Dopo il voto di ieri su Caliendo, che potrebbe apparire l’ennesima vittoria di Berlusconi e del suo Governo, il primo ministro è furioso e perplesso e, dicono i bene informati, già pronto a passare la voce di prepararsi ad elezioni anticipate. Berlusconi sa, infatti, che quella di ieri è una vittoria di Pirro, che ha mostrato un governo in difficoltà, con numeri ridotti fortemente da inizio di legislatura, Lega più forte e più audace nelle richieste e finiani lungi dal demordere ed anzi pronti ad alleanze non tattiche ma strutturali con UDC, MPA ed API, per costruire un terzo polo in cui molti (Casini ed il Pd) sperano, per varare un governo tecnico che lo mandi a casa. Nel suo Trattato sulla Perplessità Maomonide invita a studiare le questioni senza idee preconcette, ma analizzando problema per problema e Berlusconi, che ha l’istinto di un fine conoscitore degli uomini, sa che i problemi sono molti (Fini, la Lega, il logoramento del suo appeal, ecc.) e le strategie da adottare in contraddizione fra loro. Muso duro e muscoli esibiti verso Futuro e Libertà, azione rapida verso la riforma federale per i “nordisti” del Senatur, disponibilità a trattare e mediare verso Fini e Rutelli. Troppi fronti e troppe strategie in contraddizione per poter sperare in una facile vittoria. Per esercitare efficacemente la sua opera, l’intelletto attivo deve trovare l’ intelletto materiale ben predisposto ad accoglierla, ci dice Maimonide prendendo a modello Aristotele ed Avicenna e Berlusconi sa che per operare efficacemente ora, deve farsi venire un’idea che sia dirompente come il predellino e, allo stesso tempo, pratica e facilmente leggibile dal suo elettorato. Per prima cosa occorre rimettersi in forma e perdere sette chili come primo obbiettivo per il mese di agosto, al fine di recuperare un’immagine dinamica, giovanile, rampante, fresca e niente affatto affannata da una guida di governo difficile e sempre nella nebbia. Archiviato il capitolo Caliendo, che si è salvato, ma ha mostrato che il governo non ha più la maggioranza in Parlamento , Silvio Berluscon deve anche ostentare forza e determinazione e giurare, pur non credendoci: “non ci faremo fiaccare”, mentre fra i suoi fa circolare una data per il voto, il 27 marzo 2011. Ieri sera, dopo la cena con Cameron, giunto in ritardo a Fiumicino e con cui intende stabilire un asse Italia-Inghilterra da opporre a quello storico Francia-Germania, Berlusconi ha commentato con i giornalista la giornata politica, usando parole gravi: ” Noi abbiamo fatto tutto ciò che potevamo. La colpa di come è andata è tutta di Fini e per motivi personali”. E continua: “noi andiamo avanti per realizzare tutto il programma se altri ce lo impediranno andremo di fronte agli italiani”. L’impressione di tutti (a parte il solito Giornale, impegnato a descrivere il governo come saldo e Fini come una specie di ladruncolo da quattro soldi, in cerca di furbate per sistemare i parenti) è che Berlusconi sia sul filo ed il governo, alla ripresa a settembre, sotto scacco, con una maggioranza che non ha più e possibile caduta rovinosa su ogni singola proposta o disegno di legge. Non solo. Ieri, a conti fatti, alla maggioranza sono mancati 17 voti e il premier Berlusconi per la prima volta si è trovato senza la maggioranza assoluta, ma soprattutto l’esito della votazione è stato salutato in Aula con un debole applauso, dopo momenti di viva tensione, con quasi rissa tra finiani e deputati del Pdl, che hanno continuato nella stessa direzione sul Tg3 di Bianca Berliguer, a tarda notte. Ha un bel dire Bossi che il governo andrà avanti (”Resistiamo, non si vota”). Ci sembra abbiano ragione, per una volta, quelli che, come il leader del Pd Pierluigi Bersani e il capogruppo alla Camera Dario Franceschini, affermano che da ieri sera non c’e’ piu’ la maggioranza. Né sono rassicuranti per il Cavaliere le dichiarazioni di Bossi che dice che se si andrà al voto si dovrà vedere la Lega con chi starà; né la difesa appassionata di Casini contro il linciaggio morale del Giornale contro Fini, oggetto di un “massacro squadristico” intollerabile, con apertura (definita “atto dovuto”), di un dossier sulla casa di Mantecarlo da parte della Procura di Roma. Esiste la possibilità che Bossi corra per suo conto ed il “terzo polo” sia non solo tattico e, soprattutto, che gli elettori non premino più il Pdl che, stando alle cronache recenti nazionali e locali, sembra più un losco comitato d’affari che un gruppo coeso di persone capaci che vogliono salvare il Paese. Stamani Casini ha dichiarato che Berlusconi deve prendere atto che di fronte a sé a due sole vie, ed entrambe difficili: o si dimette o governa davvero (senza occuparsi solo di leggi ad personam o comites), ma sapendo che “i Governi vengono fatti o disfatti in Parlamento” e non in rapporto al placet di un singolo o di una oligarchia. Tuttavia, come scrive Sofri sul suo Blog, non è solo Berlusconi, ma anche il Partito Democratico, in queste ore e con questi orizzonti, ad essere sulla graticola o sul filo del rasoio. Se, come in molti sostengono (dal Giornale di Vittorio Feltri all’Unità di Concita De Gregorio), si dovessero anticipare le elezioni prima della fine della legislatura, anche il Partito Democratico, tanto quanto Silvio Berlusconi, avrebbe le sue belle grane da risolvere. In primis l’individuazione di un leader che, potrebbe cambiare a seconda del momento dell’anno in cui si andrebbe a votare. Lo stesso Franceschini potrebbe vedersi scippare le luci della ribalta da Sergio Chiamparino , per non parlare dello sparigliamento di Vendola. Il secondo relativo alla necessità di cambiare una legge elettorale che è davvero una “porcata” e non garantirebbe a nessuno una vera vittoria. Scrive Salvatore Merlo su il Foglio: “Nel vertice di ieri del Pdl, dopo il voto Caliendo, con tutte le Fondazioni Pdl, tranne quelle finiane, si è persino ipotizzato un paradossale (ma forse non così tanto) accordo con il Pd. Un patto di legislatura che ruoti attorno a due cardini: giustizia (per Berlusconi), legge elettorale (per D’Alema e gli altri). Molto evanescente, benché non sia neppure un’idea del tutto nuova nell’agenda politica di questi ultimi anni. Insomma le idee ancora non sono chiare, si parla molto anche di interventi sull’organigramma del Pdl. Berlusconi ne discuterà a partire da oggi in un primo vertice con i dirigenti del partito. Il cambiamento delle legge elettorale, oltre a garantire all’opposizione un risultato in questa legislatura, garantirebbe a Silvio Berlusconi, nel caso in cui dovesse vincere le elezioni, di non avere al Senato una maggioranza risicata a causa della quale cadde l’ultimo Governo Prodi. Ma l’eventuale ennesimo inciucio tra il Presidente del Consiglio e il leader ombra del Pd Massimo D’Alema non è l’unica notizia degna di nota che queste ore ci consegna. Due fatti apparentemente marginali sono invece, a mio avviso, emblematici. In primis la presenza in aula, ieri, dell’ex Ministro Claudio Scajola per affondare la mozione Caliendo, fatto che spiega molto più di una serie di ragionamenti retorici che mai come oggi il singolo voto può fare la differenza e la forza di Berlusconi sia in forte declino, nonostante l’ovazione di 15 minuti dei suoi quando è entrato in aula, molto tardi e dopo l’intervento del suo capogruppo Cicchitto. La seconda l’occasione per Chiara Moroni di riaprire i dossier su Tangentopoli, dire no in diretta e in faccia al premier e passare a Futuro e Libertà, chiarendo che il garantismo (di cui lei, come figlia di Sergio Moroni, che si suicidò nel ’92 nel corso di Tangentopoli è incrollabile vestale), non può essere oggi la pietra tombale sotto cui nascondere ogni frode e giustificare ogni comportamento. Ormai è chiaro che in politica, sia a destra che a sinistra che, diciamolo pure, al centro, vi sono davvero due soli poli: quelli che vogliono il comando ad ogni costo e con ogni mezzo e quello che credono che un politico sia non il capo, ma il servitore di una Nazione e delle regole che si è data.
Carlo Di Stanislao
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