Il Consiglio regionale, recependo la delibera della Giunta, ha ridotta a 11, dalle passate 19, le comunità montane abruzzesi, con una nuova mappa così strutturata: 5 nella provincia dell’Aquila, 3 nella provincia di Chieti, 2 nella provincia di Teramo e una in quella di Pescara. Commento negativo è stato espresso da Carlo Costantini, capogruppo IdV in Consiglio regionale d’Abruzzo, che dopo il voto contrario dell’Italia dei Valori al provvedimento sulla ridelimitazione degli ambiti territoriali, ha dichiarato:” il dibattito regionale sui confini e le caratteristiche delle nuove Comunita’ montane esprime una ipocrisia di fondo. La politica regionale continua ad occuparsi della forma e ad ignorare la sostanza”. Secondo Costantini ed il suo partito, occorebbero atteggiamenti meno ipocriti e sopprimere tutte le comunità montane, dedicando di “destinare tutte le risorse direttamente ai Comuni perche’ (attraverso le forme associative gia’ previste dalla legge) le utilizzino tutte a favore della montagna, delle sue attivita’ economiche e dei cittadini che ci vivono”. In Italia le comunità montane sono oggetto di forti discussioni. In Sicilia sono state abolite nel 1986. In Friuli sono state reintrodotte nel 2004 3 anni dopo la loro abolizione. In Sardegna sono state abolite nel corso del 2007. Il Molise invece le sta riducendo, da 10 a 6. Anche in Lombardia dal 2009 le comunità montane calano da 30 a 23. La Puglia le aveva abolite, ma la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo tale atto. Nel 2008, con una decisione della Commissione Bilancio della Camera, contro il parere del Governo, le Regioni, di concerto con gli enti locali, hanno avuto la responsabilità e l’autorità per riorganizzare le Comunità montane, con un fondo complessivo decurtato di 33 milioni nel 2008 e di ulteriori 66 milioni nel 2009, tagli obbligati, sull’onda della polemica sul “costo della politica”, innescata dai mass media che hanno accusato la “casta” di azioni inqualificabili, immorali e gravose per il bilancio pubblico italiano. In realtà, secondo alcuni, il meccanismo è servito a garantire il potere delle oligarchie più oscure, al permanere di un rapporto incestuoso tra grande imprese sistema bancario, mas-media e sindacati, ad una presenza sempre più invasiva dello stato, insomma a mantenere inalterati i meccanismi di fondo che incentivano il malgoverno del Sistema Pubblico Italiano. Secondo costoro, infatti, pensare solo ai costi dell’istituzione in quanto tale, è così fuorviante da rendere patetica la sua decisione. Infatti il vero problema non è ridurre il numero ma chiedersi se le comunità servono, se producono ricchezza, se i manager sono i migliori disponibili sul mercato, se i budget di crescita sono rispettati. Siamo d’accordo con chi, nello specifico, afferma che, poiché le comunità hanno delega dai sindaci a svolgere tutte quelle attività che sono proprie di una macchina comunale, esse dovrebbero anche avere una responsabilità propria sulla pianificazione urbanistica del territorio pur gestita in modo flessibile e differenziato a seconda della realtà socio-economica rappresentata. Si imporrebbe, in questo caso, un sistema elettorale diretto e non di secondo grado come è attualmente. E, ancora, che nei criteri di scelta, non ci debba basare su potentati politici e scambi elettorali, ma si dovrebbe rispettare non solo il dato storico, ma anche quello socio-economico nell’attribuzione di un riconoscimento. In questo modo, in Abruzzo, 11 comunità continuano decisamente ad essere troppe.
Carlo Di Stanislao
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