Nicola Cosentino si dimette da sottosegretario, ma non lascia l’incarico di coordinatore campano del Pdl e attacca decisamente Fini ed i finiani (soprattutto Bocchino), scrivendo, nel suo comunicato: “Contro di me è in atto una persecuzione da L’Espresso a La Repubblica, perché ho messo fine alle sconfitte del centro-destra in Campania. E Fini, con solerzia, ha ritenuto di voler calendarizzare le mozioni in tempi brevissimi basandosi su indimostrate notizie di stampa”. La decisione di Cosentino arriva dopo un vertice a Palazzo Chigi con il premier a cui era presente anche Denis Verdini, coordinatore del Pdl, a sua volta coinvolto nell’inchiesta sulla cosiddetta “P3″. L’esponente del Pdl ci tiene a precisare che le sue dimissioni non sono state chieste da Berlusconi, ma la sua è stata “una scelta autonoma per tutelare il governo”, dopo che il presidente della Camera aveva scelto di calendarizzare per il prossimo mercoledì la mozione di sfiducia contro di lui. Una scelta presa contro il gruppo del Pdl e della Lega ma su cui Gianfranco Fini non ha sentito ragioni. E certo c’erano fondati timori che la sfiducia potesse passare e che i finiani avrebbero votato con la mozione delle opposizioni. In una intervista, richiesto sulle ragioni di tanta ostilità da parte di Fini, Cosentino dichiara: “È risibile che Fini parli di una sorta di tensione morale quando si tratta solo di un tentativo di ottenere il potere da parte sua e dell’on Bocchino”. Pronta la replica dell’ex di An, che invece dice: “Le sue parole mi sono indifferenti. Serve una politica che sia durissima con chi non ha un’etica pubblica. Le dimissioni serviranno all’on. Cosentino anche per potersi meglio difendere in sede giudiziaria: è un atto indispensabile di correttezza istituzionale e opportunità politica. Mentre infuriava la guerra tra Fini e Cosentino, Silvio Berlusconi faceva sapere in una nota di “aver condiviso” le dimissioni ma di essere certo della “totale estraneità di Cosentino alle vicende che gli sono contestati” confermandogli il ruolo di coordinatore regionale “per consentirci di conseguire ancora quegli eccellenti risultati di cui è stato artefice”. Una vittoria peraltro non facile, segnata dalla vicenda dei rifiuti che ha tenuto in ostaggio la Campania e che è uno (come il terremoto de L’Aquila) dei fiori alla’occhiello del Cavaliere e della sua “politica del fare” (che a noi pare, invece, più del “dire”). Al Tg2 (ancora una volta sfuggito al controllo di Berlusconi e dei suoi), Luigi Bersani esulta e dichiara: “La maggioranza è nei guai. Questa è una vittoria netta dell’opposizione, del Pd e di tutte le opposizioni”. Sarà anche vero, ma noi sembra più che altro una vittoria della magistratura. Molto soddisfatto (non c’erano dubbi in proposito) Antonio Di Pietro, che argomenta: ”Era ora. Cosentino non poteva fare altrimenti. Avrebbe dovuto dimettersi da tempo, visti i suoi precedenti, come più volte è stato chiesto dall’Italia dei valori. Adesso chiediamo, come abbiamo fatto oggi in aula, che la Camera autorizzi il suo arresto, come ha già chiesto l’autorità giudiziaria. E dopo la mozione di sfiducia contro Cosentino, l’Idv si prepara a chiedere una mozione contro l’intero governo Berlusconi. Continueremo a batterci a difesa della legalità e della democrazia”. Ieri, all’uscita da Palazzo Chigi, Cosentino ai cronisti che gli chiedevano se siano opportune le dimissioni di Verdini, Cosentino ha risposto: “Assolutamente no”. Secondo l’ormai ex sottosegretario, ha ripreso vigore “quello spirito di Tangentopoli che ha fermato l’Italia per anni. Dobbiamo tornare alla presunzione di innocenza, non basta un avviso di garanzia” per rendere colpevole una persona. Su Verdini ferma anche la posizione del coordinatore Pdl e ministro della Difesa, Ignazio La Russa: ”Non ho visto nessuno che ha chiesto le dimissioni di Verdini, per me non si è aperta tale questione e nessuno lo ha chiesto”. Anche in questi caso nutriamo dei dubbi, poiché, crediamo, sarebbe motivo di opportunità politica e segno di discontinuità rispetto al passato se Verdini si dimettesse. In fondo ci troviamo d’accordo con l’Associazione nazionale magistrati, che chiede segnali forti per non gettare ombre sulla categoria. Ieri il segretario del sindacato delle toghe Giuseppe Cascini ha detto che se “un sospetto cade sulla tua persona lambisce l’istituzione. Un segnale forte sarebbe che i magistrati coinvolti liberassero l’istituzione e non la coinvolgessero”. Forse, però, in questa Italia della Terza Repubblica e della nuova massoneria, questa regola vale per tutti ma non per i politici.
Carlo Di Stanislao
Lascia un commento