Mentre i “pezzi grossi” del partito minimizzano sulla sentenza e provano a dare una lettura “leggera” della condanna appena inflitta dalla Corte d’Appello di Palermo al senatore Marcello Dell’Utri, responsabile di aver imbastito rapporti con la mafia, Mauro La Mantia, presidente regionale di Giovane Italia, movimento giovanile del Popolo della Libertà, chiede a gran voce e senza mezzi termini, di “espellere dal Pdl i condannati per reati di mafia”.
”Oggi piu’ che mai sentiamo l’esigenza di avviare una profonda riflessione all’interno del partito – afferma – dopo questa condanna che, seppur ridotta e non definitiva, rimane gravissima soprattutto per un uomo impegnato in politica”.”Non ci uniremo al solito coro di solidarieta’ gia’ tristemente visto negli anni scorsi – osserva – per i politici condannati. Il nostro movimento giovanile non puo’ rimanere in silenzio davanti a fatti che minano la credibilita’ di un intero partito. Noi continuiamo a seguire l’insegnamento di Paolo Borsellino sulla lotta ad ogni infiltrazione mafiosa nei partiti e nelle istituzioni”. Per La Mantia ”il Popolo della Liberta’ deve accogliere la proposta del ministro Giorgia Meloni sulla introduzione nello statuto del Pdl di una norma che preveda il no alla ricandidatura vita natural durante e l’espulsione per chi e’ stato condannato in via definitiva per corruzione e mafia”. Eco a questa dura presa di posizione, la fa una nota di Azione Universitaria, il movimento degli studenti del Pdl, in cui si legge: “mentre il senatore Dell’Utri continua a definire un eroe il mafioso Vittorio Mangano, noi affermiamo con orgoglio che gli eroi dei giovani siciliani sono persone come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.” Di parere diverso Daniele Capezzone il quale afferma, da quel genio dell’acrobazia linguistica e del facciabronzismo che lo ha portato a svolgere, dopo la “corvèe” radicale, il ruolo di portavoce del Pdl, “la Corte d’Appello ha smontato tutta la letteratura di fantascienza su cui gran parte della sinistra giustizialista e del network mediatico di supporto avevano lavorato per una decina d’anni”. Quanto a Gaetano Quagliarello, capogruppo alla Camera, commenta la sentenza: ”da una Corte che ha ammesso in un pubblico dibattimento di Spatuzza sui suoi incontri al bar Doney non ci si poteva aspettare molto di diverso, anche se i teoremi dell’accusa sembrano uscire ridimensionati da questo giudizio. Il fatto che un Procuratore Generale abbia sollecitato una sentenza non per stabilire se una persona abbia violato o meno il codice penale in base a prove e riscontri, ma per riscrivere una pagina di storia del Paese e contribuire ad aprirne delle altre, in una democrazia matura dovrebbe essere visto come sintomo di una profonda patologia, e destare indignazione”. Fabrizio Cicchetto, esprime solidaliterietà incondizionata a Dell’Utri e dice: “La sentenza di condanna a Dell’utri non ha la potenzialità giuridica per poter aprire nel presente un attacco politico-giuridico alle nuove entità politiche scese in campo dopo il 1994″. Tema su cui punta anche il finiano Italo Bocchino: “La sentenza smonta il teorema tutto politico di un collegamento tra le stragi mafiose e la nascita di Forza Italia. A Dell’utri va la nostra solidarietà per questo ulteriore e difficile passaggio giudiziari”. Sulla stessa lunghezza d’onda la Gelmini che dice di Dell’Utri “è una persona per bene che nel terzo grado otterrà giustizia”. Invece, per Rita Borsellino, europarlamentare del Pd e sorella del magistrato ucciso dalla mafia, “la sentenza non mette una pietra tombale sulla trattativa con la mafia. Oggi i giudici confermano che un senatore della Repubblica e uomo chiave nella costruzione di Forza Italia, è stato per trent’anni in stretto contatto con i boss mafiosi” e per Antonio Di Pietro: “la condanna penale è personale, ma la condanna politica c’è tutta e riguarda il partito di Silvio Berlusconi, Forza Italia, nato in virtù di un rapporto non occasionale tra uno dei suoi fondatori, Marcello dell’Utri e la mafia. Speriamo che Berlusconi adesso non faccia ministro pure lui”. Il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione antimafia, è molto chiaro: “Dell’Utri e’ stato condannato anche in secondo grado su fatti pesantissimi. Il suo partito e la politica tutta ne devono prendere atto e trarne le debite conseguenze. Sono sempre stato convinto che, al di la’ del giudizio penale, anche di fronte ad una assoluzione vi erano tutti gli elementi per espellerlo dalla politica e dalle istituzioni. La vicenda delle stragi ’92/’93 rimane aperta, non solo per il giudizio penale, ma per le istituzioni perche’ si faccia piena luce e si accertino tutte le responsabilita’, comprese quelle politiche. Anche tutta la politica – aggiunge Lumia – deve fare i conti fino in fondo con i rapporti con le mafie. Ogni partito deve guardarsi dentro e attivare una selezione della classe dirigente capace di coniugare legalita’ e sviluppo e di colpire con rigore e sistematicita’ il sistema mafia negli appalti, nella gestione dei rifiuti e dell’acqua, nel settore dell’energia e della sanita’ e in tutti i settori della spesa pubblica e dell’economia privata. Cosi’ si possono scardinare i sistemi delle collusioni e dare alla politica il suo valore e il suo primato nella lotta alle mafie”. Nel giorno in cui l’aggressore di Berlusconi Massimo Tartagli va assolto per “incapacità di intendere e volere”, la condanna a Dell’Utri suona come un nuovo schiaffo in faccia al Cavaliere. Intanto Dell’Utri si dice fiducioso e vuiole ricorre in Cassazione, parlando di “sentenza pilatesca”, con cui si è voluto dare “un contentino alla Procura di Palermo”, ma che – sottolinea – è anche motivo di “grossa soddisfazione” in quanto lo scagiona dalle accuse riguardanti la stagione stragista.” Sarà anche vero, ma chi lo scagiona dalle parole, pronunciate anche oggi, su Vittorio Mangano, definito “un eroe”, “una persona detenuta in carcere e ammalata, che nonostante fosse stato sollecitato più volte dalla procura di Palermo a parlare di Silvio Berlusconi e di me, si è rifiutato di farlo”. Certamente Dell’Utri è uno che il codice d’onore mostra di conoscerlo bene e di rispettarlo completamente. Loredana Mangano, la figlia maggiore di Vittorio, è cresciuta al Nord, ma ha sposato un siciliano doc, Enrico di Grusa, arrestato il 17 giugno ’98, dopo quattro mesi di clandestinità a Milano, e condannato per mafia e droga. Ora anche suo fratello, Alessandro Di Grusa, è stato condannato a 12 anni. Il tribunale di Palermo, pochi giorni fa, lo ha dichiarato colpevole di aver favorito la latitanza di Giovanni Nicchi, un boss che a soli 28 anni è considerato dai pm “l’astro nascente di Cosa nostra”. Alleato con le storiche famiglie italo-americane, le stesse con cui Vittorio Mangano gestiva i traffici di eroina della “Pizza connection”, Nicchi ha tentato una clamorosa scalata alla Cupola, scontrandosi con i Lo Piccolo. Tuttora è nella lista dei 30 latitanti più pericolosi. E ora si scopre che si era nascosto a Milano. Protetto dal cognato di Loredana Mangano. Questa schiatta e parentado dell’eroico Vittorio, morto in carcere pur di non accusare Dell’Utri e Berlusconi e, per i magistrati, boss di Cosa nostra, trafficante di eroina già nel 1980 e mandante di omicidi anche nei primi anni ’90. Di là dall’ostentata tranquillità, ciò che fa perdere il sono a Dell’Utri e forse a Berlusconi, sono le agende dove Ines Lattuada, una segretaria di Publitalia, segnava gli appuntamenti e le telefonate dirette al futuro senatore. Tra il 1992 e il 1994 molte persone legate a Cosa Nostra, dall’ex fattore di Arcore Vittorio Mangano, sino a Gaetano Cinà e al figlio del cassiere di Totò Riina, Pino Mandalari, cercavano Dell’Utri, allora impegnato nella creazione di Forza Italia. Si potrà controbattere tutto e tutto negare, ma queste carte parlano più dei fuochi di sbarratamento e delle dichiarazioni di solidarietà e convinta innocenza.
Carlo Di Stanislao
Una sentenza di assoluzione del berlusconismo
Il senatore Dell’Utri è stato condannato a sette anni di carcere per la sua collaborazione alla mafia precedente al 1992, anno fatidico e spartiacque politico della storia d’Italia. Dal 1992 inizia il ciclo di Forza Italia e del Berlusconismo che avrebbe rivoltato l’Italia “come un calzino” promessa fatta dal
grande leader e puntualmente mantenuta. In effetti, l’Italia è stata rivoltata, resa irriconoscibile: è oramai un immenso cimitero di rovine di ciò che fu una nazione con grandi tratti di civiltà e di modernità, seppur con le sue tare e le sue zone oscure. Ora siamo una una Repubblica controllata da un proprietario di televisioni come lo fu per qualche anno la città di Taranto, poi fallita, nella mani di un tale Giancarlo Cito, poi condannato a quattro anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Non è da escludere che l’Italia, come Taranto, finisca con il fallire dopo essere stata depredata del suo patrimonio come sta avvenendo con il trasferimento alle Regioni dei suoi beni con il cosidetto federalismo demaniale. Intanto, una grossa corrente di destra alimentata dalle associazioni del padronato, è impegnata in una opera di demolizione della Costituzione e dei diritti dei lavoratori e delle persone ed una grassa Oligarchia bipartisan fatta da migliaia e migliaia di professionisti della politica e dai loro famuli divora fette sempre più grosse delle risorse del Paese e vive di privilegi inaccettabili.
In effetti si tratta di una assoluzione del Dell’Utri politico, fondatore di Forza Italia, referente della mafia e difensore dell’eroico stalliere di Arcore. Quello che ha fatto prima del 1992 può riguardare la giustizia e la cronaca giudiziaria. Non ci interessa se non come cronaca nera. Trattasi di relazioni di un cittadino qualsiasi, seppur influente, con la potente mafia siciliana. Interessa invece e moltissimo al Paese che cosa è stato Dell’Utri dal 1992 in poi e stabilire se è vero o no che alla base della formazione di Forza Italia ci sia stata una trattativa che avrebbe chiuso
il periodo stragista culminato nell’assassinio di Borsellino e Falcone e gli attentati al patrimonio artistico italiano. La sentenza ritiene il Senatore Dell’Utri innocente per quanto ha fatto nel corso degli ultimi venti anni che sono stati gli anni del grande potere berlusconiano. Insomma, non c’è niente di malavitoso e di mafioso nella sostanza del potere politico del ventennio trascorso e tutto va spiegato in chiave diversa
di come l’avevamo immaginato e, con buone ragioni, sospettato..
Ricordo la letizia della avvocatessa Bongiorno, oggi pezzo grosso del PDL e Presidente della Commissione Giustizia della Camera, nell’annunziare al senatore Andreotti l’esito del suo processo. Andreotti era stato condannato ma prescritto per le sue frequentazioni malavitose fino al 1982 ed assolto per tutto il periodo successivo. Anche Dell’Utri, come Andreotti, viene liberato dall’accusa che grava su di lui per tutta la sua lunga militanza politica. Una sentenza fotocopiata. Non andrà mai in galera e non si unirà ai settantamila infelici e disgraziati ristretti in carceri abominevoli che possono contenerne la metà. Non conoscerà mai questa terribile stazione del calvario di tante persone.
A quanti a sinistra sperano in un ribaltamento della sentenza in Cassazione osservo che trovo inaccettabile una giustizia con tre gradi di giudizio che possono esprimere tre sentenze diverse. Quello che conta è la constatazione di un sistema giudiziario in preda a spinte e pulsioni diverse e spesso opposte che non garantisce nessuno e che degrada a vista d’occhio e non solo per gli attacchi quasi quotidiani di Berlusconi e della destra.
Prendiamo atto che con la sentenza di oggi è stato mondato da ogni sospetto di radicamento nella mafia il movimento berlusconiano. Questo movimento da oggi è ancora di più legittimato a stravolgere quello che resta dell’ordinamento costituzionale italiano. Legittimato da una certificazione
antimafia rilasciata dalla Corte di Appello di Palermo.
Pietro Ancona
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