Sergio Marchionne è l’uomo che ha tentato, senza riuscirvi, di prendere il controllo di Opel e creare il gruppo automobilistico più importante d’Europa; l’uomo a cui Barack Obama ha affidato il compito (questo riuscito) di salvare una parte importante dell’industria Usa; è il manager dell’anno e, alcuni dicono, del decennio. Un manager cresciuto all’estero, privo di interessi per la politica e fatto solo di fredda, cinica economia. Qualche tempo fa si fece un paragone per contrasto fra Marchionne e Bernabè e si disse che essi erano agli antipodi ottici dei grandi manager. Bernabè, a differenza di Marchionne, è molto attento alla politica: la sua esperienza principale è stata alla guida di un ente pubblico dell’Eni e infatti si è visto come è riuscito a schivare i rischi di uno scorporo della Rete. Ed è molto più indifferente al prodotto e al servizio di Marchionne: ha speso quasi un anno a cambiare gli organigrammi dirigenziali dopo che aveva promesso di non farlo; ora sta perdendo un altro anno a scontrarsi con il sindacato, dopo che aveva promesso che non avrebbe toccato gli organici. In compenso Bernabè ha ridimensionato gli investimenti, pur avendo incassato l’aumento del canone telefonico e ritoccato le tariffe mobili. Saranno diversi, non vi sono dubbi, ma entrambi licenziano e pensavo solo a dividendi per i soci e fatturato. Oggi Marchionne ha esordito al tavolo convocato dal ministro Sacconi, con il sindaco Chiamparino, i sindacati e la Fiat, dicendo che la fabbrica è l’unica tra le aziende disposta a investire fino a 20 miliardi di euro in Italia e se non si arriverà ad un intesa condivisa da tutti, Fiat sarà costretta ad “andare altrove”. Bel moto di ragionare, con paletti prefissati e coltello dalla parte del manico. E, tanto per essere ancora più chiari, Marchionne ha poi parlato dei sindacati dicendo che “se si firma un accordo con la maggioranza del sindacato, questo deve essere rispettato da tutti. Inoltre, ha aggiunto, “se in Italia non si può contare sul rispetto degli impegni delle controparti”, Fiat sarà obbligata ad “andare altrove”. E mentre Uil e Cisl storcono un poco il muso e CGL e Fiom non parlano, per Marcegaglia vi sono (li vede solo lei e Sacconi), “margini di accordo”. Oggi, nella sede della Regione Piemonte a Torino, il tavolo sulle prospettive del Gruppo Fiat: ha preso il via puntualissimo e di buon ora, con tutte le parti presenti, mentre fuori riecheggiavano i cori “vergogna, vergogna” provenienti dal presidio organizzato dall’Unione sindacale di base. Marchionne è stato il vero protagonista della’incontro, durante il quale ha anche detto perentorio : “O avere una forte industria dell’auto in Italia o lasciare questa prerogativa ad altri paesi”. Non servono fiumi di parole per questo. Ci sono solo due parole che, al punto in cui siamo, richiedono di essere pronunciate. Una e’ si, l’altra e’ no. Si’ vuol dire modernizzare la rete produttiva italiana per darle la possibilita’ di competere. No vuol dire lasciare le cose come stanno, accettando che il sistema industriale continui ad essere inefficiente e inadeguato”. Come scrive nella sua versione on-line Milano Finanza, riguardo alla scelta di portare la produzione della monovolume in Serbia, Marchionne ha spiegato che questo non danneggerà Mirafiori e ha sottolineato che la scelta operata è nata considerando i tempi stretti che a disposizione per iniziare i lavori e adeguare le linee di produzione. E il vero piglio del binomio Marchionne – Sacconi è uscito quando o infine alle voci di una disdetta del contratto nazionale per Pomigliano, Marchionne l’ha definita una strada praticabile, mentre dai sindacati si è levato un coro di no all’uscita di Fiat dal nuovo modello contrattuale. A questo punto il ministro del Welfare Sacconi ha annunciato che partiranno ora tavoli bilaterali azienda per azienda sull’attuazione del progetto Fabbrica Italia e che il 15 settembre si parlerà di Termini Imerese. La Cisl ha raccolto la sfida del Lingotto, e si è detta pronta a impegnarsi “senza se e senza ma”, anche per l’accordo con Pomigliano. “Ma vogliamo che Marchionne faccia chiarezza che le modalitá di investimento rimarranno nel perimetro delle regole del nuovo sistema contrattuale che abbiamo costruito”, ha detto il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. Il leader della Uil, Luigi Angeletti, chiede invece alla Fiat di dire quali sono le condizioni per cui questo progetto si implementi sicuramente e il numero uno della Cgil, Guglielmo Epifani, sottolinea la necessità di lavorare insieme per uscire dal clima di conflittualità permanente che non piace a nessuno. Insomma è evidente il modello perseguito da Marchionne (con l’aiuto di Sacconi, di Confindustria e del Governo): schiaffi in faccia ai sindacati e a tutti i lavoratori. Un modello che impone una nuova società per la fabbrica di Pomigliano d’Arco, disdetta il contratto dei metalmeccanici e porta di fatto la prima industria del paese fuori dalla Confindustria. Una Fiat rivoltata sottosopra, come fosse finita in bancarotta alla stregua della controllata Chrysler e della General Motors, il tutto il giorno prima dell’incontro-burletta o ricatto o ultimatum di oggi, in cui ha dettato le sue condizioni e avvertito: prendere o lasciare. E non gli interessano gli insulti e l’antipatia di molti italiani; tanto già domani, a Detroit, potrà rifarsi con un bagno di folla a Detroit, presente anche Obama, per la prima volta in visita a una fabbrica della Chrysler salvata proprio con l’aiuto del manager. Dice bene Francesco Paternò che sul Manifesto parla di una crudele e abilissimo, il quale ha già in mente un piano B (ne ha anche accennato oggi), con uscita unilaterale da Confindustria, disdetta unilaterale del contratto nazionale con i lavoratori e riassunzione solo di chi è d’accordo con il nuovo contratto. E non gli importa di ridicolizzare John Elkam presidente della Fiat ma anche vice di Marcegaglia a Confindustria, né di mandare in bancarotta i diritti dei lavoratori italiani, perché il suo scopo è fare soldi e fatturati e messe via in un’altra società le parti più solide del gruppo con lo spin off, operativo dal prossimo gennaio, le quattro ruote saranno vendute, più prima che poi. Sarebbe riduttivo pensare che questo Marchionne spaccatutto abbia in mente soltanto di far fuori la Fiom. Il nuovo contratto nazionale scade il 31 dicembre 2012 e formalmente la Fiat uscirà da Confindustria il primo gennaio 2013. Lo stesso anno entro il quale Marchionne si è impegnato a restituire ai governi statunitense e canadese i 7,4 miliardi di dollari in prestiti agevolati. L’obbiettivo è proprio questo ed ha poco da ridere anche sacconi che si ritroverà ad aver guidato un’operazione che non avvantaggia altro che Marchionne.
Fiat voluntas sua
Sergio Marchionne è l’uomo che ha tentato, senza riuscirvi, di prendere il controllo di Opel e creare il gruppo automobilistico più importante d’Europa; l’uomo a cui Barack Obama ha affidato il compito (questo riuscito) di salvare una parte importante dell’industria Usa; è il manager dell’anno e, alcuni dicono, del decennio. Un manager cresciuto all’estero, privo di […]
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