Nei suoi romanzo tutto è memoria, citazione, ricordo, come per i protagonisti di “Scoprendo Forrester” di Gus Van Sant. Della sua opera ci si può innamorare, ma può anche non piacere affatto, se si cerca un’occasione di svago superficiale. Per me il Carofiglio più autentico è quello de “L’arte del dubbio”, pubblicato da Sellerio nel 1997, quando era uno sconosciuto magistrato, ben lontano dai romanzi che ne hanno fatto uno degli autori più amati dal pubblico: la serie dell’avvocato Guerrieri e “Il passato e una terra straniera”. Quel manuale concepito come breviario su come condurre un interrogatorio ci fa far scoprire in che modo affinare le proprie armi conoscitive, visionare e fantastiche. La penna del magistrato senatore e scrittore barese ha ormai cadenza quasi semestrale. Ma nell’ultima produzione l’impegno è di maggior consistenza rispetto alle ultime uscite, i recenti divertissements delle “Perfezioni provvisorie” e del “Paradosso del poliziotto”. Nella sua ultima fatica (“Non esiste saggezza”, di Laterza), dimostra infatti come, anche se si è affermati, occorra rischiare e scegliere ogni volta vie nuove, pur conservando la memoria del passato. Il libro non è un romanzo, ma una commistione di genere: un’antologia di racconti, brevi e lunghi, surreali e concretissimi, semplicemente vari. Sarà lui a chiudere, giovedì prossimo 3 giugno, nelle aule della sede provvisoria di Bazzano della Facoltà di Lettere e Filosofia, “Gli Incontri aquilani della Facoltà di Lettere”, parlando certamente delle sue ultime fatiche (“Le perfezioni provvisorie” e “Non esiste saggezza”), ma anche del mestiere di scrittore e dell’arte di scrivere e osservare. Con lui si conclude nel migliore dei modi la serie di incontri inaugurata da Franco Battiato e proseguita con Dacia Maraini, Vito Mancuso e Marco Paolini, incontri letterali, teologici e teatrali, che hanno riscosso grande consenso. A partire dalle 11, ascoltarlo e parlare con lui, servirà per meglio conoscere le diverse anime di Carofiglio: magistrato, scrittore e uomo politico che svolge egregiamente tutti e tre questi ruoli. “Le cose non esistono se non abbiamo le parole per chiamarle”, ha scritto di recente, invitando allo studio e all’attenzione, intesi come elementi centrali di riscatto esistenziale e morale, da lasciare come viatico per le nuove generazioni.
Carlo Di Stanislao
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