Lo straniero rappresenta la diversità, l’alterità, l’altrove, dando vita a nuovi immaginari che sobillano le comunità locali, con il rischio di innescare ancora guerre, violenze e pogrom discriminatori. Gli episodi di crescente intolleranza e sfruttamento del lavoro degli immigrati, le umiliazioni dei giovani che giorno per giorno devono dimostrare di essere degni del paese in cui sono giunti i loro padri, chiedono il coraggio della parola che sappia condannare le ingiustizie e le discriminazioni, lenire il silenzio degli oppressi, condannando la tracotanza degli oppressori, per cui sono necessari programmi politici finalizzati al dialogo tra culture in cerca di soluzione ai problemi di sicurezza fisica dei migranti, di spazi di libertà, di opportunità lavorative, dove il concetto di intercultura assume molteplici accezioni.Intercultura significa tradurre se stessi nell’altro, trasponendo i propri vissuti, i dubbi, i timori, le paure, le angosce e anche le idee che progettiamo insieme e condividiamo nelle comunità di appartenenza e di accoglienza, nei luoghi aperti del sociale, nella partecipazione attiva, nell’ambito del territorio ospitante.
Lo straniero, il diverso, lo sconosciuto vivono ciascuno in ognuno di noi e le politiche interculturali che possiamo condurre anche a partire da noi stessi devono investire tutti gli aspetti del fare conoscenza e memoria e del ricordare il passato, la storia, il susseguirsi di ibridazioni, contaminazioni e commistioni che hanno coinvolto il continente europeo e il Mediterraneo nel passato storico di ogni tempo.
Intercultura significa attenzione per il diverso inteso come l’altro da noi, il più debole, il più umile, lo sconosciuto e colui che non si vuol far conoscere.
Il passato della memoria storica ricorda la Shoah, genocidio perpetrato da un sistema dittatoriale acerrimo, nella volontà assolutizzante di annientamento in massa di civili inermi e militari facendo leva su motivazioni politiche, religiose, pretesti di superiorità razziale, omologando nella distruzione totale le implicite diversità di ognuno.
Attualmente sono oggetto di discriminazione i Rom, i Sinti e tutti coloro che provengono da territori lontani dal nostro, da luoghi dell’altrove indecifrabili e irriconoscibili dalla nostra cultura autoreferenziale e arroccata sulle proprie egocentricità, eccentricità egoiche, in un individualismo esacerbato da fittizi proclami, spietato e imposto dai mezzi di comunicazione di massa reverenziali al sistema occidentale.
Intercultura significa condividere con l’altro la propria interiorità, la passione, la sofferenza, il dolore di essere giudicati diversi, divergenti, opposti al categorico, alla norma, al tabù, al divieto, dove l’altro divenga invece fonte di confronto aperto, interscambio e dialogo interiore e collettivo, da ripartecipare nella comunità intera, aperta al cambiamento, all’innovazione e al progresso.
La società, dove il ricordo e il fare memoria del passato divengono occasioni di incontro comunitario, di condivisione, di partecipazione ad un momento entusiastico e festivo della sperimentazione di un gruppo, di una collettività, di una comunità che si apra all’altro e allaltrove, può riconoscere se stessa nel rapporto con la diversità, da cui apprendere i valori autentici dell’esistenza e il portato culturale di commistioni di popoli lontani.
Intercultura significa rievocare il vissuto, il tempo perduto dell’interiorità e trasporlo nel presente, nella quotidianità di un percorso festivo e comunitario che apra all’incontro, al confronto dialogico, alla tutela delle differenze, ai diritti basilari dell’uomo, alle parità tra i sessi, al continuo dialogo tra le generazioni di giovani, anziani, adulti e bambini, dell’umanità.
Intercultura è fare memoria di se stessi in implicite autobiografie esistenziali.
Fare memoria del passato, della storia, delle ingiustizie subite e perpetrate, mantenendo sempre costante il rapporto con la propria identità e individualità, ma senza scadere nel conformismo e nel solipsismo egoico, al contrario riassumendo in sè le istanze di un sapere eclettico, aperto alla cultura delle differenze, nella valorizzazione per l’alterità e la diversità di cui ognuno è portatore, dove l’interazione assuma consistenza in una costante di affiliazioni, confidenze e confessioni che aiutino la propria identità ad autodeterminarsi e anche ad essere accolta in ignare e inconsapevoli fragilità, incongruenze e inconsistenze dell’altrui persona, che può invece rivelarsi un saldo approdo nello smarrimento dell’oggi, dove tutto appare effimero ed evanescente, in un andirivieni di messaggi vacui e immagini stereotipate.
La protesta contro l’alienazione delle identità si propaga dalle diversità come entità interagenti nel contesto sociale e comunitario.
Il diverso cerca aiuto e comprensione, nella compassione, intesa come compartecipazione al dolore e ai problemi altrui, che agevola l’incontro, l’accoglienza, l’ospitalità, nel manifestarsi intimo di un pensiero, di un ricordo di altri luoghi, altri tempi, altri altrove, nel qui ed ora della narrazione che ci scopre narrati da persone, oggetti, cose del presente, del passato, dove l’apertura al diverso viene vissuta come ideale meta di pensieri, in un susseguirsi di memorie, racconti, idee che esplorano l’inesplorato di spazi, mondi, luoghi lontani dal tutto onnicomprensivo dell’attualità fagocitante di sensazioni e manipolazioni iconiche, che riconducono nel baratro dell’effimero.
L’iconoclastia interculturale è l’abolizione del superfluo per riscoprirsi intimi e confidenti fragili, esigenti di considerazione nella comunicazione di quotidiani ignoti e inesplorati di paure, angosce, inquietudini, così esacerbate e dure a morire in remoti passatempi dell’anima, nei pensieri riflessivi dell’apolide nomade che è in ognuno di noi, in cui la proliferazione delle interrelazioni porta alla scoperta di molteplici sè, di pluralità dell’ego, in evoluzioni persuasive dell’affettività che si scandiscono con l’avvicendarsi dei giorni, di attimi, istanti, momenti di molteplici narrazioni per se stessi, con gli altri.
Laura Tussi
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