È tornato a casa in dicembre, allorché «la percezione di appartenere a questa nostra terra si è fatta più forte» e monsignor Giovanni D’Ercole dimostra di non aver perso uno dei tratti più tipici degli abruzzesi della montagna: la schiettezza. La ricostruzione langue e lui dice apertamente: «Mancano i soldi». Il restauro dei monumenti è fermo e lui sottolinea: «Lentezza preoccupante». Aquilano di Morino, il marsicano che da pochi mesi è vescovo ausiliare dell’Aquila invita a non disattendere le aspettative dei suoi concittadini, perché «alla lunga, si rischia di trasformare la speranza in protesta ».
Sono passati 14 mesi dal sisma, perchè la ricostruzione procede così lentamente?
Mancano i soldi: non si sa quando arriveranno e quanti… e poi, forse, troppa lentezza burocratica. Questo disorienta la gente che teme di non tornare più a casa: troppi inverni di ritardo potrebbero completare l’opera del terremoto, riducendo in macerie gli edifici danneggiati ed esasperando gli animi sino alla depressione.
La gente esprime ai sacerdoti queste paure?
Certamente, e per questo stiamo facendo quello che è possibile. Grazie alla Protezione civile e al Comune di Roma abbiamo delle tensostrutture nei nuovi ‘quartieri’ del progetto Case, che mancano di ogni servizio sociale (bar, negozi, luoghi d’incontro, etc.). Abbiamo posto delle tende, le ‘tende amiche’, aperte a tutti, e lì tastiamo il polso degli aquilani: ringraziano il governo per aver dato loro un tetto, ma vogliono tornare a casa propria e hanno seri dubbi che avvenga in tempi brevi. Sono preoccupati soprattutto i giovani e gli anziani, molti dei quali sono ancora negli alberghi della costa: la loro situazione si fa sempre più precaria.
Qualcuno l’ha criticata per aver partecipato alla protesta delle carriole. Lo rifarebbe?
Certo. Ho scelto, insieme all’arcivescovo, di stare vicino alla gente e con la gente aquilana in un momento di grande tensione. Qualcuno ha detto che stavo strumentalizzando la protesta e invece ho voluto evitare che fosse strumentalizzata. Sarà un caso, ma subito dopo le macerie del centro della città sono state, almeno parzialmente, sgombrate.
Oggi, vivendo tra gli aquilani, quali rischi percepisce?
Io credo che si debbano evidenziare soprattutto due forti disagi. Il primo è quello di una popolazione che vede trasformarsi la speranza in ansia e preoccupazione.
I terremotati affrontano una seconda estate con i problemi di tutti gli italiani – la mancanza di lavoro, le tasse, il mutuo da restituire – moltiplicati, però, dalla tragedia che li ha travolti. Trascurare le loro attese rischia di trasformare la speranza in protesta.
Qual è il secondo grande disagio?
Il pregiudizio anticattolico. C’è chi lavora contro la Chiesa, che pur cerca in tanti modi di stare accanto alla gente, diffondendo accuse generiche e molto spesso false. Certa tv intervista i vescovi e poi manda in onda un collage di dichiarazioni da cui si evince solo quello che si vuol far dire. Ad esempio il montaggio di una mia intervista a Report
è servito a insinuare che la Curia dell’Aquila ‘gestisca’ le donazioni del terremoto, che addirittura se ne serva per speculazioni immobiliari, che l’arcivescovo abbia abbandonato la città nelle ore più buie. Ma perché dire cose così false?
Chi e come gestisce i fondi raccolti dalla Chiesa per l’emergenza Abruzzo?
I soldi sono gestiti dalla Caritas nazionale. La Curia aquilana riceve dai Comuni terremotati e da altri le richieste d’intervento per scuole materne, residenze per anziani, strutture per le comunità, centri per minori e poi chiede di finanziarle e realizzarle alla Caritas.
Nessuna speculazione immobiliare, quindi! Con i fondi Caritas non si costruiscono e riparano chiese; per le chiese si fa ricorso ad altre fonti e alla collaborazione di tutti.
Quali sono queste fonti?
Per quanto possibile, si chiederà di poter attingere a fondi pubblici, ma soprattutto si potrà andare avanti con le donazioni private e la Provvidenza che sempre assiste quanti sono al servizio del bene. Certo, umanamente parlando parrebbe un’impresa sovraumana! Serviranno, infatti, oltre 3,5 miliardi e attualmente abbiamo solo pochi soldi. Puntiamo sui gemellaggi. Speriamo che la regione Liguria finanzi i restauri del santuario della Madonna di Rojo, il Veneto la Chiesa di San Marco, mentre la Fondazione Roma ha già dato il contributo necessario per restaurare la chiesa di San Biagio Amiternum. Ci sono, poi, altri contributi: la Francia per la chiesa delle Anime Sante, la Russia per quella di San Gregorio…
Che ne sarà della Cattedrale, di Santa Maria Paganica e degli altri monumenti cristiani di cui è disseminato il cratere?
Abbiamo già chiesto finanziamenti al ministero dei beni culturali e all’otto per mille (la quota che lo Stato destina alla conservazione dei monumenti; ndr) per provvedere a una quindicina di chiese, scegliendo prima quelle più facilmente riparabili. Vorremmo restituire almeno un luogo di culto ad ogni centro, ad ogni paese.
E le altre chiese?
Ci daremo da fare in tutti i modi, bussando a tutte le porte. Stiamo cercando di sviluppare gemellaggi con le diocesi, secondo il modello già avviato dalla Caritas. Il terremoto può diventare così una propizia occasione di comunione tra le chiese particolari. Per concludere vorrei ribadire, per doverosa chiarezza, che la ricostruzione del patrimonio ecclesiastico verrà gestita nel segno della massima legalità e trasparenza, a partire dai finanziamenti e dalla scelta delle imprese. Quello che occorre in questo momento è l’apporto e la collaborazione di tutti: solo insieme e remando tutti nella stessa direzione potremo ricostruire ‘insieme’ l’Aquila del terzo millennio. Ricostruzione che non è solo materiale, ma è anche e soprattutto umana, sociale e spirituale.
«C’è un pregiudizio anticattolico alimentato da certa tv. Con le donazioni si realizzano strutture sociali, non nuove chiese»
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