“Avevo dodici anni quando visitai il Molise. Quel viaggio cambiò letteralmente la mia vita: per la prima volta capii il mondo dei miei genitori e la sua complessa cultura”. Inizia con questi ricordi il racconto di Nino Ricci, nato a Leamington, in Canada, nel 1959. Già ai tempi del liceo era una celebrità perché divorava libri e scriveva storie a ritmi da primato, “ma ad impressionare era più che la qualità, la quantità”. Un amore per la letteratura instillato dalla sorella e che l’ha portato ad essere uno degli scrittori italo-canadesi più apprezzati e tradotti nel mondo. Due le lauree a supporto di questa passione, in Letteratura Inglese presso la York University di Toronto, e in scrittura creativa e letteratura canadese alla Concordia University di Montreal, e non poteva mancare un soggiorno a Firenze per studiare la nostra letteratura. Oggi Ricci vive a Toronto e la sua principale occupazione, chiaramente, è la scrittura.
Nel 1990, con Lives of the Saints ottiene il Books in Canada First Novel Award e il Betty Trask Award in Inghilterra; prima opera della trilogia composta da In a Glass House (1993) e Where She Has Gone (1997) raccolte in La terra del ritorno. Ma alla domanda quale sia la filosofia di questa trilogia, risponde: “Non sono sicuro che si possa individuare una filosofia o un messaggio nei miei romanzi. Credo che la letteratura esplori le complessità dell’essere uomini. L’esperienza dell’emigrazione mostra molte complessità: l’identità, la casa, la terra madre e così via, e mi ha offerto un’ampia tela su cui lavorare. Sono stato anche colpito dai vari miti come la terra promessa, il viaggio epico e dal sentimento che alla fine dell’esodo c’è una terra perduta cui ognuno mira di ritornare, come Ulisse dopo la guerra di Troia. Nei romanzi cerco di esplorare le dinamiche familiari e sociali, l’interrelazione tra religione e immaginazione, cerco un conflitto, in Vite la tensione tra l’individuo e la moralità sociale, in Where she was gone l’amore familiare e quello sessuale”.
Da Le Vite dei Santi, tradotto in 15 lingue, è stata tratta una fiction trasmessa da Mediaset, con Sophia Loren come protagonista e Sabrina Ferilli. “Il personaggio della Loren ne La Ciociara mi è stato d’ispirazione per la figura della madre, averla nel film equivaleva ad un valore aggiunto”. Ricci, con una punta di rammarico, sostiene che “lo script si è allontanato molto dalla trilogia. Ma questo capita con i film, spesso un oggetto a sé stante e non uno specchio del libro. Il risultato è che non sono riuscito a sentirmi realmente connesso con il pubblico italiano. Milioni di persone hanno seguito il film, ma non hanno visto qualcosa venuto dal mio cuore”.
Nino Ricci scrive in inglese ma le sue opere sono impregnate di radici italiane “cui sono profondamente grato perché mi hanno consentito un accesso alla cultura italiana che va ben oltre le nozioni, una cultura che mi arricchisce immensamente e allarga i miei orizzonti e la mia umanità. Allo stesso tempo sono grato al mio essere canadese perché qui avverto una libertà che non credo sia possibile altrove. E come sempre, cerco di attingere le mie influenze dovunque e di essere consapevole dei molti fili che si legano insieme per creare un’identità”.
Tra i suoi ultimi lavori, Testament con cui ha vinto il Trillium Book Award 2002. Oggi è immerso nella sua prossima opera, un romanzo su uno scrittore di successo di 50 anni che va incontro a una crisi di mezza età, “ma – precisa – non è una storia autobiografica”.
Giovanna Chiarilli
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