Ad Amir, in Marocco, si è aperta ieri la riunione della Commissione Internazionale per la Pesca alla Balena (Iwc), durante la quale gli 88 membri decideranno se approvare la richiesta avanzata dallo stesso Marocco e sostituire la moratoria, del 1986, con una pesca contingentata. Nei giorni scorsi il “Sunday Times” ha pubblicato un’inchiesta sul traffico di voti che deciderebbe la sorte dei cetacei.Secondo il quotidiano inglese all’Iwc almeno sette Paesi (Guinea, Kiribati, Tuvalu, Marshall Islands, St Kitts and Nevis, Grenada, Tanzania) voterebbero in base al versamento di somme di denaro che vengono concesse loro da Paesi, come il Giappone, che hanno interessi economici in questo campo. I preliminari paiono confusi e non promettono nulla di buono: parti troppo lontane, accordo rompicapo, atmosfera da giallo con accuse di corruzione ai giapponesi che avrebbero comprato i voti delle isole del Pacifico con denaro sonante, ad esempio pagando il conto dell’albergo, 6 mila dollari, al vicepresidente (di Antigua) dell’organismo internazionale. L’alternativa in discussione, criticata da ambientalisti, biologi marini e alcuni governi, prevede un regime meno intransigente ma rispettato anche da Giappone, Islanda e Norvegia, che, di fatto, nonostante le proibizioni, ha continuato la mattanza tragica ed infinita. Gli animalisti accusano il Giappone di violare il divieto di caccia commerciale alla balena con il pretesto della ricerca scientifica. Un’accusa sostenuta anche da Australia e Nuova Zelanda, che hanno acque limitrofe all’Oceano australe, santuario dove è in vigore una rigida moratoria dal 1994. Le posizioni di Canberra e Tokyo appaiono inconciliabili. Il ministro degli esteri australiano Stephen Smith, lo scorso febbraio, annunciava la linea dura, senza compromessi: “L’Autralia presenterà di fronte alla Commissione baleniera internazionale una proposta che punta all’eliminazione della caccia alle balene nei grandi Oceani del Sud in un lasso di tempo ragionevole”. Il nuovo schema autorizzerebbe, nei primi 5 anni, di uccidere il 90% delle 1.500 balene catturate nel 2008-2009, per poi scendere ulteriormente nel quinquennio 2015-2020 . L’idea è di legalizzare le catture, ma di limitarle in modo da proteggere gli stock, riportando all’ovile coloro che hanno fatto gli Achab ed impunemente. Il mese scorso l’Australia ha annunciato l’intenzione di denunciare il Giappone di fronte alla Corte internazionale di giustizia, ma per i giapponesi rinunciare a un’attività che considerano parte delle loro tradizioni è fuori discussione. In Giappone la carne di balena surgelata dell’Antartico costa 27 euro al chilo, mentre quella pescata al largo delle coste giapponesi, più tenera, può arrivare a costare 900 euro.Nel 2009 il Giappone ha pescato 1.004 balene, la maggior parte sotto l’etichetta di caccia “a fini scientifici”. Nello stesso anno, la Norvegia ha catturato 536 balene e l’Islanda 38. Lo scorso marzo l’Islanda ha ricavato quasi un milione di euro dalle esportazioni verso il Giappone di prodotti derivati dalle balene. Mentre la bionda Kristen Bell è in trattative per affiancare Drew Barrymore e John Krasinski in Whales, commedia romantica appana giunta sui nostri schermi, in cui si racconta la delle tre balene grigie californiane che nell’ottobre 1988 vennero rinvenute intrappolate sotto il ghiaccio del Circolo Polare Artico; più ampia e complessa è la discussione fra gli 88 dell’Iwc. Il primo grande problema è decidere la soglia. Si parla di 1000 o 1500 capi ogni 12 mesi, inizialmente per quattro specie, quantità che il Giappone e gli altri rinnegati del diritto potrebbero anche accogliere. C’è un problema, però. Giunti all’inizio della trattativa, il comitato dell’Iwc ha detto che i numeri “non appaiono sostenibili”. Sono “diverse volte più elevati di quanto serve nel Pacifico e il doppio dell’Atlantico”. I tecnici non di parte ritengono che sia impossibile sapere con esattezza quante sono le balene rimaste, anche perché nessuno dice la verità sugli esemplari tirati a bordo. Giappone e Corea del Nord hanno dichiarato che in 20 anni sono «state costrette» a commercializzare oltre mille balene morte in scontri con navi nelle acque territoriali. Gli esperti dicono che il dato è dubbio e le circostante probabilmente costruite ad arte. Tutto è incerto, quindi, soprattutto la moralità di certi governi.
Carlo Di Stanislao
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