Non conoscono altra lingua che l’italiano. Condividono con i nostri figli gli impegni, i desideri, le difficoltà e i sogni. Eppure «soffrono l’incomprensibile situazione di una cittadinanza dimezzata». Sono i minori nati in Italia da genitori stranieri. Per loro le Acli hanno proposto, ascoltate oggi alla Camera dalla Commissione Affari costituzionali nell’ambito della riforma della legge 91 del 1992, l’attribuzione della cittadinanza italiana «al momento della nascita».I minori stranieri nel nostro Paese sono circa 900mila. 520mila quelli nati in Italia, il 7% dell’intera popolazione scolastica. «Questi ragazzi – si legge nella memoria presentata alla Commissione dal responsabile dell’area immigrazione della presidenza delle Acli, Antonio Russo – rappresentano una grande possibilità di sviluppo per il nostro Paese che invecchia più degli altri Paesi europei. Rispetto alla speranza di futuro che questi ragazzi costituiscono per le nostre comunità e al desiderio di appartenenza che dichiarano, l’auspicio è che la politica sappia favorire un nuovo e migliore approdo legislativo e sostenere il passaggio ad una cittadinanza formale e piena».
La memoria scritta presentata dalle Acli fa esplicito riferimento ad un quadro di sintesi condiviso anche da altre organizzazioni di area cattolica (Caritas, Comunità di Sant’Egidio, Fondazione Migrantes, Centro Astalli, Associazione Papa Giovanni XXIII). Nel merito, si propone il passaggio dal principio dello jus sanguinis allo jus soli, o meglio «jus domicilii». In pratica, si chiede che sia attribuita la cittadinanza, «al momento della nascita, al bambino nato in Italia da genitori stranieri già regolarmente soggiornanti, i quali mostrino in concreto di volersi inserire nella società italiana»; per il minore straniero non nato in Italia, ma positivamente inserito nel nostro Paese, le Acli chiedono modalità «adeguate» di attribuzione della cittadinanza «già prima del compimento della maggiore età», insieme a «procedure opportunamente agevolate di naturalizzazione nei primi anni dell’età adulta per coloro che siano comunque giunti durante la minore età in Italia». In ogni caso, a coloro che diventano cittadini italiani non va imposta «anacronisticamente» la rinuncia alla cittadinanza di origine, «salva la ricorrenza di imperiose, specifiche ed eccezionali esigenze di politica estera e di interesse nazionale». Per tutti gli altri cittadini stranieri che chiedono di diventare italiani, infine, l’invito delle Acli è che «si agisca sui tempi di acquisizione della cittadinanza, che restano tra i più lunghi in Europa».
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