“Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio” (Winston Churchill). Shalom! La auguro di cuore a tutti. Alla vigilia dei Mondiali di calcio Fifa 2010 in Sudafrica. Pace! Quella vera nella Verità, nella Giustizia, nella Comunione e nella Fratellanza universali che vengono solo da DIO, non dai trattati umani! Sono i Valori di cui sentono investiti i nostri Azzurri mentre rotolano quel magico pallone davvero speciale che, speriamo, ci condurrà verso la Finale. “Sempre Campioni! Noi con voi, voi con noi, adesso più che mai!”, recita la canzone. Quattro stellette, quattro volte Campioni! I valori sacrosanti dello sport avrebbero dovuto insegnare qualcosa. La guerra per la pace oggi è diventata l’infaticabile artefice del destino della Patria Europa: meglio dei Mondiali di calcio Fifa 2010? L’Europa, la Nato e le Nazioni Unite hanno il dovere di proteggere Israele con la forza del Diritto e della Diplomazia, contrastando chi getta fango sull’unica democrazia compiuta del Medioriente. Qualcuno parlerà di fatalità, strane coincidenze e provocazioni, ma siamo prossimi al precipizio che il 10 giugno 1940 inghiottì la grande storia d’Italia. I nostri 10mila militari italiani, tra una partita e l’altra, combattono in venti Paesi del mondo una strana guerra infinita non dichiarata che ci è costata finora 103 Caduti. Per la Patria Europa, per l’Onu, per la Nato o per le multinazionali? In Germania Qualcuno l’ha capito, ha pronunciato la fatidica “parola” e si è dovuto dimettere. Se in politica gli errori sono peggio dei crimini, allora militari, civili e media delle Democrazie occidentali corrono il rischio di essere arruolati dal miglior offerente, mentre la decollazione di Monsignor Luigi Padovese, un omicidio rituale islamico, aprirebbe le porte a scenari da fantascienza. Tanti i campi da giuoco ma nessuno oggi combatte “per cercar la bella morte”! La scaramuccia di Gaza sembra finita. Ma, ahinoi, la guerra vera è solo all’inizio perché la prima vittima è sempre la Verità sacrificata sull’altare di delicatissimi equilibri politici. Ognuno se ne faccia una ragione. La totale trasformazione semantica che il termine “pacifista” sta subendo, dovrebbe essere fonte di preoccupazione e riflessione. Qualcuno tempo fa mi disse, mentre era in fieri una persecuzione politico-giudiziaria versus il sottoscritto, vinta sempre dal sottoscritto nell’indifferenza generale dei concittadini (la cui Giurisprudenza è figlia del Diritto e delle Libertà fondamentali in cui crediamo da Italiani grazie alla Costituzione repubblicana del 1948), che i partiti in Italia non sono democratici per cui la disciplina interna a volte impone il sacrificio della verità. Inorridii. Se nel piccolo accadono certe cose, figuriamoci nel teatro internazionale. Il fiume di ipocrisia e mala fede di chi in Europa (non a Gaza) sta aspettando una nuova Flottiglia magari scortata da cannoniere e lanciamissili per annientare Israele, non è più assolutamente accettabile. Chi gioisce nell’attaccare Israele, per farsi accettare dall’opinione pubblica come insospettabile ed amabile equilibrista, tradisce i valori più puri e sacri della Democrazia. La soluzione del conflitto israelo-palestinese passa attraverso la soluzione in Europa del conflitto ideologico che pensavamo di aver risolto una volta per tutte con la sconfitta militare e politica del nazi-fascismo, 65 anni fa, e con la disintegrazione del comunismo sovietico negli anni 1989-91. L’esortazione di Papa Benedetto XVI ai governanti musulmani di garantire la libertà religiosa dei cristiani che diminuiscono anno dopo anno non solo in Terra Santa e che vivono in condizioni oggettivamente difficili sia a Cipro sia in Turchia, va ben oltre i temi del prossimo Sinodo per il Medioriente. Investe e responsabilizza tutto l’Occidente: la politica estera della Santa Sede non è questione di Fede.
La “delusione europea” nella deriva politica turca nei confronti dello Stato ebraico, è francamente inaccettabile. Europa e Chiesa cattolica possono svolgere una funzione fondamentale, ma occorre parlare a chiare lettere nelle mediazioni. Nel 150° Anniversario dell’Unità d’Italia non a caso ricordiamo quel 10 giugno 1940 in cui il Bel Paese entrò in guerra come oggi si va ai Mondiali di calcio in Sudafrica. Pare che Pretoria abbia richiamato in patria, alcuni giorni fa, il suo ambasciatore da Israele: la crisi è rientrata? Da italiani ricordiamo quel giorno di 70 anni fa particolarmente infausto: gettò un’intera nazione nella più assurda e terribile guerra del XX Secolo. Per di più dalla parte sbagliata. Da maestri e strateghi del calcio qual eravamo già all’epoca (Campioni del mondo nel 1934 e nel 1938, per cui avremmo fatto meglio a dichiarare la nostra neutralità per celebrare l’italianità in altri mondiali!). Ricordiamo il 10 giugno anche per il modo in cui l’Italia fascista di Mussolini entrò in guerra: sferrammo il colpo ferale a tradimento, pugnalandola alle spalle, a una Francia già sconfitta militarmente dalla Germania. I nazisti entrarono a Parigi solo quattro giorni dopo, il 14 giugno. Fu vera gloria? No, fu la nostra vergogna. La terza (dopo l’attacco all’Etiopia e le leggi razziali del 1938 contro i patrioti ebrei del Risorgimento) di una lunga serie, perché poi dichiarammo guerra alla Grecia ed agli Stati Uniti. Andammo in guerra con lo stesso spirito di una partita di calcio, parafrasando la famosa frase di W. Churchill (www.winstonchurchill.org/). Ma non era il nostro mondiale. Entrare in guerra attaccando un paese già vinto nella convinzione di poterne raccattare all’ultimo minuto qualche vantaggio, fu il secondo errore fatale per Mussolini che volle scommettere sulla brevità del conflitto e per milioni di italiani. Un gioco tragico perché nessuno (neppure lo Stato Maggiore) osava ricordare che eravamo contadini assolutamente impreparati alla guerra. L’uranio impoverito che negli Anni Novanta ha avvelenato nell’ex Iugoslavia centinaia di nostri soldati ancora una volta impreparati e mal equipaggiati nel contrastare il pulviscolo di radiazioni alpha, è la prova lampante che la grande Storia si ripete. Oggi le cose sembrano cambiate in meglio grazie allo sport. Da Campioni del mondo per la quarta volta, giochiamo in Sudafrica animati da ben più grandi speranze. E’ la prima volta che i campionati mondiali di calcio si svolgono in Africa, è la prima volta che la Nazionale italiana si gioca la splendida Coppa del mondo dopo la fine della Guerra Fredda. Dall’11 giugno 2010, per un mese intero il Sudafrica, patria dei diamanti e dei giacimenti uraniferi, sarà al centro dell’interesse dei tifosi di tutto il mondo. La Fifa ha organizzato questi Mondiali soprattutto per i più giovani africani:per un mese (laggiù è inverno) le scuole resteranno chiuse proprio per avvicinare i giovanissimi (i campioni di domani) a questo sport ed ai suoi valori. Pioveranno letteralmente moltissimi palloni di calcio in tutta l’Africa per lanciare un messaggio di pace, speranza e prosperità. Cosa c’entra con la situazione internazionale che stiamo vivendo? Tutto. Aprendo la mente, capiamo bene che è impossibile far nascere due popoli in due stati su un fazzoletto di terra grande più o meno come la Regione Abruzzo. Magari spezzando Israele in più parti: è quello che conta di fare l’Onu, prima o poi, magari a cose già fatte da qualcun altro. Cosa non va nella Costituzione israeliana che non sia condivisibile per la convivenza pacifica di tutti i popoli, di tutte le religioni monoteistiche di questa Terra e di tutti i fratelli nell’unico Dio di Abramo? Gaza rischia di diventare la nuova Danzica. Dopo l’abbordaggio della Rachel Corrie, non l’ultimo bastimento pacifista diretto verso la Striscia, sull’asse Gerusalemme-Ankara non si profila un futuro facile. Apparentemente tutto è filato liscio. La marina israeliana ha abbordato la Rachel Corrie alle prime luci dell’alba e – a differenza di quel lunedì rosso sangue – non ha trovato alcuna resistenza. Così il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha potuto rimarcare la distanza tra pacifisti veri e pacifisti travestiti. Parole seguite dall’impegno dell’esercito a trasferire a Gaza gli aiuti scaricati dalla Rachel Corrie nel porto israeliano di Ashdod. Dietro l’apparente lieto fine covano per la crisi dei rapporti tra Israele e Turchia, una deriva islamista e una politica turca ispirata a un crescente nazional-islamismo che l’Europa non riesce a gestire. Per comprendere le mosse di Erdogan, non occorre la sfera di cristallo. Se l’Europa non interviene in tempo con gli strumenti diplomatici giusti, il premier turco potrebbe imbarcarsi personalmente su una nuova flottiglia per sostenere la necessita d’infrangere l’embargo da Gaza. Uno scenario apocalittico, da brivido, che evoca l’immagine di una flotta guidata dal premier di un paese della Nato, sotto scorta di navi da guerra turche e di droni acquistati da Israele! Pronta, nel nome di Gaza, a cannoneggiare lo Stato ebraico. Uno scenario a cui s’aggiungono le dichiarazioni dal Libano di Hezbollah pronta a far cadere il blocco di Gaza. Ad amplificare il “sisma” contribuiscono gli ambigui ammiccamenti della Turchia all’Iran e il “gioco” della stampa mondiale che interpreta a metà ciò che più le conviene. Anche delle parole pronunciate da Benedetto XVI a Cipro. Mentre l’ennesimo gruppo di volontari pacifinti che amano ceffoni e manrovesci (magari massacrando i giovani soldati israeliani e ci sono le immagini! www.focusonisrael.org/) sembra voler far di nuovo rotta su Gaza. Guarda caso partendo sempre da Cipro, la “rotta uno” dei profughi israeliani superstiti all’Europa nazi-fascista-comunista del 1945 che all’indomani dell’Olocausto raggiunsero le coste palestinesi per far fiorire il torrido deserto e così fondare il 15 maggio 1948 il democratico e libero Stato di Israele subito riconosciuto dagli Stati Uniti d’America. Se anche la “mezzaluna rossa iraniana” invierà battelli di aiuti umanitari a Gaza, per trasportare alimentari e medicinali di prima necessità, e volontari umanitari, le cose si faranno serie. Una chiara provocazione per tutti, non solo per Israele. Qualcuno parlerà di coincidenze, di strane fatalità della grande Storia, mentre cominciano i Mondiali di calcio e la nuova cometa verde McNaught si affaccia all’orizzonte est. Certo è che se provocazione doveva essere, non poteva arrivare in un momento peggiore e in modo così mirato. Che male c’è se uno dei battelli trasporterà i doni della popolazione iraniana, alimentari e medicinali di prima necessità e volontari che vogliono andare a Gaza per aiutare il popolo oppresso della Palestina occupata da Hamas? Ma qualcosa non quadra. Perché in Turchia è accaduto un gravissimo fatto di sangue che la politica vuol seppellire in fretta. Il quotidiano della Conferenza episcopale italiana riporta che “in un quieto giardino a Iskanderun, nel sud della Turchia, monsignor Luigi Padovese è morto, accoltellato da chi era considerato uno dei suoi collaboratori più fedeli”. A uccidere il vicario apostolico di Anatolia e presidente della Conferenza episcopale turca, è stato il suo autista personale reo confesso. E’ stata immediatamente esclusa una relazione o analogia con l’assassinio di don Andrea Santoro avvenuto nel febbraio del 2006 a Trebisonda. Padre Santoro fu ucciso da un giovane per un atto di fanatismo politico-religioso. “In questo caso sarebbe da escludere un simile gesto di fanatismo”. Ma Avvenire pubblica anche la reazione dell’arcivescovo di Smirne, monsignor Ruggero Franceschini:“La tesi del matto che uccide è un luogo comune che era già stato utilizzato per don Andrea Santoro. Anche la persona che ha gettato una bomba molotov sulla nostra cattedrale di San Policarpo, qui a Smirne, è stato definito ‘un malato mentale”. Per quale tesi propendere? E’ chiaro che nell’atmosfera arroventata di questi giorni, creata dalle dichiarazioni roboanti della Turchia, sia facile ai fanatici fondamentalisti islamici dell’internazionale del terrore, ispirare anche l’omicidio di un vescovo cattolico. E’ lo stesso odio cieco per tutto ciò che è diverso, non islamico e perciò nemico. E’ lo stesso odio islamico che portò all’uccisione di sette sacerdoti cattolici in Algeria. E’ un odio nutrito da secoli che non ha bisogno di motivazioni concrete, razionali, ammesso che possano esistere, per uccidere. Monsignor Luigi Padovese è stato ucciso nell’ambito di un omicidio rituale islamico? Secondo AsiaNews, agenzia del Pontificio Istituto Missioni Estere, l’assassino prima di decapitare il prelato avrebbe gridato:“Ho ammazzato il grande satana! Allah Akbar!”. La persecuzione dei cristiani in Turchia avviene non solo nelle campagne ma un po’ ovunque, sotto gli occhi delle autorità, dello stato e della società “laica”. La cornice dei talk show anti-cristiani in cui si mostra “come il cristianesimo e l’ebraismo cercano di distruggere la religione islamica”, i libri di scuola dove si insegna che il Vangelo cristiano è stato “falsificato”, le chiese chiuse d’ufficio o soffocate naturalmente dagli altoparlanti dei muezzin, i sacerdoti che non possono uscire per strada con l’abito talare o con i segni esteriori (la croce al collo sopra gli abiti) della loro fede. L’Europa vive al riparo di un diffuso pregiudizio positivo nei confronti della Turchia dove all’islamismo politico in fieri è associato l’anticristianesimo come cultura islamista dominante. Per questo chiediamo con forza: Monsignor Luigi Padovese e don Andrea Santoro, Santi Subito! Ma perché chi uccide un vescovo o un semplice sacerdote, è classificato pazzo? Pazzo certamente, ma forse di quell’islamismo integralista che sta conquistando l’Europa e il mondo intero. E il metodo della testimonianza portato avanti da sacerdoti come monsignor Padovese e dai cristiani in Turchia e nel mondo rimane sempre valido anche per il futuro. Il sangue dei Martiri alimenta la Chiesa dei Cristi in terra. Se la Chiesa ha paura o timore a proclamare la Verità e la Santità nel Martirio di testimoni buoni e giusti della causa del Vangelo, allora qualcosa non quadra. E chi pensava che dietro la Freedom Fleet vi fosse la volontà pacifista di aiutare i civili di Gaza, rifletta. Solo sulla nave nella quale si trovavano la maggior parte dei membri dell’Ihh (organizzazione turca, Insani Yardim Vakfi, che ha organizzato la spedizione) ovvero la Mavi Marmara, sono avvenuti gli scontri violenti e fatali. Le altre 5 navi sono state abbordate da Israele senza problemi e condotte pacificamente al porto di Ashdod per essere ispezionate.
I beni contenuti sulle navi, ispezionati, sono stati fatti passare da Israele tramite i valichi di terra verso Gaza, dove sarebbero bloccati Hamas. L’operazione “Mavi Marmara” potrebbe essere l’escalation arabo-turco-islamica che intende sfociare in una nuova guerra mondiale. I dispositivi diplomatici riusciranno a spegnere le scintille in un oceano di benzina? Le democrazie del mondo non possono restare indifferenti al micidiale colpo inferto alla Pace. Se è legittimo dare valutazioni diverse sul cruento incidente e sul comportamento della marina israeliana, proporre una commissione d’inchiesta internazionale sul caso, rifiutando l’idea che a svolgerla sia lo stesso Israele, significa negare la solidità e la credibilità delle istituzioni democratiche dello Stato ebraico. Il conflitto a fuoco lungo le coste di Gaza, dopo che la marina israeliana ha intercettato un battello al largo del campo profughi di Nuseirat e i quattro palestinesi che la conducevano sono morti, assume i contorni tragicomici solo nella versione palestinese:“I miliziani facevano parte delle Brigate dei martiri di alAqsa e a bordo non c’erano armi, ma gli uomini si stavano addestrando per un tentativo di sbarco in Israele”. Confermata la versione israeliana: “I quattro erano armati e si preparavano ad una azione di sabotaggio in Israele”. Questi miliziani non erano di Hamas, ma delle Brigate dei martiri di alAqsa, braccio armato di al Fatah, il movimento del “moderato” Abu Mazen. Non capisco, da cattolico, perché si continua a protestare sempre solo contro Israele, uno Stato di diritto che cerca di difendersi. Mentre Israele, grazie all’Onu, deve cedere ancora pezzi del suo territorio, siamo sicuri che nuovi razzi non continueranno a piovere magari da Gaza dopo la fine dell’isolamento parziale? Il rappresentante vaticano alle Nazioni Unite di Ginevra, monsignor Silvano Tomasi, è intervenuto alla riunione urgente del Consiglio dei Diritti Umani, dicendo:“La politica adottata di questo isolamento della Striscia di Gaza non può funzionare, perché bisogna prima di tutto dare una risposta positiva ai diritti fondamentali di cibo, di acqua, di medicinali, di educazione per la popolazione di Gaza”. Sì. Ma si dica anche che Israele permette il passaggio giornaliero di circa 160 autotreni, al transito di Karni, carichi di generi alimentari. La maggior parte del carico della nave Marmara è stato trasferito agli abitanti della striscia di Gaza. Ma Hamas lancia ogni tanto delle bombe di mortaio contro il posto di transito e interrompe il flusso dei veicoli. Così fece anche al posto di transito di Erez dove erano sorte industrie israeliane che davano lavoro a 4500 operai di Gaza. Una pioggia di bombe di mortaio convinse gli industriali israeliani ad andarsene, e gli operai palestinesi rimasero disoccupati! Chi vola in Terra Santa può farsene una ragione. A questo proposito molti stati e governi non protestarono né allora né oggi. Le accuse sono rivolte dai media sempre solo contro Israele, rifiutando di capire che Israele è un pilastro di difesa per tutte le minoranze religiose nel Medioriente. E c’è chi oggi in Italia vuole fermare Israele.
Superata la fase della reazione emotiva, bisogna veramente capire cosa sta succedendo. Di buona norma, bisogna partire dal risultato della vicenda Freedom Flotilla. La vittoria totale e globale del nuovo fronte islamista in Europa e nel mondo, secondo alcuni analisti, sarebbe il dato certo. Siamo finiti in un pozzo nero senza fondo. E’ solo una delle gravi conseguenze politico-militari, non solo per Israele, ma per il mondo intero. La violazione del blocco politico e commerciale della Striscia di Gaza può essere il primo ed evidente successo di Hamas che apparirà davanti al proprio popolo come una forza vincente e credibile. La strategia della chiusura della Striscia voluta da Israele (con l’aiuto egiziano e con il tacito assenso occidentale) serviva a delegittimare Hamas e imporre una linea internazionale di isolamento del fronte estremista islamico “democraticamente eletto”. Invece Hamas e Turchia sembrano uscirne vincenti su tutta la linea. Il ruolo di Israele nell’Alleanza Atlantica corre il rischio di essere ridimensionato: un aspetto, poco considerato dai mass media e di una gravità incalcolabile per Israele, prossimo stato membro dell’Ocse. Mentre all’Onu si sono trovate mediazioni in una riunione d’urgenza della Nato reclamata dalla Turchia, si è arrivati a una risoluzione che equivale tanto ad una condanna che a un ammonimento. E’ stato chiesto, imposto ed ottenuto il rilascio immediato di tutti gli attivisti. E la restituzione delle imbarcazioni. È stata questa la più evidente dimostrazione della potenza della Turchia riconosciuta come elemento fondamentale dell’Alleanza Atlantica e della nuova condizione di Israele quale “alleato problematico”. Altra magra figura per l’Italia che aveva ottenuto un grande successo diplomatico con l’ingresso di Israele nell’Ocse. La Nato, ergendosi da arbitro fra due alleati, può permettersi di emettere un verdetto politico? L’isolamento di Israele dalle cancellerie e dall’opinione pubblica d’Europa, è un “democratico” errore madornale. Solo gli Stati Uniti hanno realmente lottato per aiutare Israele a contenere i danni mediatici collaterali, mentre le cancellerie europee, anche quelle tradizionalmente più filo-israeliane, hanno non solo condannato subito il blitz navale senza acquisire informazioni corrette e complete, ma hanno avanzato richieste di cambiamento di linea politica e di comportamenti “solo” a Israele. Nessuno ha avanzato critiche o fatto richieste a Hamas o alla Turchia. Anzi, l’Italia ha preso come esempio da imitare il comportamento di Abu Mazen. Un rischioso gioco di equilibri politici sullo scacchiere mediorientale. Dopo le accuse rovesciate contro Gerusalemme, è poi arrivato il mea culpa di stampa e osservatori internazionali e la dura condanna della disinformazione. Sbaglia chi pensa che si stiano lentamente attenuando le polemiche che hanno accompagnato l’azione di Israele contro la nave “pacifista”. Sono tre le principali e più gravi conseguenze per Israele. Abu Mazen, invece di scegliere lo scontro ha optato per insistere sulla via diplomatica. Si tratta di un abile calcolo, perché oltre a guadagnare il plauso occidentale sa che ora, al tavolo delle trattative, Israele è più debole. Dentro Hamas si sta affermando la linea di chi, imitando al Fatah degli anni ’90, sostiene una strategia di lotta alternativa a quella dello scontro militare diretto. Le sei navi di Freedom Flotilla sono riuscite ad ottenere ciò che Hamas non era riuscito a fare con il lancio di migliaia di missili: rompere l’embargo israeliano. Cioè la politica per “provocare” ed isolare Israele anche grazie al controllo immediato dei media su Internet. E si sa, buona la prima! Le porte aperte su Gaza sono quelle egiziane. Finché la Turchia terrà duro, sarà l’Egitto a controllare le merci dirette a Gaza mentre, in termini di sicurezza e di rapporti di forza, sarebbe stato meglio per Israele far usare i propri valichi. Ma ciò che più preoccupa Washington e Gerusalemme (Roma che fa?) è che la vittoria del nuovo fronte islamista non sia un fatto regionale, ma abbia una portata globale tale da cambiare le carte sul tavolo. Solitamente chi ha voluto assumere il ruolo di leader nella regione ha fatto propria la cosiddetta “causa palestinese”: prima i dittatori arabi, poi è venuto il tempo dei leader mussulmani non-arabi. Ahmadinejad ed ora Erdogan. Ma la differenza fra questi ultimi due è che il secondo non è un dittatore, ma il leader di un paese semi-europeo, di importanza vitale per la difesa degli interessi occidentali. Riusciranno le nuove sanzioni economiche dell’Onu all’Iran, a frenare i suoi progetti nucleari? È ormai chiaro che la Turchia è determinata ad assumere un ruolo di leadership su scala globale del variegato mondo musulmano, in virtù sia del suo retaggio storico sia della sua condizione geopolitica, a cavallo di quattro aree di influenza: Europa, Mediterraneo, Asia continentale e Medio e Vicino Oriente. Con l’Italia nel mezzo. Abbiamo 10mila soldati italiani sparsi nel mondo fin dal 1982 (dal Libano all’Afghanistan) “per portare la pace in regioni ancora sotto il controllo militare e politico di estremisti islamici”. Le bandiere dell’Onu sono sufficienti a frenare quest’orda famelica che oggi a Kabul protesta contro i Crociati e gli Ebrei? Le missioni sono sì a regime internazionale (Usa, Onu, Nato) ma rivestono chiaramente un carattere operativo militare sul teatro delle operazioni, nonché politico strategico per l’Italia. I nostri militari hanno bisogno di un’Italia unita con una politica ben chiara sul da farsi: sconfiggere i signori del terrorismo islamista internazionale, vincere e tornare a casa. Ma oggi Israele troverà dall’altra parte del tavolo, accanto ai palestinesi, la Turchia, non l’Italia: cambierà tutto, dai rapporti di forza a tutto l’armamentario politico e di comunicazione. Abituati ad avere per anni nemici fanatici e antidemocratici, gli israeliani faticheranno non poco a misurarsi con una controparte così politicamente solida e strutturata. E poi ci chiediamo perché diminuiscono i cristiani in Terra Santa ed altrove! L’unico ad avere capito in anticipo la costruzione del nuovo equilibrio mondiale è stato il presidente degli Stati Uniti d’America: sin dalla sua elezione, Barack H. Obama ha iniziato a costruire un nuovo rapporto con il mondo musulmano fondato sulla fiducia e il rispetto, condizione necessaria per recuperare una forza di mediazione reale fra Israele e il variegato mondo arabo. È questo un fatto cristallino assolutamente frainteso da tutti. Ecco perché a noi Europei manca la giusta prospettiva su Israele. Rimane il fatto che l’unico sostegno di Israele rimangono gli USA (e non l’Italia) che hanno speso con discrezione notevoli energie negoziando una soluzione dell’attuale crisi con la Turchia, sia in sede Nato sia in sede Onu. Obama rimane il più sicuro grande alleato di Israele non solo perché sa che lo stato ebraico, per sua natura culturale e politica, è l’unico paese simile agli USA, ma anche per la sua personale formazione politica. Sarà bene che la leadership italiana abbandoni i paradigmi politici e psicologici degli ultimi anni: nell’era nucleare e della globalizzazione, l’idea dell’autosufficienza non calza più per nessun paese moderno e democratico. Il conflitto mediorientale, non solo simbolicamente, è da tempo un conflitto su scala globale, assolutamente non regionale! E Israele, per garantire la sua sicurezza e per salvare la propria identità democratica ed ebraica, non può pensare di fare a meno del resto del mondo e tanto meno di Obama. Il rancore anti-israeliano esploso negli ultimi giorni non è solo livore e risentimento: il mondo non ci ripensa affatto. In Europa è ancora aperta la questione dell’esistenza dello Stato di Israele. Un’esistenza sopportata, mal tollerata, una spina nel fianco della burocrazia più paludata nel Vecchio continente. Se Annette Groth, rappresentante della sinistra in Germania, dopo aver preso parte alla flottiglia, dichiara in un’intervista a “Haaretz” del 4 giugno di considerare un “proprio dovere chiedere a Israele di non violare più i diritti umani delle altre nazioni”, nello stesso giorno il quotidiano tedesco “Süddeutsche Zeitung”, di tendenze moderate e filogovernative, pubblica l’articolo: “Gli avi dalla Giudea”, dedicato alle nuove analisi genetiche sulla discendenza degli ebrei. Il sottotitolo recita:“Il mito della fondazione di Israele viene confermato in laboratorio”. Il riferimento è al risultato delle ricerche compiute dall’equipe di Harry Ostrer della New York University School of Medicine, secondo cui ebrei provenienti da ambiti geograficamente molto diversi mostrerebbero tratti genetici comuni. “Dal genoma – insinua malignamente qualcuno – si potrebbe insomma leggere la storia”. Sui rischi gravissimi di ridurre a un Dna l’identità del popolo ebraico, identità che si dispiega nella storia, occorrere riflettere. Dovrebbe far riflettere soprattutto chi parla ed esalta acriticamente le “razze umane” nella cultura e nella storia recente, dimenticando che per la biologia e le neuroscienze la razza umana sulla Terra è oggi una sola! Ma ci sono articoli e intellettuali in Europa che hanno una mira precisa: dalla supposta “discendenza comune” gli ebrei deriverebbero “il diritto a fondare lo Stato di Israele nell’ambito di quel che fu la Terra Santa”. Nella sua ripugnanza, il messaggio è chiaro: gli ebrei tentano un po’ ovunque, perfino nella genetica, di legittimare un diritto che non hanno, di difendere un’appropriazione indebita, di giustificare l’ingiustificabile: l’esistenza di Israele. La Palestina, allora, che motivi avrebbe per essere alleata di Israele? Se queste sono le premesse europee, ci siamo giocati la pace mondiale! Capiamo bene allora (se la questione che investe lo Stato di Israele e si ripercuote sul popolo ebraico nella Diaspora, non è tanto politica quanto ontologica, se ogni pretesto solleva la domanda sulla legittimità della sua esistenza) che a Israele è richiesta una vigilanza più elevata. Faccia come il Regno Unito nella Storia! Non si fidi di alcuno! Vigili su tutto e su tutti in maniera cioè più intensa e variegata, avvalendosi di ogni tecnologia disponibile, senza venderla al nemico. Israele sia capace di sollevare lo sguardo oltre l’oggi immediato, a cui si ferma la politica ottocentesca degli stati-nazione ormai al tramonto, al fine di perseguire con consapevolezza il Progetto di pace per il domani in una Federazione di Stati del Medioriente. L’Italia dovrebbe fare altrettanto invece di affrontare spese militari che, come il 10 giugno 1940, non sappiamo dove condurranno! Oggi le guerre non si fanno più in divisa. Le multinazionali del terrore prenderanno molto presto il controllo dei tradizionali eserciti nazionali. Ed allora saranno guai seri per le Democrazie sempre più indebitate. I pacifinti hanno capito che bisogna adattarsi alle circostanze: un giorno armati, l’altro disarmati e senza opporre resistenza ai controllori israeliani. Per chi avesse ancora dei dubbi sulla loro estrazione culturale e politica, quando i paladini irlandesi della pace hanno ricevuto l’ordine di tornare indietro (impartito dalla marina dello Stato ebraico) hanno risposto:“Tornate voi ad Auschwitz”. Capito? Molti giornali anche italiani, hanno addolcito il messaggio con mielose giustificazioni fondate sull’eccesso di legittima difesa. Non solo. E’ giunto in Italia un supplemento di documentazione sull’incidente in mare: fotografie che ritraggono un soldato israeliano disarmato, pestato e sequestrato dai pacifinti. È la dimostrazione che gli aggressori erano quelli della presunta spedizione umanitaria, non i militari israeliani che si sono limitati a reagire “armati” perché lo sono, per sopravvivenza e difesa, dal 15 maggio 1948. L’antisemitismo e l’antisionismo non sono stati ancora sconfitti. Il livore ideologico contro Israele ha solo cambiato pelle, come accade ai lucertoloni di Visitors. Ha bisogno di essere contrastato su scala mondiale per evitare che esploda in una “soluzione finale nucleare” contro Israele. Gli eredi di Hitler hanno cambiato bandiera ma sono ancora in gioco. Chi crede ancora alla strage premeditata e pensa che le forze speciali israeliane abbiano deliberatamente ucciso nove autentici “pacifisti”, deve guardare le vere foto, non quelle ritagliate. Sono una prova devastante, capace di fare a pezzi l’immagine dei pacifinti umanitari della Flotilla e i loro mandanti. A bordo della nave Mavi Marmaris vi erano alcuni elementi che “l’intelligence di Israele collega a terroristi” di varia matrice:“Hamas, Jihad islamica, Al Qaeda e separatisti ceceni”. Qualcuno avrebbe “ritoccato” le foto che ritraggono alcuni momenti degli scontri avvenuti a bordo, dopo la protesta israeliana di qualche giorno fa. Secondo Israele questo qualcuno avrebbe di proposito ritagliato alcune immagini “cancellando” alcune armi in possesso degli attivisti filo-palestinesi. La giustificazione “per ragioni editoriali” non convince. Le immagini in questione provenivano da Istanbul e secondo la normale pratica redazionale sarebbero state preparate per la trasmissione, in un procedimento che include anche il taglio dei bordi. Quando ci si è accorti che un pugnale era stato inavvertitamente tagliato dalle immagini, l’Agenzia ha sostituito le immagini con quelle originali sul suo intero servizio”. E noi che possiamo fare per la pace? Continuare a sostenere la causa della Verità, favorendo la pace e il dialogo non solo tra i giovani d’Israele e della Palestina, ma di tutto il mondo. Lo sport, la cultura, la scienza, la giustizia, internet, possono riuscire a “lavorare” sulle giovani generazioni, per smussare ogni sentimento di ostilità, livore e incomprensione nel reciproco rispetto delle differenze culturali e religiose. L’unico limite è la persona, il rispetto della dignità di ogni essere vivente. E’ la chiave di tutto. Non solo grazie al Mondiale di calcio Fifa 2010. E si comincia dal territorio. Visitare lo Yad Vashem a Gerusalemme, per tener viva la memoria in noi e nei nostri giovani, deve essere tra i punti fondamentali di ogni programma scolastico. Anche per i musulmani, non solo per i cristiani. Perché i nostri studenti nelle loro gite primaverili ignorano la destinazione della memoria: Gerusalemme? Il percorso dei Giusti è memoria e bene supremo dell’Umanità, non solo un percorso istituzionale. Serve a far conoscere alle nuove generazioni il valore dei “Giusti” tra le Nazioni, di chi ha avuto il coraggio di opporsi live (non dopo) all’orrore della Shoah: donne e uomini che sacrificarono la loro vita con scelte coraggiose per salvare altre vite umane. Un modo per consolidare la memoria della Shoah. Che potrebbe ripetersi in un prossimo futuro. I pellegrinaggi in Terra Santa (http://www.holyland-pilgrimage.org/it/) dovrebbero alimentate la Pace, mentre è tutto un fiorire lungo la costa israeliana della stagione balneare a prezzi modici; mentre alla Nasa e su Science qualcuno ipotizza che tra i laghi e mari di idrocarburi su Titano, la più grande luna del gigante gassoso Saturno (chissà, magari anche nelle profondità della Terra e nei nostri accendini!) vi siano potenziali piccole forme embrionali di vita aliena. Almeno su Titano sarebbe aperta una “fabbrica” della vita e non di notizie false.
Nicola Facciolini
…mamma mia quante “parolone”. Ma la sintesi non vi appartiene?Di sicuro chi vive(?) a Gaza avrebbe bisogno di fatti.
Una mia piccola considerazione sul titolo dell’articolo: “Certo che ci sarà da divertirsi con Israele e Turchia in Europa e nella Nato…”
Avete pubblicato il pezzo due volte!