Uno degli effetti del terremoto dell’Aquila è stato quello di squarciare, nel bene e nel male, il velo di molte consuetudini quotidiane dei suoi abitanti. Un’abitudine certo poco meritoria era la limitata conoscenza o comunque lo scarso interesse che molti aquilani nutrivano nei confronti della storia secolare della loro città. Non ci riferiamo, naturalmente, alla minoranza degli studiosi, degli intellettuali e di coloro che, a vario titolo, appartenevano e appartengono al mondo della cultura, ma alla maggioranza dei comuni cittadini.Il terremoto sembra aver invertito, almeno in parte, questa tendenza. In città (in quel che ne rimane) si respira una rinata curiosità verso il passato. Non si tratta, sia chiaro, del desiderio nostalgico di un ritorno ad “autenticità” più presunte che reali, ma della voglia di (ri)scoprire quel patrimonio di tradizioni, costumi, radici e memorie, in altre parole, quella ricchezza storica vista come base necessaria su cui ripristinare un tessuto identitario locale gravemente lacerato e compromesso. Basta dare un’occhiata, del resto, ai libri usciti dopo il 6 Aprile: molti volumi contengono e ripercorrono l’intera storia dell’Aquila, dalle origini medievali ai giorni nostri, o ne analizzano in profondità epoche ben circoscritte.
Una prova di questo rinnovato interesse collettivo per le bellezze artistiche e architettoniche custodite dalla città antica, sulla quale così crudelmente si è accanito il sisma, si è avuta la sera del 4 Agosto, quando centinaia di persone sono accorse nel cuore della zona rossa – l’area urbana off limits – per l’apertura al pubblico di uno dei chiostri dell’antico convento di S. Domenico; cerimonia abbinata al secondo appuntamento in cartellone del Festival internazionale di musica “Pietre che cantano”, con la direzione artistica di Luisa Prayer. La serata si è aperta con una prolusione del professor Raffaele Colapietra, storico aquilano tra i più insigni in Italia, sulla storia del complesso e della città che non ha mancato di riferimenti con la storia europea al tempo di Ludwig van Beethoven. Non casualmente, infatti, introducendo l’Orchestra Sinfonica Abruzzese diretta da Marcello Bufalini, con il Concerto per violoncello e orchestra n. 1 op. 33 di Saint-Saëns – straordinario Leonard Elschenbroich al violoncello – e, appunto, con la Sinfonia n. 7 op. 92 di Beethoven.
Un vero trionfo di emozioni! Il pubblico commosso per l’esecuzione e per il prezioso contesto di questo concerto inaugurale che ha restituito agli aquilani il Chiostro di S. Domenico, ha sottolineato l’evento con ripetuti applausi e con una standing ovation finale. L’altra serata inaugurale del Festival s’era tenuta la sera prima nel Monastero cistercense di S. Spirito, ad Ocre: un altro magnifico concerto con l’esecuzione integrale delle cinque Sonate per violoncello e pianoforte di Ludwig van Beethoven, con Leonard Elschenbroich al violoncello e Alexei Grynyuk al pianoforte, due giovani musicisti di grande talento.
Ma torniamo ora al complesso di S. Domenico. La struttura, che per quasi due secoli – proprio quest’anno, ha ricordato Colapietra, cade il bicentenario – era stata adibita a carcere e quindi interdetta ai cittadini, ha retto benissimo alle scosse ed è rimasta praticamente intatta. Merito di un lavoro di restauro e recupero, promosso dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e da quello dei Beni Culturali, durato anni e conclusosi nel Marzo del 2009.
Il convento, che si trova in cima alla collina dalla quale si guarda tutta la parte ovest della conca aquilana verso Amiternum, l’antica città sabina patria di Caio Crispo Sallustio, è costituito da una grande chiesa e da un complesso di edifici che si sviluppano intorno a tre cortili, due dei quali furono in passato dei chiostri. Il primo sorge ad est e porta segni architettonici settecenteschi, da attribuire alla ricostruzione susseguente al terremoto del 1703; il secondo invece si trova nella parte ovest e presenta caratteri stilistici rinascimentali. Il terzo infine, il più piccolo, contiene quella che un tempo fu la chiesa laicale di San Sebastiano.
Una particolarità del convento è certamente la complessa stratificazione di interventi che ne hanno modificato, nel corso dei secoli, la fisionomia e la planimetria. Interventi dovuti sia ai lavori di adeguamento ai vari usi e alle diverse funzioni a cui il convento è stato di volta in volta destinato sia all’opera di ricostruzione resasi necessaria in seguito ai terremoti che hanno periodicamente distrutto la città.
Le tracce del primitivo insediamento monastico domenicano sono risalenti addirittura al XIII secolo. Fu Carlo II d’Angiò, all’inizio del Trecento, ad ampliare questa struttura primigenia, innestandovi nuovi elementi architettonici di tipo gotico, su disegno francese. Il convento fu distrutto una prima volta dal terremoto del 1461. La successiva ricostruzione delle parti danneggiate e l’edificazione di nuove durarono fino alla fine del secolo. Determinante fu, allora, il contributo offerto da alcune ricche famiglie aquilane, come gli Antonelli, una dinastia di banchieri, grazie ai quali venne completato il cortile/chiostro occidentale.
Altri lavori che modificarono ulteriormente la conformazione architettonica vi furono nel XVI e XVII secolo (risalgono a questo stesso periodo anche affreschi e decorazioni che andarono ad arricchire le volte del chiostro orientale) e, soprattutto, dopo il terremoto del 1703. Nel 1809 il convento venne soppresso e venne acquisito dal regno di Napoli, che lo trasformò, nel 1810, in un carcere, destinazione che l’edificio ha mantenuto fino al 1994. Come è facile immaginare, in questo lungo periodo di tempo vennero realizzati molti lavori di adattamento che sconvolsero completamente la struttura, apportandovi delle aggiunte “spurie”, non ultime muri e altri elementi strutturali in cemento armato.
Nel 1994, dopo la dismissione carceraria, il Provveditorato alle Opere pubbliche effettuò uno studio sulle condizioni della struttura e nel 1996 avviò la realizzazione di un progetto comprendente sia il recupero dell’edificio originario sia la costruzione di un parcheggio interrato. Dopo ulteriori studi compiuti nel 2000, si optò per un’esecuzione dei lavori da articolare in due fasi, nel periodo 2004 -2009: un primo intervento mirato alla rimozione delle parti e degli elementi “carcerari” e un secondo al recupero vero e proprio, comprensivo di un’opera di consolidamento di tutte le mura, caratterizzate da una notevole disomogeneità e discontinuità per via dei tanti interventi di modifica e ampliamento. Sono stati questi accorgimenti a consentire all’intero complesso di resistere molto bene alla forza distruttrice del terremoto.
Attualmente l’edificio, situato in zona rossa, è accessibile solo da via Buccio di Ranallo, una traversa di viale Giovanni XXIII e dal mese di luglio ospita la sede della Corte dei Conti e dell’Avvocatura dello Stato. E’ una delle prime presenze vive all’interno della città sconvolta dal sisma del 6 Aprile 2009, una delle gemme del suo straordinario patrimonio architettonico che ne fa, per preziosità ed estensione, la quinta città d’arte in Italia. Opportunamente Luisa Prayer, nel suo intervento in apertura della serata, ha ricordato citandoli per nome tutti coloro che si sono spesi nell’eccezionale lavoro di restauro del complesso e nel consentire di riaprirlo al grande pubblico per il concerto inaugurale del Festival. Un evento che gli Aquilani non dimenticheranno.
Roberto Ciuffini
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