Gli effetti della crisi economica sono differenti non solo “tra le regioni del centro-nord e del Mezzogiorno, ma anche tra montagna o aree interne di collina e resto del territorio”. E se è vero che i recenti provvedimenti del governo, uniti al Recovery Plan dell’Ue “hanno delineato un serie di interventi per contenerne gli effetti”, il Cnel evidenzia “una scarsa attenzione” verso “quei territori che stanno registrando un calo della domanda complessiva e una sostanziale riduzione degli investimenti pubblici”, e che hanno dovuto “aguzzare l’ingegno” per far fronte alla “grave situazione debitoria delle aziende”. Da qui la raccomandazione ad intervenire a livelli istituzionali superiori con “provvedimenti necessari a riattivare investimenti, crescita e occupazione”. I rilievi sono mossi nella ricerca “Innovazione nella crisi economica. Strategie e fabbisogni di politiche di aree montane italiane”, condotta su tre aree campione (la zona alpina dell’ alto Bellunese, l’appennino parmense, la zona grecanica dell’ Aspromonte) e presentata oggi. Il Consiglio nazionale dell’ economia e del lavoro ricorda come la crisi ha causato una caduta del Pil del 5% e la perdita di oltre mezzo milione di posti di lavoro. “Ma ciò che è più grave non viene da fenomeni già archiviati – è l’allarme – bensì dall’immediato futuro: tutte le stime indicano che nel nostro Paese la ripresa sarà più lenta che nel resto dell’Ue”, e a soffrire di più saranno le aree già deboli e carenti di infrastrutture. Il rapporto del Cnel si sofferma su ciascuna aree presa in considerazione. Nell’appennino bellunese, dove il settore di punta è l’occhialeria, la crisi “ha accentuato quei fenomeni di ristrutturazione e di espulsione dal mercato delle imprese più piccole, dotate di strategie di mercato meno differenziate”. L’appennino parmense, invece, è “una montagna con una buona dotazione di risorse e sviluppo, anche di tipo istituzionale” e in questo contesto si sono verificati “piccoli contraccolpi” sull’agro-alimentare (parmigiano e prosciutto), mentre il manifatturiero e, in particolar modo, le piccole imprese “hanno subito un crollo di fatturato e occupati”. Nell’area montuosa calabrese, storicamente caratterizzata da impoverimento demografico e basso sviluppo, gli effetti sono stati “la riduzione della spesa pubblica per i servizi essenziali, maggiori difficoltà di accesso al credito e blocco dell’edilizia privata e pubblica”. Il ricorso “agli ammortizzatori sociali ha permesso di contenere la conseguenze più pervasive e devastanti” e le imprese hanno attuato “strategie difensive”, con la riduzione dei contratti a termine e “tesaurizzazione del capitale umano specializzato”. Il sistema istituzionale locale, da parte sua, si è mosso, sia pure “con mezzi finanziari del tutto inadeguati rispetto alla portata della crisi”, “aguzzando l’ingegno” per porre rimedio “alla grave situazione debitoria della aziende”: la Comunità Montana Parma Est, per esempio, ha creato autonomamente un piccolo fondo per le PMI, le imprese agricole e artigianali.
Crisi nelle zone montane a rischio, attenzione scarsa
Gli effetti della crisi economica sono differenti non solo “tra le regioni del centro-nord e del Mezzogiorno, ma anche tra montagna o aree interne di collina e resto del territorio”. E se è vero che i recenti provvedimenti del governo, uniti al Recovery Plan dell’Ue “hanno delineato un serie di interventi per contenerne gli effetti”, […]
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