano una novità nei rapporti tra Israele e Turchia di per sé.
Quali conseguenze dovrà aspettarsi Israele dal punto di vista dei leader politici e dell’opinione pubblica mondiale?
Io direi semplicemente ‘more of the same’. Chi è disposto ad ascoltare le nostre ragioni, continuerà a farlo, chi è contro di noi avrà una scusa in più per rimanere tale. Dal mio punto di vista il problema vero è un altro. Il mondo non vuole rendersi conto che Gaza oggi è governata da un regime terroristico. Hamas non vuole la pace, né accetterà mai il riconoscimento di Israele. La comunità internazionale, Unione europea in primis, continua ad aiutarli attraverso le organizzazione non governative. E questo non aiuta la pace”.
Rossella Tercatin