La mappa della paura (con corollari aquilani)

La paura è un sentimento che a volte ci paralizza, altre volte ci mette il fuoco sotto i piedi o ancora, ci dà il coraggio di affrontare un pericolo e combatterlo. Tre reazioni ben diverse, che si sono espresse in ogni loro sfumatura nella nostra comunità,  dal 6 aprile 2009 e che non scegliamo consciamente, […]

La paura è un sentimento che a volte ci paralizza, altre volte ci mette il fuoco sotto i piedi o ancora, ci dà il coraggio di affrontare un pericolo e combatterlo. Tre reazioni ben diverse, che si sono espresse in ogni loro sfumatura nella nostra comunità,  dal 6 aprile 2009 e che non scegliamo consciamente, ma che sono determinate da una particolare classe di neuroni, detti cellule di tipo I, presenti nell’area cerebrale dell’amigdala. A rivelare questo meccanismo è uno studio tutto italiano appena pubblicato su ‘Neuron’, frutto del lavoro congiunto dei ricercatori dello European Molecular Biology Laboratory di Monterotondo (Roma) e della GlaxoSmithKline di Verona. Gli scienziati, in altre parole, hanno identificato non solo la zona del cervello, ma anche le specifiche cellule neuronali che determinano la reazione dei topi ad uno stimolo che induce paura, abbinando all’approccio farmaceutico e genetico la risonanza magnetica funzionale. I risultati dimostrano che la scelta di immobilizzarsi o no a causa della paura è un compito davvero duro per il nostro cervello. Per arrivare a questa conclusione i ricercatori hanno monitorato l’attività di determinate cellule nel cervello di topi, sottoposti a stress da paura, modificati geneticamente in modo che solo tali cellule contenessero un recettore chimico specifico per un farmaco. Una volta iniettato, il farmaco bloccava l’attività elettrica delle cellule con recettore, permettendo di determinare il ruolo di questi neuroni di tipo I dell’amigdala nel controllo della paura. Questa lavoro, tuttavia, non porta a conclusioni nuove, poiché amigdala e paura erano già state collegati da studi svedesi e tedeschi di un paio di anni fa. Inoltre, alcuni mesi fa, uno studio condotto nella Università di Emory (http://www.emory.edu/) negli USA, ha chiarito anche che l’amigdala non lavora da sola, creando una vera e propria mappa della paura che si estende a tutta quella parte del cervello cervello nota come corteccia prelimbica. I ricercatori, guidati da Kerry Ressler, hanno scoperto che i topi privi di un fattore di crescita nella corteccia prelimbica, hanno problemi a ricordare la paura delle scosse elettriche. La scoperta potrebbe aiutare a migliorare la diagnosi e il trattamento per i disordini dell’ansietà, tanto quanto gli stress post-traumatici e le fobie. I risultati della ricerca, condotta presso lo Yerkes Research Center sono stati pubblicati sul Proceedings of the National Academy of Sciences. Nel corso della ricerca, gli scienziati si sono imbattuti nella molecola BDNF (brain-derived neurotrophic factor), una proteina che spinge le cellule del cervello a sopportare lo stress e a realizzare nuove connessioni. In altre parti del cervello, come l’amigdala, interferendo con la BDNF si blocca la memorizzazione della paura. Alcune variazioni nel gene umano per la BDNF si pensa aumentino il rischio per i disturbi dell’ansia e addirittura modifichi l’anatomia della corteccia prefrontale negli individui colpiti. La corteccia prelimbica è una parte della corteccia prefrontale che sembra essere importante per la regolazione emozionale nei roditori tanto quanto negli uomini. L’evidenza di questa affermazione di Ressler nasce dal fatto che paura e ansietà negli uomini possono essere diminuiti o aumentati proprio agendo in queste regioni. Dennis Choi e gli altri componenti del gruppo di Ressler hanno sfruttato un gruppo di topi geneticamente modificato con la mancanza di BDNF in alcune parti del cervello, inclusa la corteccia prelimbica, ma escludendo altre regioni come l’amigdala e l’ippocampo, che abbiamo già visto essere legato all’ansia. L’esperimento procede sostanzialmente come nel caso della ricerca di Joe Tsien e colleghi (vedi:  http://sciencebackstage.blogosfere.it/2010/01/i-neuroni-della-memoria.html), si associa una scossa elettrica con un particolare tono e si osservano le reazioni dei topi nell’udirlo nuovamente. Si osserva che i topi OGM, almeno nell’immediato, rispondono nello stesso modo dei topi normali, salvo poi non riuscire a trattenere, col trascorrere del tempo, la memoria della paura: infatti dopo aver memorizzato l’associazione paura-tono, i topi modificati, alcune ore dopo o il giorno successivo, non rispondevano altrettanto bene come i topi normali. I ricercatori hanno poi trovato un comportamento simile anche nei topi in cui il gene BDFN era eliminato attraverso l’iniezione di un virus opportuno. La ricerca è definita importante da Ressler per imparare il funzionamento della BDNF e il suo conivolgimento nella plasticità neuronale, nell’apprendimento e nella memoria. Speriamo ci sia fornito presto un rimedio capace di agire su tale memorizzazione, che ci aiuti a superare la paura buia ed insostenibile di questi lunghi e lentissimi giorni. La soluzione pareva a portata di mano già sette anni fa, dopo la pubblicazione di un lavoro di Nature, in cui si illustravano i risultati di una ricerca condotta da Gregory Quirk e Mohammed Milad, della Ponce School of Medicine di Porto Rico, che partendo dalle scoperte del grande fisiologo russo Pavlov sui riflessi condizionati, giunsero a ritenere che solo con la formazione di una nuova memoria è possibile “rimuovere” le emozioni della paura. Lo studio dei meccanismi celebrali delle emozioni, dalla paura alla rabbia, dalla gioia alla tristezza è piuttosto recente. Tuttavia, già dalle prime scoperte si è potuto tracciare un nuovo atlante neuro anatomico delle emozioni utile anche alla psichiatria: molte malattie mentali, come la depressione e gli attacchi di panico, si manifestano infatti con la perdita dei normali meccanismi di controllo di comuni reazioni emotive. Pioniere di questa branchia della neurologia, è Joseph LeDoux, professore di neurobiologia della New York University, che per primo ha individuato un circuito che collega l’orecchio direttamente al talamo e da lì all’amigdala, la “piccola mandorla” al centro del sistema limbico che si è rivelata l’organo principale per l’attivazione dei meccanismi della paura.  Gli stimoli esterni raggiungono l’amigdala, attraverso due vie. Una è diretta, e viene dal talamo, mentre l’altra passa prima dai centri della corteccia prefrontale. La via diretta talamo-amigdala però, è più corta e veloce dell’altra. In caso di falso allarme, infatti, prima ancora che il segnale “rassicurante” della corteccia raggiunga l’amilgada, questa fa scattare un’iniziale stato d’allerta. Questo meccanismo, non sempre funziona a dovere. Il segnale di “falso allarme” inviato dalla corteccia, infatti, potrebbe raggiungere molto più lentamente l’amigdala, in modo da far prendere al mondo emotivo, il sopravvento su quello razionale. In alcuni casi, addirittura, l’amigdala può produrre una risposta autonoma alla situazione (reagendo, ad esempio, con la collera o con la paura), mentre la corteccia sta elaborando una reale valutazione dell’evento e, quindi, una più sofisticata forma di reazione. In altri casi ancora, la valutazione di un evento archiviato nell’amigdala può essere diversa da quella realmente vissuta. Così, la reazione emotiva espressa in una data situazione può scattare anche in situazioni simili ma non uguali. Sembra dunque che il cervello possieda due tipi di memoria: una per i fatti ordinari, l’altra per quelli emozionali, e che l’archivio delle nostre paure ricorrenti, degli incubi o degli shock, sia proprio quella piccola regione del proencefalo, chiamata amigdala, “cuore e chiave” delle reti emozionali del cervello. Così la rabbia, ma soprattutto l’allegria, potrebbero essere un buon antidoto alla paura. Di rabbia in giro ne registriamo tanto, della seconda, invece, vi sono pochi, sparuti segnali. Ma l’allegria va ricercata nel piccolo e nel quotidiano, perseguita e voluta nei fatti minuti della nostra vita di singoli e di collettività. Come non essere allegri, ad esempio, quando si legge della sollecita multa per divieto di sorta a Fiorella Mannoia, da parte di una municipalità che però lo è meno nel provvedere a pulire e de-erbizzare ciò che resta della’area urbana? e come non sintersi allegri di fronte alla’annuncio trionfale, quasi fosse un successo, della demuscazione a fine estate, come si fa nei paesi del terzo mondo? Quindi non abbiate paura: la città c’è e vigila che le cose vadano a dovere.

Carlo Di Stanislao

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *