In questa Italia “repubblica delle banane” e “paese delle meraviglie”, capita anche che un generale dei carabinieri, comandante del Ros, sia condannato per traffico di droga. Quattordici anni di carcere, 65 mila euro di multa e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici , è la sentenza dei giudici di Milano per Giampaolo Ganzer, emessa dopo 5 ani di processo e ben 2.000 udienze. Ganzer era accusato, assieme ad altre 17 persone, di aver costituito un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, al peculato, al falso e ad altri reati. Anche l’ex colonnello del Ros e attuale membro dell’Aise, Mauro Obinu, è stato condannato a 7 anni e 10 mesi di carcere e anche lui interdetto e multato per 35mila euro. Di tutti gli imputati solo in quattro sono stati assolti. La procura di Milano aveva chiesto per il comandate del Ros, una condanna a 27 anni di reclusione. L’inchiesta, dall’iter lungo e complesso ( iniziata a Brescia, in seguito trasferita a Milano e poi a Bologna, e infine riassegnata dalla Cassazione al capoluogo lombardo), fa riferimento a fatti svoltisi fra il 1990 ed il 1997. La corte milanese presieduta da Luigi Capazzo, dopo 170 udienze , ha accolto solo in parte le richieste del Pm Luisa Zanetti che sosteneva che “all’interno del Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri c’era un insieme di ufficiali e sottoufficiali che, in combutta con alcuni malavitosi, aveva costituito una associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga e ad altri reati, al fine di fare una carriera rapida”. Dopo la condanna del comandante del Ros Giampaolo Ganzer, il ministro dell’Interno Roberto Maroni esprime “pieno rispetto e fiducia nella magistratura, ma altrettanta fiducia nell’operato dei carabinieri, del Ros e del suo comandante”. E aggiunge: “Sono fermo sostenitore del principio della presunzione di innocenza fino a prova contraria. Il generale Ganzer ha la fiducia del Comando generale dei carabinieri, e quindi anche la mia”. Sostegno e fiducia anche da parte del comando dei carabinieri, con il comandate generale dell’arma, Leonardo Gallitelli, che scrive in una nota: “”nel rispetto della sentenza, l’arma è fiduciosa nel favorevole esito dei prossimi gradi di giudizio e conferma la piena affidabilità del Generale Giampaolo Ganzer e del Ros. La grande professionalità e il rigoroso impegno del generale Ganzer e del Reparto da lui guidato trovano riscontro negli straordinari risultati conseguiti in questi anni, e anche nella giornata odierna, nella lotta al crimine organizzato e all’eversione”. Quanto a l’avvocato Fabio Belloni, difensore di alcuni ex militari condannati oggi per irregolarità nelle operazioni antidroga negli anni Novanta, assieme al generale Giampaolo Ganzer, ha commentato la sentenza della VIII sezione penale di Milano, ha detto. “Questa è una sentenza eccezionalmente complessa, con una chiave di lettura sofisticata da parte dei giudici”, facendo intendere che ci si è arrampicati sugli specchi per comminare la condanna. Di fatto le 14 condanne d si riferiscono a singoli episodi delittuosi commessi nel corso di alcune importanti operazioni antidroga compiute “sotto copertura” dal Ros. “Cobra” del 1994 e “Cedro 1″ del 1995, i nomi di quelle in cui i giudici hanno riscontrato le pesanti irregolarità che hanno portato alla condanna di Ganzer. “Le sentenze non si possono che rispettare. Aspettiamo le motivazioni”, ha detto laconicamente il generale condannato. La fulminante ascesa di Ganzer nell’arma avviene a Verona e proprio negli anni incriminati, dal ’90 al ’97. Angelo Petronio sul Corriere Veneto ricostruisce la folgorante ascesa, che come spinta utilizzò quelli che ancora oggi alcuni suoi uomini definiscono dei “successi”. . Quelli che valsero a Verona la nomea di “Bangkok d’Italia”, grazie ai quei sequestri di droga che avevano la portata di una pesa. Chili di qualsiasi cosa si potesse vendere sul mercato illegale. Non fece quasi in tempo ad arrivare in via Salvo d’Acquisto, il colonnello Ganzer, che le bilance dell’antidroga dovettero sopportare pesi inconsueti. Fu il 1991 l’”anno d’oro»” A febbraio 20 chili di eroina su un camion a Soave, altri sette e mezzo in in un pollaio a Sanguinetto. Poi 68 chili in un vigneto a Brentino Belluno, 99 di nuovo a Soave dove poi ne furono recuperati altri 52, altri dieci a Verona Est. Senza contare la cocaina, l’hashish e la marijuana. Cifre da capitale della droga. Con il comandante provinciale dei carabinieri che venne soprannominato «cacciatore dei narcos”. E con i primi dubbi su quel modo di operare, ritenuto da qualcuno un po’ troppo spregiudicato. Lui, il colonnello, non è mai stato uno che si è curato troppo delle voci di corridoio. Ed è uno – detto anche dai suoi uomini – che non si fa distrarre facilmente, quando ha un obiettivo. Quello del periodo veronese era la greca da mettere sulla divisa. Ce la cucì sopra con il caso di cronaca nera più eclantante accaduto nel Veronese, l’allora colonnello Giampaolo Ganzer. Perchè è lui che, a due giorni dall’omicidio della madre e del padre, arrestò Pietro Maso. Sembrava in ascesa, il colonnello Ganzer. E infatti a Verona durò il minimo indispensabile. E’ il 1993 quando arriva al comando romano della legione carabinieri di via Ponte Salario e poco dopo va a dirigere il secondo reparto investigativo, che si occupa di antidroga. E lì che esporta il «metodo», spiegato negli atti del processo milanese. “Il Ros – si legge – instaura contati diretti e indiretti con rappresentanti di organizzazioni dedite al traffico di stupefacenti… Ordina quindi quantitativi di stupefacenti da inviare in Italia.”. Ma la sua parabola comincia a tracciare la fase discendente. E il suo destino s’intreccia ancora con Verona. E’ nel 1994 che viene indagato dalla procura scaligera per “false dichiarazioni rilasciate al pm”. Quel pubblico ministero era Angela Barbaglio – oggi procuratore aggiunto – e indagava su un omicidio che scoperchiò un’altra “gestione” poco trasparente, da parte degli uomini del colonnello Ganzer. L’omicidio di Massimiliano Turazza, l’agente di polizia assassinato dal pentito della mala del Brenta Alceo Bartalucci. A gestire quel «pentito » che compiva rapine in mezzo Nord Italia e ammazzò Turazza che lo vide davanti a una banca, erano i carabinieri di Ganzer. Uno, in particolare. Il maresciallo Angelo Paron. Gli costruirono un alibi, Paron e il colonnello, al rapinatore amico di Felice Maniero. Ganzer disse che esisteva una telefonata che lo scagionava. Ma nessuno la sentì mai. Venne indagato per falso. Si “rettificò” l’allora colonnello. E il tutto venne archiviato. Ma nella vita non è detto che se ti va bene una volta, ti fili liscia sempre. «Le sentenze vanno rispettate », ha detto ieri, quello che adesso è un generale. Sarebbe dovuta valere anche per Bertolucci, il pentito rapinatore con villa, Ferrari e armi a disposizione. Ci sono altre due gradi di giudizio e ci auguriamo che tutto si chiarisca e la sentenza si inverta, altrimenti in cosa ancora credere se neanche l’arma si dimostra ligia e fedele?
Carlo di Stanislao
..e non e finita qui..!!il 13 ott, 93 veniva trovato morto nella sua auto a rovereto di tn un tecnico di bardolino vr certo enrico biabchi ucciso per scambio di persona..e a bardolino vr in una villa sulle colline a cortelline viveva proprio il bartalucci che si faceva chiamare paolo zilioli e a seguirlo il brig, dei cc di bardolino marco del ton che con lui girava a bordo di mercedes ferrari e fuoristrada di lusso intanto il pentito rapinava banche e sistemava le malefatte dei carabinieri con offerte di denaro come al sottoscritto arrestato falsamente il giorno prima dell omicidio del bianchi ricordo che nella villa vi erano armi e auto di grossa cilindrata e una moto enduro e..i carabinieri sapevano.. sala jader bardolino verona