Pierluigi Battista aveva scritto sabato, sulla prima pagina del Corriere, che Fini era capitolato e lo strappo dentro al Pdl non si era affatto prodotto. Oggi il Presidente della Camera, lungi dal dirsi placato per le variazioni sul decreto intercettazioni, ha dichiarato che come ha sempre fatto, garantirà, anche in questo caso, il “corretto svolgimento dei lavori parlamentari”. Il disegno, in terza lettura, è approdato oggi alla Camera e, poco prima, durante un incontro tra Gianfranco Fini, il presidente della commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno e alcuni tecnici, è stato deciso che la commissione Giustizia della Camera ne comincerà l’esame già la prossima settimana, ma senza accelerazioni e con tutto il tempo che occorre. E mentre Fabrizio Cicchitto spera in un via libera già a luglio, gli fa eco la Buongiorno che afferma”sarà garantito tutto l’approfondimento che merita un provvedimento così rilevante tenendo conto ovviamente che l’esame riguarderà esclusivamente le numerose norme modificate al Senato”. Inoltre, Italo Bocchino, nonostante tutto ancora vicepresidente dei deputati del Pdl e promotore di Generazione Italia, ha spiegato a chiare lettere su Repubblica l’atteggiamento dei parlamentari vicini a Fini al momento del voto sul ddl intercettazioni. “Noi non vogliamo mettere in difficoltà la maggioranza. Noi abbiamo fatto un accordo sulle intercettazioni e abbiamo ottenuto gran parte di quei suggerimenti che abbiamo proposto al Governo, alla maggioranza e al Pdl. Ciò non toglie che c’è ancora qualcosa che non va: auspichiamo che il ministro Alfano, il governo, il Pdl si rendano conto che il testo così è a rischio incostituzionalità. Sarebbe meglio cambiare alla Camera con quei miglioramenti che possono mettere in sicurezza un provvedimento che altrimenti è seriamente a rischio”. Insomma, poiché il leader del Pd, Pierluigi Bersani, avverte: “su una cosa di questo genere non si sognino neanche di non dare i tempi per la discussione” e Rosi Bindi, del Pd presidente, rincara: “consiglierei a Berlusconi di rassegnarsi. Accanto alla nostra opposizione senza se e senza ma, ogni giorno si aggiungono distinguo all’interno della maggioranza. Forse sarebbe bene lasciare perdere questa pessima legge”, crescono le preoccupazioni in casa Pdl su ostruzionismi e meline anche interne. Altro, quindi, che testa piegata fra i falchi figiani che, oramai, non sentono più nemmeno il saggio Gianni Letta. La contrarietà del Colle, essi la danno per assodata ed intendo fare da “cuscinetto preventivo” per scongiurare i rischi di uno scontro istituzionale al quale Berlusconi sarebbe, invece, “determinato”. Tenendosi prudentemente fuori da scenari di aperta opposizione, Fini è tuttavia tutt’altro che intenzionato a considerare il testo come blindato. Anzi è portato piuttosto a sottolineare, come ha fatto nei conversari privati, che nonostante i sì “quello resta un compromesso”, un testo “che non è stato mai nostro”, invitando a non scambiare gli sforzi di migliorarlo con una qualche forma di soddisfatta sottoscrizione. Da palazzo Grazioli è chiara l’intenzione di portare in aula il ddl entro il 28 giugno, ma questo, ragionano i finiani “significherebbe ridurre a zero la possibilità di fare modifiche”. Alcuni tra i più estremisti, puntano a tenerla sul tavolo della commissione Giustizia un mese, giusto il tempo necessario per far slittare l’approdo in aula ad agosto. In teoria si potrebbe, “ma in pratica, una maggioranza che va sotto il 15 maggio è sconsigliata a lavorare in piena estate”, spiegano. A quel punto si potrebbe scavallare l’estate. “Ma se i berluscones si mettono di traverso, Fini non potrà decidere il calendario di testa sua: perché il regolamento della Camera prevede sì che sia lui a decidere, ma sulla base delle indicazioni del governo”. Quindi se Berlusconi vorrà procedere manu militari, “se ne prenderà tutta la responsabilità2 e di fronte non solo al Parlamento, ma all’intera Nazione E, può darsi, stavolta la maschera cada e gli italiani lo vedano nella giusta luce. Insomma, è chiaro a tutti che, ancor più della opposizione, l’ex leader di An si prepara ad una tattica da vietcong per insidiare con una guerriglia quotidiana i provvedimenti di governo e maggioranza. Più che porre questioni politiche con spirito costruttivo, come ha ripetuto nel suo intervento, l’idea è quella dell’avvelenamento dei pozzi, del ricatto della forza marginale, del tentativo di piegare con pochi voti la maggioranza, della continua destabilizzazione nei prossimi quindici mesi, al termine dei quali scadrà la legge sul legittimo impedimento e quindi, in caso di mancata costituzionalizzazione del lodo Alfano, potrà riprendere l’aggressione giudiziaria nei confronti di Berlusconi che ieri Fini ha del tutto dimenticato evocando, anzi, un richiamo alla legalità dal sapore dipietrista, come osservano alcuni esponenti del Pdl. Infine l’accusa di non saper governare i processi del partito citando il caso Sicilia e la responsabilità di Gianfranco Miccichè, cioè di un fedelissimo del Cav. Il tutto, mentre c’è la sensazione che quanto emerso sin’ora circa affittopoli e la protezione Civile, sia solo l’inizio di manovre per cercare di imbrigliarlo in una tela di ragno fatta di allusioni, sospetti, dicerie sulla lealtà di chi gli sta intorno. Ed anche se è chiaro a tutti (noi per primi) che non esistono maggioranze alternative a quella legittimata dagli elettori. E che sul Colle non c’è Scalfaro, è altrettanto chiaro che ora, a differenza di quanto accaduto, Berlusconi non può fare ciò che vuole e venderci “lucciole per lanterne”.
Ragnatela istituzionale
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